Valida la delibera che imprime ad un bene comune desueto una diversa destinazione. Fatto e decisione
Il Tribunale di S. MC. apua a Vetere, con la sentenza n. 1231 del 14 aprile 2025, ha disatteso la domanda di annullamento della delibera con la quale il condominio, contumace nel relativo giudizio, aveva deciso di cambiare, in violazione dell'art. 1117 c.c. o meglio - come rilevato dal giudicante - l'art. 1117 ter c.c., la destinazione dell'area condominiale adibita a campo da tennis.
Esaminato l'oggetto ed il testo della delibera in questione il Tribunale ha rilevato come i condomini, preso atto che l'area non fosse utilizzata a tale scopo, decidevano di metterla a disposizione della comunità specificando che non essendo la stessa a norma sarebbe stata considerata zona comune ed area gioco per i bambini.
Inoltre, la differente destinazione dell'area ne prevedeva l'utilizzo a costo zero, mentre in precedenza gli eventuali utilizzatori avrebbero dovuto versare una imprecisata quota.
Nella specie, quindi, si verteva in una regolamentazione dell'uso di un bene comune che non aveva comportato una diversa o nuova destinazione dello stesso. Non si poteva neppure parlare di innovazione, come qualificata e disciplinata dall'art. 1120 c.c., dal momento che la modifica introdotta dalla delibera impugnata aveva il solo scopo di disciplinare in senso migliorativo l'uso del bene che era diventato privo di interesse.
Modificazione della destinazione d'uso e disciplina del condominio
Anche se il Tribunale ha omesso, nell'esposizione dei fatti, di indicare con quale maggioranza la delibera assembleare oggetto di impugnativa fosse stata adottata, è presumibile che questo sia avvenuto con il quorum di cui all'art. 1136, co. 2, c.c. ovvero con la maggioranza degli intervenuti ed un numero di voti che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio.
Non sarebbe, infatti, plausibile la maggioranza inferiore prevista dal successivo comma 3 che concerne la gestione ordinaria del condominio.
Detto questo, le norme che sono state prese in considerazione dal giudicante (visto che, ancora secondo la ricostruzione delle lamentele dell'attore, vi sarebbe un riferimento generico all'art. 1117 c.c. che, a dire il vero, sembra fuori tema) sono gli artt. 1117-ter e 1120 c.c.
La prima volta che il tema della "modificazione delle destinazioni d'uso" delle parti comuni è entrata nel Codice civile in modo autonomo è avvenuto con l'introduzione dell'art. 1117-ter, poiché in precedenza il legislatore aveva previsto l'obbligo di non alterare la destinazione della cosa comune solo con riferimento all'uso della stessa da parte di ciascun partecipante alla comunione. L'art. 1102 c.c., infatti, è la norma che maggiormente si applica all'istituto del condominio per effetto del rinvio contenuto nell'art. 1139 c.c.
La destinazione d'uso del bene comune è, in ogni caso, tutelato anche dall'art. 1117-quater c.c. ma, in questo caso, l'attenzione del legislatore si è concentrata sull'attività che il singolo pone in atto e che non deve incidere "negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso delle parti comuni".
Quindi, come nell'ipotesi normativa prevista dall'art. 1102 c.c., è stato preso in considerazione il rapporto tra il condomino e il bene comune e che ha trovato nella disposizione di rango condominiale una maggiore incisività.
Vi è, poi, l'art. 1120 c.c. che è stato richiamato dal Tribunale come fattispecie legislativa estranea al caso di specie e che con l'ultimo comma ha sancito il divieto anche per le innovazioni che "…rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino".
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che con il termine "innovazione" si intende "non un qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune ma solo quella modificazione che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria" (Cass. 01 marzo 2023, n. 6136).
Esula, pertanto, dal concetto di innovazione la modificazione che sia finalizzata a potenziare o rendere più comodo il godimento del bene comune lasciandone immutate consistenza e destinazione.
Modificare le destinazioni d'uso in rapporto all'esigenza collettiva
È questo il fondamento dell'art. 1117-ter c.c. che ha indotto il legislatore ad introdurre una disposizione che possa rendere più facile l'utilizzo, in modo differente, di un bene da parte di tutti i condomini.
Malgrado le buone intenzioni non sembra che il Nostro abbia colto nel segno poiché il doppio quorum deliberativo (quattro quinti dei partecipanti al condominio e quattro quinti del valore dell'edificio), stabilito perché la delibera assembleare sia legittima, sembra essere consistente e non facilmente raggiungibile.
Si tratta, a ben vedere, di una maggioranza anomala che si pone a metà strada tra quella prevista per le innovazioni ed il consenso unanime, dando l'impressione che si sia voluto trovare un compromesso che giustifichi la compressione dell'interesse del singolo in rapporto ai vantaggi per la collettività.
Non è semplice definire quali siano le esigenze di interesse condominiale trattandosi di espressione generica e considerando, altresì, che il condominio è fisiologicamente terreno di contrapposti interessi. Forse è proprio questo il motivo per il quale una infinitesima parte del dissenso è stata considerata meritevole di rispetto in relazione all'imposizione dell'unanimità dei consensi.
Anche se occorre dire che, comunque, questa esigua minoranza deve adeguarsi alla imponente maggioranza, obbligandosi al vincolo derivante dalla delibera stessa.
La norma ha specificato che l'oggetto delle eventuali modificazioni sono le "parti comuni", così escludendo dall'ambito di applicazione i servizi comuni, pur con la necessità di evidenziare che, in alcuni casi, il servizio comune è la conseguenza di un'attività resa nei confronti del condominio per effetto di strutture/parti/componenti imprescindibili.
In questo quadro assume rilevanza non solo il procedimento che deve essere seguito per convocare l'assemblea, ma anche il terzo comma dell'art. 1117-ter (secondo il quale la convocazione dell'assemblea incorre nella nullità se non sono state indicate le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d'uso), nonché il comma successivo che prevede una attestazione, nel processo di verbalizzazione, in ordine alla effettiva attuazione degli adempimenti previsti nella norma stessa.
È, quindi, evidente che nel momento in cui un uso di un bene comune sia stato sottratto a pochi condomini l'intero iter sia stato previsto come assolutamente rigoroso.
Alla luce di tali considerazioni la decisione del Tribunale appare più che corretta a fronte del fatto che, da un lato, il campo da tennis non utilizzato, probabilmente degradato e sicuramente - come emerso - non a norma di legge, poteva avere una differente utilità e, dall'altro, che la stessa veniva fornita ai condomini a prezzo zero. Peraltro, la stessa area, nel momento in cui era stata destinata a "zona comune" e non solo ad "area gioco per bambini" rendeva un servizio all'intera compagine condominiale, mentre in precedenza veniva usata solo dai condomini giocatori.
Da ultimo un cenno deve essere riservato al rapporto tra la delibera ed il regolamento condominiale che contempli un determinato uso di una parte comune ovvero, al contrario, che ne vieti l'utilizzo con modalità specificata. Dal momento che la norma non è stata prevista come inderogabile dall'art. 1138 c.c. si può ritenere che un regolamento di natura contrattuale superi il disposto dell'art. 1117-ter.