Condominio Web: Il portale N.1 sul condominio
Iscriviti alla
Newsletter
chiudi
Inviaci un quesito

Il condominio può vietare l'apertura di un fruttivendolo?

Anche per l'apertura di negozi in condominio le clausole dei regolamenti contrattuali possono limitare poteri e facoltà di godimento dei proprietari.
Dott.ssa Lucia Izzo 
17 Giu, 2020

Non è affatto raro nella pratica trovare in condominio degli immobili che, anziché ospitare private abitazioni, vengono adibiti per lo svolgimento di altre tipologie di attività, ad esempio commerciali oppure per uffici e così via.

Una pratica che, seppur attenga soprattutto ai locali situati al piano terra, coinvolge anche quelli posti ai piani superiori. Gli esempi sono davvero molteplici, si pensi ad esempio a edifici che ospitano palestre, centri estetici, scuole di musica, asili nido, ma anche bar, ambulatori e uffici medici, nonché negozi di ogni genere. Il tutto in concomitanza con la presenza delle abitazioni dei residenti.

Condizioni per aprire un fruttivendolo in un condominio

Potenzialmente, dunque, anche un fruttivendolo potrebbe scegliere un locale condominiale per destinarlo allo svolgimento della propria attività di vendita di prodotti di frutta e verdura.

E il proprietario dello stesso potrebbe concederglielo in locazione a tale scopo, previa adozione di tutte le accortezze burocratiche e non affinché il locale possa assolvere a questa destinazione d'uso.

Non sempre, però, questo genere di iniziative trova l'apprezzamento della compagine condominiale, poiché gli inquilini temono sempre che alcune attività possano creare loro fastidi di ogni sorta, a partire dai rumori a diverse ore del giorno, dagli schiamazzi provocati dai clienti ed altro ancora.

Le esigenze della proprietà si scontrano spesso con il mantenimento di una "pacifica convivenza" con gli altri comproprietari, ma i semplici "timori" non sono affatto sufficienti per poter vietare l'apertura di un fruttivendolo in condominio.

Nonostante il proprietario abbia, di norma, la facoltà di utilizzare il proprio locale a suo piacimento, è però possibile che vi siano validi divieti che di fatto impediscano questo pieno godimento, compresi quelli relativi all'apertura di negozi e attività commerciali. La loro ammissibilità, però, è subordinata alla presenza di determinati presupposti.

Tipologie di regolamento e loro impatto sulle attività commerciali

Come noto, il documento che disciplina la vita condominiale è rappresentato dal regolamento di condominio che può essere di tipo assembleare o anche di tipo contrattuale.

Del primo se ne occupa diffusamente l'art. 1138 del codice civile quando afferma che, negli edifici in cui il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un apposito regolamento.

Questo, prosegue l'articolo del codice, dovrà contenere le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione.

Per la sua approvazione (e per modificarlo) è sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea e che rappresentano almeno la metà del valore dell'edificio.

Per espressa dizione di legge, dunque, questa tipologia di regolamento ha un contenuto "minimo" e, tra le altre cose, non potrà in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso potrà derogare a una serie di disposizioni codicistiche.

Diverso, invece, è il regolamento c.d. contrattuale che consente anche di estendere il suddetto ambito applicativo fino al punto di imporre limiti ai diritti sulla proprietà esclusive e, in taluni casi, derogare rispetto a quanto previsto dalla legge.

Condominio-consumatore e clausole vessatorie

Un regolamento avente tale natura potrebbe essere quello predisposto dal costruttore dell'immobile e accettato all'atto di acquisto delle singole unità immobiliari ancora in costruzione, in quanto allegato o richiamato espressamente agli atti d'acquisto, oppure quello sottoscritto all'unanimità con il consenso di tutti i partecipanti.

Si tratta di regolamenti che, essendo costitutivi di oneri reali, vengono solitamente trascritti nei registri immobiliari della conservatoria per l'opponibilità ai terzi acquirenti di appartamenti o di altre porzioni immobiliari del condominio.

Un regolamento di tal fatta potrà prevedere effettivamente delle limitazioni che incidono sulla proprietà privata e sui diritti altrimenti spettanti ai condomini.

Tra le clausole contenute al suo interno potranno figurare quelle che vietano di destinare le unità immobiliari ad attività che normalmente sarebbero lecite, non consentendo dunque l'apertura di locali e lo svolgimento attività commerciali come quella di un fruttivendolo.

I criteri legali di ripartizione delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori

Regolamento condominiale ed esplicita limitazione

Anche la giurisprudenza di legittimità è pressoché unanime nel ritenere che le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale siano idonee a imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà di godimento spettanti ai condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà, e ciò sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare.

Tuttavia, sempre la Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 213047/2016), ha chiarito che, per evitare ogni equivoco in una materia atta a incidere sulla proprietà dei singoli condomini, tali divieti e limiti devono risultare da espressioni chiare e pressoché univoche, avuto riguardo, più che alla clausola in sé dove sono contenuti, alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda a un interesse meritevole di tutela.

La compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, dovrà risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze (cfr. Cass. un. 20237/09, n. 16832/09, n. 10523/03).

Nell'interpretazione di tali clausole, volta a ricercare la comune intenzione o all'individuazione della regola dettata dal regolamento contrattuale, non potrà prescindersi dall'univocità delle espressioni letterali utilizzate, dovendosi in linea di principio evitare interpretazioni di carattere estensivo.

Ciò, secondo la giurisprudenza, sia per quanto attiene all'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, ma, ancor più, per quanto concerne la corretta individuazione dei beni effettivamente assoggettati alla limitazione circa le facoltà di destinazione di norma spettanti al proprietario.

Pertanto, se il regolamento non vieta in modo esplicito l'apertura di una determinata attività nei locali condominiali, con clausole la cui interpretazione sia chiara e univoca in ordine all'uso non consentito oppure ai pregiudizi che questo può causare (es. rumori molesti, immissioni, disturbo della tranquillità, ecc.) non sarà possibile impedire al proprietario dell'immobile di usarlo, ad esempio, per aprirvi un negozio o un fruttivendolo ottenute le necessarie autorizzazioni dalle autorità competenti.

Resta aggiornato
Iscriviti alla Newsletter
Fatti furbo, è gratis! Più di 100.000 amministratori, avvocati e condomini iscritti.

Ricevi tutte le principali novità sul condominio e le più importanti sentenze della settimana direttamente nella tua casella email.

Dello stesso argomento