Soprattutto in ambito condominiale, una servitù di uso pubblico può nascere anche con il comportamento dei condomini che mettono volontariamente e con carattere di continuità un bene condominiale a disposizione della collettività (c.d. dicatio ad patriam).
Tale fenomeno può riguardare cortili, vialetti, strade ma molto spesso portici condominiali che sono liberamente transitabili senza soluzione di continuità o per destinazione impressa dal costruttore che, con comportamento univoco, ha messo a disposizione il bene in virtù dell'impegno assunto con la pubblica amministrazione o per sua scelta, mantenuta nel corso del tempo dai condomini: in tale ultimo caso è inevitabile che nel corso del tempo venga a configurarsi una vera e propria servitù di uso pubblico.
Tale affermazione vale soprattutto se i condomini hanno garantito alla cittadinanza l'utilità sociale costituita dal libero passaggio sull'area, sulla quale non sono state mai apposte barriere o segnali volti ad impedire il libero passaggio, garantendo, nel concreto, da tempo lunghissimo e per fatto notorio, con continuità, il transito libero ed indiscriminato da parte della generalità dei cittadini.
Quando però non è certo che un tratto di strada sia ad uso pubblico può nascere un conflitto con il Comune che interviene, ad esempio, impedendo ai condomini di chiudere la stessa strada con una sbarra automatica. Una vicenda simile è stata recentemente affrontata dal TAR Lazio nella sentenza n. 12646 del 2 dicembre 2021.
Impedimenti del Comune alla sbarra automatica: il caso del supercondominio
Un supercondominio decideva di chiudere un tratto di strada di accesso ai vari fabbricati del complesso edilizio con una sbarra automatica. Il Comune, nella convinzione che il tratto chiuso facesse parte di una strada pubblica o asservita ad uso pubblico, intimava al Supercondominio di rimuovere la sbarra (ai sensi della disciplina del Regolamento COSAP), ritenendo tale installazione un'occupazione permanente illecita di suolo pubblico. Alcuni caseggiati del supercondominio impugnavano la nota comunale di "rimozione" della sbarra automatica, facendo presente che la strada sulla quale era stata apposta non poteva svolgere una funzione di pubblico interesse in quanto priva di sbocchi su vie o strade pubbliche e, perciò, utile solamente ai proprietari/domiciliatari degli appartamenti del supercondominio che da sempre si erano occupati della manutenzione della strada in questione.
In ogni caso ritenevano irrilevante l'inserimento della via tra quelle gravate ad uso pubblico, fatto superabile facilmente con la prova dell'inesistenza del diritto di utilizzo di detta strada da parte della collettività.
Sentenza favorevole ai condomini sul diritto di installare la sbarra
I giudici amministrativi hanno dato ragione ai condomini.
Questa conclusione è dovuta alla documentazione versata in atti da cui è pacificamente risultato che il tratto di strada in questione non è di proprietà pubblica, bensì è di proprietà privata; di conseguenza l'onere di provare l'esistenza dell'uso pubblico della strada grava sul Comune che non può però avvalersi dell'inserimento del tratto discusso nell'elenco delle strade comunali (cioè di una presunzione semplice di appartenenza della stessa all'ente oppure del suo uso pubblico).
Nella vicenda esaminata è infatti emerso come il tratto di strada in questione abbia natura privata in quanto di proprietà dei condomini del supercondominio con la conseguenza che la presunzione semplice sulla natura pubblica derivante dall'inserimento nell'elenco delle vie pubbliche è di fatto neutralizzata dalla titolarità privata del bene in questione.
Alla luce di quanto sopra il Comune non poteva certo ostacolare l'iniziativa dei condomini, comprimendo il pieno godimento della proprietà privata e l'esercizio delle facoltà spettanti ai proprietari, tra le quali rientra il diritto di impedire a terzi di entrare nella proprietà.
Di conseguenza non poteva certo negare ad una collettività condominiale l'installazione di una sbarra destinata a regolare il traffico in entrata e in uscita di una strada privata utilizzata solo dai condomini.
Quando l'area condominiale non può essere ad uso pubblico
Si deve escludere l'esistenza di un'area ad uso pubblico quando la parte condominiale è un tratto viario cieco o un'area interclusa, caratteristiche che escludono che vi possa sorgere un uso stradale in favore di una collettività indeterminata.
Tale conclusione è incontestabile pure se il condominio può provare che il transito pedonale, in precedenza effettuato, è avvenuto per mera tolleranza o all'insaputa dei proprietari delle aree interessate, e riguarda soggetti determinati, venuti in possesso delle chiavi delle serrature esistenti o, comunque, riguardo a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici.
Allo stesso modo deve escludersi l'uso pubblico di un porticato condominiale, allorquando il passaggio venga esercitato nell'interesse di un gruppo limitato di soggetti, quali i proprietari di determinati immobili, in rapporto alla loro particolare ubicazione (Tar Piemonte 3 gennaio 2018, n.13).
Si deve, invece, ricordare che, secondo la più recente giurisprudenza, una strada privata è di uso pubblico se per le sue dimensioni, struttura e condizioni consente un generale passaggio esercitato da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso o di vincoli di proprietà o condominio (Cons. Stato, sez. II, 05/05/2021, n. 3498).