Il residuo attivo - o avanzo di gestione - è la somma positiva che risulta dal bilancio consuntivo del condominio alla fine dell'anno; in pratica, è ciò che resta delle entrate (quote versate, interessi, eventuali recuperi, risarcimenti, ecc.) a seguito della sottrazione delle spese sostenute. Ciò premesso, i morosi possono perdere la parte di attivo del conto corrente?
L'art. 1135, comma primo, nr. 3), c.c., attribuisce all'assemblea la decisione circa l'impiego del residuo attivo della gestione. Il consesso potrebbe decretare di sottrarre l'attivo del bilancio ai morosi, compensandolo con i debiti accumulati nei confronti della compagine? Approfondiamo l'argomento.
Cosa deve fare l'amministratore in caso di morosità dei condòmini?
Ai sensi dell'art. 1129, comma nono, c.c., «Salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso».
L'amministratore che non dovesse ottemperare a tale obbligo potrebbe essere rimosso perfino con la procedura giudiziaria: secondo il medesimo articolo, infatti, l'aver omesso di curare diligentemente l'azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio e la conseguente esecuzione coattiva costituisce una grave irregolarità sanzionabile con la revoca giudiziale.
Per favorire la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, nonostante opposizione (art. 63, disp. att. c.c.).
Dunque, nel caso di morosità dei condòmini, l'amministratore deve agire immediatamente dando mandato a un avvocato affinché proceda con il recupero del credito.
Ai morosi può essere sottratto l'attivo del conto corrente?
È possibile che la gestione annuale si concluda con un attivo, cioè con un saldo positivo.
La somma di denaro che resta in bilancio dopo che tutte le spese sono state pagate è nella disponibilità esclusiva dell'assemblea: come ricordato in apertura, ai sensi dell'art. 1135, comma primo, nr. 3), c.c., spetta all'organo collegiale la decisione circa l'impiego del residuo attivo della gestione.
Ciò significa che nessun condomino può vantare singolarmente un diritto alla restituzione, quota-parte, di ciò che è avanzato al termine dell'anno: è l'assemblea a stabilire - presumibilmente con la maggioranza ordinaria pari a un terzo del valore dell'edificio in seconda convocazione - a quali scopi destinare il residuo attivo.
Ciò significa che i morosi possono "perdere" la parte di attivo del conto corrente, nel senso che potrebbe non essere ad essi restituita ma, piuttosto, detratta dal debito che hanno maturato secondo il meccanismo della compensazione.
In altre parole, nel caso in cui si decida di redistribuire la somma, quanto spetta ai morosi può essere sottratto dal debito accumulato.
Ciò ovviamente non significa che i soldi vadano persi ma, più semplicemente, che non verranno restituiti.
Assemblea: cosa può farne del residuo attivo?
Quella appena ipotizzata - cioè lo scomputo dal debito - è solo una delle possibilità a cui può ricorrere l'assemblea allorquando debba adottare una decisione inerente alla destinazione dell'attivo di bilancio.
Nulla vieta che l'avanzo della gestione possa essere utilizzato dall'assemblea in diverso modo; ad esempio, il consesso potrebbe:
- distribuire l'attivo tra i condòmini, in proporzione alla quota di ciascuno di essi;
- compensare gli importi futuri dovuti a titolo di contributi da ciascun condomino, in ragione dei millesimi di proprietà (Cass., 9 febbraio 2021 n. 3043).
Così facendo, si riducono le quote ordinarie dell'anno successivo;
- conservare il residuo destinandolo a uno specifico fondo utilizzabile per fronteggiare le spese future.
La previsione di un fondo cassa alimentato con l'accantonamento di eventuali entrate è legittima e non viola la necessaria dimensione annuale della gestione condominiale (Cass., 25 giugno 2020 n. 12638).
Con quale maggioranza l'assemblea decide del residuo attivo?
Soprattutto nelle ipotesi in cui il residuo venga accantonato per la creazione di un fondo cassa vincolato all'esecuzione di determinati lavori è legittimo chiedersi se la maggioranza affinché la deliberazione sia valida debba essere quella ordinaria e "minima" stabilita per l'assemblea in seconda convocazione («un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio») o, piuttosto, debba raggiungersi la soglia maggiore di cui al secondo comma dell'art. 1136 c.c.
Atteso che la decisione circa l'impiego del residuo attivo della gestione rientra tra le competenze ordinarie dell'assemblea a norma dell'art. 1135 c.c. e che, laddove la legge abbia voluto prevedere quorum specifici, l'ha fatto con disposizioni ad hoc (come nel caso della conferma dell'amministratore che, pur rientrando nel novero delle attribuzioni ordinarie, necessita della maggioranza che rappresenta almeno la metà del valore dell'edificio, almeno secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza che estende la previsione dell'art. 1136, quarto comma, c.c. anche all'ipotesi di mera conferma), l'orientamento maggioritario ritiene sia sufficiente, in seconda convocazione, la maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio.