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Niente giochi nel cortile? Regolamento nullo

I bimbi condomini hanno diritto ad utilizzare il cortile per poter giocare? Si tratta di un diritto assoluto o può essere in qualche modo limitato?
Avv. Anna Nicola - Foro di Torino 

Il tema del diritto al gioco in capo ai bambini è un tema estremamente delicato, essendo un momento per loro di crescita ed educazione.

Premessa: Convenzione Onu

La Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia del 1989 già riconosce questo diritto, stabilendo, tra le altre cose, il diritto al gioco per tutti i bambini.

Esso è sancito dai due commi dell'articolo 31 sulla cui base gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.

Inoltre sempre gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l'organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.

Il caso del Tribunale di Crotone

Il tema dei diritto al gioco è stato di recente affrontato dal Tribunale di Crotone, con la sentenza n. 882 del 20 luglio 2020.

Il caso di specie nasce dall'impugnazione da parte di un condomino nei confronti della delibera assembleare di condominio che, tra le altre cose, ha approvato il regolamento dello stabile.

Sebbene nel corso della riunione un altro condomino aveva affermato che "il gioco dei bambini nel cortile non può essere vietato ma solo regolamentato", l'assemblea è andata avanti con l'approvazione del regolamento.

Il regolamento condominiale approvato dall'assemblea impugnata testualmente indica che "È proibito che l'androne di ingresso, il cortile interno, gli accessi dello stabile e gli stessi sottosuoli siano adibiti a luogo di ritrovo dei ragazzi".

Nell'atto pubblico di compravendita dell'alloggio della condomina impugnante nulla afferma in merito ad eventuali obblighi, di natura contrattuale o assembleare, derivanti dal regolamento condominiale.

L'art. 1138, 4° comma, c.c., poi, "Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137".

Le clausole del regolamento di condominio: contrattuali, assembleari, inderogabili

Sul punto si osserva come per comodità giurisprudenza e dottrina utilizzano la locuzione «regolamento di condominio» per riferirsi genericamente a quel testo e poi distinguere le clausole che esprimono una volontà contrattuale e traggono forza vincolante dal consenso unanime dei condomini ,- c.d. contrattuali -, da quelle che esprimono una volontà collegiale e sono modificabili a maggioranza, c.d. regolamentari o regolamentari in senso stretto. Infatti, l'art. 1138 c.c. disciplina il regolamento di condominio c.d. "assembleare".

Così si determinano i casi in cui è necessario adottarne uno (c.d. regolamento obbligatorio), indicando la maggioranza necessaria per la sua approvazione, regolandone la trascrizione, l'impugnazione e l'efficacia.

Il quarto comma sempre dell'art. 1138 c.c. dispone che il regolamento di condominio in ogni caso non può incidere sui diritti di ciascun condomino così come determinati dalle convenzioni tra i condomini o dagli atti di acquisto.

Solo un'apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio, quindi, può determinare il contenuto del diritto di proprietà di ciascun condomino e derogare alla disciplina dispositiva in materia di parti comuni (artt. 1127 e 1118 c.c.). Si tratta, evidentemente, di veri e propri contratti che ineriscono all'oggetto o al contenuto del diritto di ciascuno e non hanno nulla a che vedere con le competenze dell'assemblea.

Occorre ricordare poi la necessità che il contratto tra condomini idoneo a incidere sui diritti reali di ciascun condomino rivesta forma scritta (art. 1350 c.c.) e sia reso pubblico col mezzo della trascrizione ai fini della opponibilità ai successivi aventi causa (art. 2643 c.c.).

Secondo un recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione, il difetto di trascrizione di un atto (nella specie, di un regolamento di condominio) quale fatto impeditivo dell'opponibilità di esso, viene affidato, in quanto tale, unicamente all'espressa e tempestiva eccezione della parte interessata, e non costituisce oggetto di un'eccezione in senso stretto, quanto di un'eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie (cfr. Cass. civ., sentenza n. 6769 del 19 marzo 2018) .

La prima alienazione, inoltre, è il titolo costitutivo del condominio e, al contempo, è un contratto stipulato tra tutti i condomini. Rappresenta, dunque, la sede ideale per la determinazione delle destinazioni d'uso delle parti comuni e delle unità immobiliari in proprietà individuali nonché per la deroga alla disciplina di diritto dispositivo (cfr. Cass. civ. n. 16022/2002; Cass. civ. n. 11877/2002).

Pertanto, la natura (contrattuale, modificabile con l'unanimità dei consensi dai condomini; o regolamentare in senso stretto, modificabile a maggioranza dai condomini) di una clausola regolamentare dipende unicamente dal suo contenuto.

Infatti, mediante clausole contrattuali i condomini possono, entro i limiti propri dell'autonomia privata (art. 1322 c.c.) e delle norme imperative dettate in materia di condominio, regolare ogni tipo di rapporto tra loro, configurando, dal punto di vista strutturale, un contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti e scopo comune.

Cortile condominiale, nozione ed uso: disciplina e limiti

La giurisprudenza ha più volte affermato che le norme richiamate dall'art. 1138, 4 comma, c.c. (artt. 1118, 2 comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137, c.c.), non possono essere derogate nemmeno da un regolamento contrattuale (cfr. Cass. civ. n. 11268/1998).

Il problema pratico più rilevante, tuttavia, resta quello di distinguere le clausole contrattuali in ragione della natura degli effetti che sono idonee a produrre. Se, infatti, si ammette che una certa clausola produce effetti reali, questa, una volta trascritta, vincolerà tutti i successivi acquirenti; viceversa, una clausola che produce effetti solo obbligatori non sarà opponibile ai successori a titolo particolare, in mancanza di una loro adesione anche solo per fatti concludenti (cfr. Cass. civ. n. 10523/2003; cass. civ. n. 7353/1996).

Il problema può agevolmente essere risolto per le clausole dirette a disciplinare contrattualmente interessi personali nell'uso dei beni comuni o in proprietà esclusiva che, proprio per questo loro contenuto, non possono che avere efficacia obbligatoria.

Nei casi in cui, invece, non c'è dubbio sulla realità dell'interesse regolato da una clausola, la giurisprudenza dimostra di non dubitare nemmeno della produzione di effetti reali, come nel caso delle clausole che determinano le destinazioni consentite o vietate dei beni in proprietà esclusiva (cfr. Cass. civ. n. 8216/2005) o comuni (cfr. Cass, civ. n. 2106/2004).

Si può acquistare il cortile condominiale?

Inoltre, atteso che l'efficacia delle clausole contrattuali che disciplinano interessi di natura reale è quella di dar luogo a vincoli di destinazione di natura reale, è ammessa la trascrivibilità di dette clausole nei registri immobiliari al fine della loro opponibilità ai successivi acquirenti delle singole unità immobiliari che non le abbiano comunque accettate (cfr. Cass. civ. n. 15794/2002; Cass. civ. n. 3749/1999; Cass.civ. n. 714/1998).

Nel caso oggetto del presente giudizio, nel verbale dell'assemblea condominiale impugnato, si legge che l'assemblea condominiale approva il regolamento di condominio a maggioranza.

La stessa ha espresso volontà favorevole al divieto di uso dell'androne di ingresso, del cortile interno, degli accessi dello stabile e dei sottosuoli "a luogo di ritrovo dei ragazzi", e, quindi, all'uso e al godimento di tale bene comune da parte "dei ragazzi" (cfr. verbale di assemblea condominiale del 11.12.2006 e regolamento di condominio, allegato al fascicolo di parte attrice, in atti).

Né risulta, peraltro, agli atti del giudizio, che il regolamento di condominio oggetto di causa sia stato reso pubblico col mezzo della trascrizione ai fini della opponibilità, ai sensi dell'art. 2643 c.c., ai successivi acquirenti che non lo abbiano comunque accettato, seppur limitatamente ad alcune clausole, e, quindi, anche nei confronti dell'attuale parte attrice.

Il pensiero della Suprema Corte sul diritto al gioco

Il tribunale di Crotone osserva come la Suprema Corte di Cassazione abbia stabilito che la disciplina dei giochi dei bambini nei viali del cortile-giardino condominiale non integra una occupazione degli stessi ne un'alterazione della destinazione della cosa comune, con impedimento del pari uso degli altri condomini, risolvendosi in una forma di utilizzazione diversa da quella normale ma non illegittima, essendo compatibile con la destinazione del bene.

L'uso dei beni comuni

Una certa destinazione può essere disposta dall'assemblea con deliberazione adottata con la maggioranza prevista dall'art 1136 cod. civ. ancorché il regolamento di condominio di natura contrattuale vieti l'occupazione delle parti comuni da parte dei condomini (Cass., n. 4479 del 08/07/1981).

Inoltre, l'art. 1138, 1° comma, c.c., determina il contenuto minimo del regolamento obbligatorio, disponendo che esso comprenda norme sull'uso delle cose comuni.

La norma al contempo riconosce espressamente natura regolamentare alle clausole che hanno ad oggetto l'uso delle cose comuni. Si tratta delle clausole che determinano le modalità d'uso delle cose comuni e, in genere, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali.

Una clausola regolamentare quindi può disciplinare anche l'uso delle parti comuni, in ragione delle sue funzioni, ma non escluderlo.

Fatto salvo, in ogni caso, l'equilibrio che deve essere conservato tra le possibili concorrenti utilizzazioni del bene comune (cfr. cass. civ. n. 16228/2006; Cass. civ. n. 12873/2005; Cass. civ. n. 9649/1998).

Una siffatta clausola risponde alla legittima esigenza di razionalizzare l'uso delle parti comuni (cfr. Cass. civ. n. 10289/1998), purché non si traduca nella esclusione di alcun condomino dalla possibilità di servirsene.

La decisione di introdurre il divieto dell'uso di un bene comune, invece, incide sulla destinazione di parti comuni (cfr. Cass. civ. n. 5626/2002).

Le clausole dei regolamenti che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni e quelle che attribuiscono ad alcuni di loro maggiori diritti rispetto agli altri hanno natura contrattuale e sono modificabili soltanto con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione, che deve essere manifestato in forma scritta, essendo esse costitutive di oneri reali o di servitù prediali da trascrivere nei registri immobiliari della conservatoria per l'opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti o di altre porzioni immobiliari dell'edificio condominiale; mentre per la variazione di clausole che disciplinano l'uso delle cose comuni è sufficiente la deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, comma 2, c.c. (cfr Cass., n. 5626/2002).

Conclusione

Per le motivazioni esposte, il tribunale ha accolto la domanda formulata di nullità del regolamento di condominio.

Avendo la clausola in oggetto natura contrattuale è modificabile soltanto con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione e, quindi, anche con il consenso del condomino impugnante, mancante nel caso di specie.

Inoltre, il tribunale rammenta l'art. 1138, 4° comma, c.c., che stabilisce che "Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137".

Qui il testo della sentenza

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