La servitù di fognatura — che va equiparata al generico scarico coattivo di cui all'art. 1043 c.c. — attribuisce al proprietario del fondo dominante il diritto di provvedere all'installazione delle opere idonee allo scarico e di accedere al fondo servente per la periodica manutenzione di dette opere, salvo che il titolo preveda più ampi poteri.
La servitù di scarico coattiva si può costituire con contratto, se le parti convengono di adempiere all'obbligo previsto dalla legge, oppure con sentenza del giudice.
La sentenza che costituisce la servitù coattiva di scarico stabilisce anche le modalità per l'esercizio della servitù e fissa l'indennità che il proprietario del fondo servente deve corrispondere al proprietario del fondo dominante.
Non è raro che un caseggiato - che non riesce ad accordarsi con il vicino o non vuole sostenere i costi di un procedimento giudiziario - si allacci abusivamente allo scarico fognario di un immobile vicino.
Una tale situazione è stata esaminata dalla sentenza n. 15141/2021 del Tribunale di Roma.
A quali condizioni si può mantenere l'allaccio alla fognatura di un edificio vicino? Fatto e decisione
La vicenda prendeva l'avvio con la rottura degli scarichi fognari di un condominio causata da un'otturazione del pozzetto di decantazione del suddetto condominio. Tale evento provocava infiltrazioni di acque nere e l'allagamento di un garage vicino, estraneo al condominio.
La danneggiata, nello spirito di reciproca collaborazione, acconsentiva l'allaccio temporaneo alle tubazioni della rete fognante di sua proprietà da parte del condominio danneggiante; quest'ultimo, però, cessata l'urgenza non si distaccava dalla rete fognaria dell'immobile vicino, la cui proprietaria si vedeva costretta a richiedere ai condomini di adottare soluzioni alternative, nonché di corrisponderle una somma di denaro, a titolo di canone per l'utilizzo della rete fognaria.
Successivamente, non ricevendo risposta, citava il condominio davanti al Tribunale a cui richiedeva, in buona sostanza, la restituzione della cosa comodata; l'immediata cessazione dell'uso della rete fognaria di sua proprietà; la condanna del convenuto al pagamento di un indennizzo per l'utilizzo della rete fognaria servente il caseggiato.
Il condominio si difendeva rivendicando di essere comproprietario della rete fognante, di cui fruiva da tempo immemorabile; in via subordinata, chiedeva di accertare l'acquisto per usucapione del diritto di servitù di scarico coattivo sulla rete fognante dell'attrice e, in via ulteriormente subordinata, di accertare il diritto alla costituzione di una servitù coattiva a carico dell'immobile di parte attrice
Il Tribunale ha ritenuto abusivo l'allaccio dei condomini.
In primo luogo perché non emergeva la prova dell'esistenza di un contratto di comodato. Inoltre i condomini non hanno provato che l'impianto fognario, servente l'immobile vicino (a cui si erano allacciati), fosse stato progettato ab origine per servire anche il caseggiato convenuto. Il condominio non ha neppure dimostrato l'esercizio ultraventennale di un possesso ad usucapionem del tratto fognario utilizzato.
In ogni caso - come ha osservato il giudice romano - i condomini non hanno allegato, prima ancora che provato, la ricorrenza dei presupposti per la costituzione di una servitù di scarico coattivo ex art. 1043 c.c.; del resto, non avrebbero potuto farlo, atteso che il giudice romano ha sottolineato come il c.t.u. abbia rilevato la possibilità per il condominio di allacciarsi al collettore fognario comunale.
Il consulente ha, infatti, spiegato e documentato che esisteva per il caseggiato la possibilità, confermata anche dall'ente preposto, di allacciarsi direttamente al collettore fognario comunale.
Respinta invece la richiesta di parte attrice volta ad ottenere la condanna del condominio convenuto al pagamento di una indennità.
Il Tribunale ha infatti osservato che l'allaccio era stato inizialmente tollerato e addirittura "concesso" sia pure per il solo periodo di emergenza e a titolo gratuito; mentre per il periodo successivo, coincidente con la prima diffida con richiesta di distacco, l'allaccio (cioè la sua permanenza) era senza alcun titolo e, quindi, da considerare come un'attività illegittima che non giustifica la richiesta di una indennità (compatibile solo con un'attività "lecita" dannosa) quanto, piuttosto, in astratto, una richiesta risarcitoria.
Quest'ultima però è stata rigettata per mancanza di prova di concreti pregiudizi subiti dall'attrice.
Servitù coattiva di scarico: requisiti e modalità di attuazione
La servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico-sanitari degli edifici.
L'art.1043 cod. civ., infatti, non autorizza alcuna distinzione tra acque impure ed acque luride o "nere", intese quest'ultime come acque di scarico delle latrine, dovendosi, piuttosto, intendere il riferimento alle acque impure, contenuto nel secondo comma, come volto unicamente a stabilire che, in questo caso, la servitù coattiva è subordinata all'adozione di opportune precauzioni per evitare inconvenienti al fondo servente (Cass. civ., sez. II, 09/10/2013, n. 22990).
I presupposti della costituzione di una servitù di scarico coattivo ex art. 1043 c.c. non differiscono, compatibilmente con il diverso contenuto della servitù, da quelli contemplati dall'art. 1037 c.c. per la costituzione della servitù di acquedotto coattivo, applicabili in virtù del richiamo operato dalla prima di dette norme alle disposizioni degli articoli precedenti per il passaggio delle acque; di conseguenza occorre, pertanto, come per l'acquedotto coattivo, che il passaggio richiesto - sempre che il proprietario del fondo non abbia altre alternative per liberarsi dalle acque di scarico, anche con la creazione di una servitù volontaria - sia il più conveniente ed il meno pregiudizievole per il fondo servente, avuto riguardo alle condizioni dei fondi vicini, al pendio ed alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque (Trib. Bologna, Sez. II, 20/11/2012).
In ogni caso, merita di essere ricordato che il criterio del minor pregiudizio si riferisce esclusivamente al fondo servente e quello della maggior convenienza anche al fondo dominante, il quale non deve essere assoggettato ad eccessivo disagio o dispendio (Cass. civ., sez. II, 31/03/2015, n. 6562).