Il Tribunale di Prato, con la sentenza n. 253 del 23 marzo 2024, ha affrontato, tra le altre questioni, anche quella inerente alla rimozione del cancello posto sul ballatoio condominiale. Secondo il giudice toscano, va rigettata la domanda di usucapione della parte comune, allorquando non sia accompagnata da un possesso ventennale idoneo a escludere anche gli altri comproprietari. Approfondiamo la vicenda sottoposta al giudice toscano.
Rimozione del cancello sul ballatoio e usucapione delle parti comuni
La questione dell'usucapione delle parti comuni e, nello specifico, del pianerottolo, è stata affrontata dal Tribunale di Prato nell'ambito di una controversia più complessa intercorsa tra due condòmini.
Per quel che qui ci interessa, il convenuto chiedeva, in via riconvenzionale, la rimozione del cancelletto che l'attore aveva installato sul pianerottolo che conduceva alla sua proprietà, lamentando che si trattasse di una violazione dei propri diritti, atteso che le scale era indubbiamente condominiali.
L'attore sosteneva, al contrario, di aver usucapito il bene e, pertanto, di poterne fare ciò che desiderava.
Nello specifico, nonostante il cancello fosse stato installato solo qualche anno prima, riteneva ugualmente di vantare un possesso ultraventennale dovuto all'utilizzo esclusivo del pianerottolo che, come detto, conduceva esclusivamente alla sua proprietà.
Il Tribunale di Prato, con la sentenza in commento, ha escluso che, nell'ipotesi di specie, potesse essersi verificata l'usucapione.
Al riguardo, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che il condomino che deduce di avere usucapito la cosa comune deve provare di averla sottratta all'uso comune per il periodo utile all'usucapione, e cioè deve dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univocamente rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a costoro l'intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condòmini, stante l'imprescrittibilità del diritto in comproprietà (Cass., 6 ottobre 2016, n. 20039).
In particolare, con riguardo al compossesso dei coeredi, è stato specificato che «il coerede che, a seguito della morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso» (Cass., 8 aprile 2021, n. 9359).
A tal fine, però «è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus» (Cass., n. 10734/2018) non essendo sufficiente l'astensione degli altri partecipanti dall'uso della cosa comune.
Del resto, l'art. 1102 c.c. attribuisce espressamente al comproprietario la facoltà di utilizzare il bene comune, a meno che non impedisca agli altri di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Ne discende che l'utilizzo individuale della cosa comune, in assenza di un godimento escludente nei confronti degli altri comproprietari, non può risolversi in un pregiudizio per questi ultimi.
Usucapione in condominio: considerazioni conclusive
Il Tribunale di Prato, con la sentenza n. 253 del 23 marzo 2024 in commento, si pone senza dubbio nel solco tracciato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, così come illustrato sinora.
In sé considerata, l'allegazione di un uso individuale (o meglio "separato") della cosa non è sufficiente a configurare i presupposti per il possesso ad usucapionem delle quote altrui, salvo che dai particolari del fatto non emerga una situazione di preclusione del possesso degli altri condividenti.
È, infatti, il monopolio del godimento a rendere riprovevole l'utilizzo "separato" della cosa comune, perché l'accentramento del godimento con privazione delle possibilità dell'altrui utilizzo è pulsione rinnegante il principio di condivisione posto a fondamento della comunione.
In questo senso ancora una volta la Corte di Cassazione, secondo cui «In una situazione di compossesso - come quella esistente tra i componenti di una comunione ereditaria in pendenza del giudizio di divisione - è ravvisabile una lesione possessoria solo quando uno dei condividenti abbia alterato e violato, senza il consenso e in pregiudizio degli altri partecipanti, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o restringere il godimento spettante a ciascun compossessore sulla cosa medesima mediante atti integranti un comportamento durevole, tale da evidenziare un possesso esclusivo "animo domini" su tutta la cosa, incompatibile con il permanere del possesso altrui» (Cass., sent. n. 25646 del 23 ottobre 2008).