Il sindacato del giudice sulle deliberazioni condominiali non si estende alle censure inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall'assembla rientrando, tale scelta, nella discrezionalità di cui dispone l'assemblea, quale organo sovrano della volontà dei condomini (Corte d'Appello di Messina, sentenza n. 295/2023).
Il giudice non può sindacare sulla "vantaggiosità" della delibera se non viziata da eccesso di potere. Fatto e decisione
Un condomino ricorreva innanzi alla Corte d'appello avverso alla sentenza del Tribunale che aveva rigettato la domanda con cui l'attore, odierno appellante, aveva chiesto che venissero dichiarate invalide due delibere assembleari: la prima per violazione dell'articolo 1123 c.c. in ordine alla ripartizione delle spese relative ai lavori da eseguire su parti comuni conseguente anche all'inclusione, negli stessi, di lavori su parti di proprietà privata e per non aver tenuto conto che tali lavori erano necessari e preliminari rispetto a quelli da eseguire sulle parti comuni; la seconda, per eccesso di potere riferito alla condotta dell'amministratore del condominio che avrebbe sviato e indotto l'assemblea, con tale seconda decisione, a dare esecuzione alla prima (cioè all'affidamento dei lavori alla impresa edile e alla nomina del direttore dei lavori) nonostante, per quest'ultima fosse, in corso il procedimento di mediazione per contestare la legittimità dei lavori da eseguire.
Gli appellanti censuravano la sentenza con due motivi di gravame e ne chiedevano la riforma.
La Corte d'Appello evidenziava che, dagli atti di causa e, in particolare, dai verbali di assemblea risultava che i lavori sulle parti comuni del condominio erano stati già deliberati in una ulteriore delibera precedente a cui lo stesso appellante aveva partecipato e dato il consenso e non comprendeva i lavori privati.
Nella prima delibera impugnata veniva quantificato solo l'importo della spesa dei lavori condominiali per la cui approvazione non era quindi necessario il consenso unanime e legittima, pertanto, era la suddivisione ex art. 1123 c.c.; nella seconda non sussisteva alcun eccesso di potere dell'amministratore in quanto, in pendenza di impugnazione, non sussiste alcun obbligo di astensione dell'amministratore dal dare esecuzione alle delibere impugnate salva la loro sospensione della loro esecutività da parte del giudice che non era intervenuta, per cui non sussisteva il vizio denunciato.
Per quanto riguarda, poi, l'aspetto che qui più interessa, cioè l'eccezione dell'appellante sul mancato esame del merito delle questioni, la corte l'ha considerata infondata perché il sindacato sulle delibere condominiali non può estendersi alla valutazione del merito né al controllo della discrezionalità di cui dispone l'assemblea quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi ad un riscontro di legittimità.
L'impugnazione della delibera di cui all'articolo 1137 c.c. non è finalizzata a controllare l'opportunità o la convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell'assemblea.
Il giudice, pertanto, non poteva sindacare sulle censure mosse dall'appellante inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall'assemblea riguardo ai costi da sostenere per i lavori da eseguire sulle parti comuni.
La Corte di merito respingeva l'appello.
Il ruolo del giudice nella valutazione delle delibere: legittimità e discrezionalità
La Corte ha condiviso un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (Cass. ord. n. 15320/2022, ord. n. 20135/2017, sent. n. 10199/202) per la quale il giudice non può essere chiamato a valutare la "convenienza" dell'affare o l'opportunità della scelta o a sindacare se un lavoro straordinario più oneroso rispetto ad altro più vantaggioso sia inutile o irrazionale essendo, tali valutazioni, di esclusiva competenza dell'assemblea.
Il giudice deve solo stabilire se la delibera sia o meno il risultato di un legittimo esercizio dei poteri discrezionali dell'assemblea e non sfocino nell'eccesso di potere.