Secondo l'articolo 1669 c.c. se, nel corso di dieci anni dalla realizzazione, il caseggiato, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta e il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia stessa.
L'art. 1669 c.c., benché collocato tra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretto a garantire la conservazione e la funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata, attesa l'attitudine della norma a presidiare, piuttosto che particolari interessi sottostanti al rapporto contrattuale di appalto, l'imprescindibile esigenza di tutela della pubblica incolumità, messa a repentaglio dal contegno dell'imprenditore che ometta di adottare le cautele atte ad assicurare la stabilità e solidità dell'edificio.
In linea generale bisogna affermare che i gravi difetti che, ai sensi dell'art.1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura.
Vengono incluse nel concetto di grave difetto sia le deficienze costruttive vere e proprie, quelle cioè che si risolvono nella realizzazione dell'opera con materiali inidonei e non a regola d'arte, sia le carenze riconducibili ad erronee previsioni progettuali.
Tenendo conto quanto sopra il danno alle condutture esterne, può costituire difetto costruttivo ai sensi dell'art. 1669 c.c.?
Il problema è stato affrontato dalla Cassazione nell'ordinanza del 23 giugno 2023 n. 18061.
Il danno alle condutture esterne costituisce grave vizio. Fatto e decisione
L'acquirente di un appartamento in un condominio citava in giudizio, davanti al Giudice di Pace, il costruttore (nonché la società appaltatrice dei relativi impianti idraulici) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti.
In particolare l'attore faceva presente che, a diversi anni di distanza dalla conclusione dei lavori, a causa della rottura di un tubo di adduzione idrica, un'ingente dispersione d'acqua protrattasi nel tempo aveva procurato un abnorme consumo idrico, per il quale l'esponente aveva dovuto corrispondere una rilevante somma, oltre ad avere dovuto affrontare il costo per il ripristino del guasto.
Per il condomino il costruttore era responsabile per il grave vizio ex articolo 1669 c.c. della predetta conduttura idrica.
Il Giudice di Pace rigettava la domanda, avendo escluso che il vizio riscontrato nella tubazione potesse qualificarsi come grave difetto ai sensi dell'articolo 1669 c.c. Il Tribunale, in funzione di Giudice d'Appello, ribaltava la decisione di primo grado e condannava il costruttore a risarcire il danno subito dal condomino.
Il soccombente ricorreva in cassazione sostenendo che i fatti accertati (rottura di un manicotto esterno di adduzione dell'acqua potabile) non integravano i gravi difetti di cui all'articolo 1669 c.c., dai quali la costruzione era esente. Per il ricorrente si trattava di un modesto guasto riparato con poca spesa dagli idraulici.
In ogni caso denunciava l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo, consistito nel fatto che l'attore non aveva mai patito limitazione alcuna al godimento del bene, né mai aveva dimostrato una tale circostanza. La Cassazione ha dato ragione al costruttore.
Secondo i giudici supremi il condomino non ha subito alcun riflesso negativo nel godimento dell'immobile, continuando regolarmente a fruire dell'acqua potabile; come ha osservato la Suprema Corte il guasto consistito in una lesione di un giunto esterno del tubo d'adduzione ha procurato una dispersione idrica ma non ha causato danni all'immobile, né impedito l'afflusso d'acqua per i servizi idrici dell'immobile. La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio.
Danno alle condutture esterne e impatto sul godimento dell'immobile
Secondo la giurisprudenza il difetto di costruzione che, ai sensi dell'art. 1669 c.c. legittima il committente alla relativa azione, ben può consistere in una qualsiasi alterazione conseguente ad un'insoddisfacente realizzazione dell'opera che, pur non riguardando le sue parti essenziali (e perciò non determinante la rovina o il pericolo di rovina), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentano l'impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica), incida negativamente in modo considerevole sul godimento dell'immobile medesimo (Cass. civ., Sez. II, 30/09/2020, n. 20877).
Tenendo conto di quanto sopra non può certo essere condivisibile la tesi della Corte d'appello secondo cui la rottura del giunto ha comportato un'alterazione che ha inciso in modo considerevole sul godimento dell'immobile e sulla normale utilizzazione.
Di conseguenza si può affermare che il danno alle condutture esterne, ove non incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell'immobile, non costituisce difetto costruttivo ai sensi dell'art. 1669 c.c.; al contrario rientra nel concetto di vizio grave, ad esempio, l'ossidazione delle condutture di adduzione per l'inidoneità del materiale impiegato che abbia inciso negativamente sul godimento degli appartamenti nonché - per ulteriore "deriva" - anche di parti comuni dell'edificio (Cass. civ., Sez. II, 19/01/1999, n. 456).