Mettendo a frutto le opportunità offerte dalla Riforma, con un uso sapiente delle clausole arbitrali, i condomini potranno trovare nell'arbitrato un potete mezzo per affrontare con rapidità e certezza i loro conflitti, evitando i tempi e i costi di una causa in Tribunale.
Contenzioso condominiale: tipologie e problematiche comuni
Si stima che il contenzioso condominiale rappresenti circa un terzo delle controversie pendenti nei Tribunali. La materia di per sé è contrassegnata da un alto tasso di litigiosità, vuoi per la prossimità delle relazioni umane, concentrate in spazi comuni, vuoi per i numeri a volte molto elevati di condomini in stabili di grandi dimensioni, in cui è spesso impossibile avere una visione comune della gestione delle parti condominiali dell'edificio (tetti, piazzali, scale, impianti etc…).
Le controversie nel condominio hanno per oggetto rumori, immissioni, molestie, impugnazioni delle delibere, questioni relative all'amministratore di condominio, alle spese comuni, agli interventi di manutenzione dello stabile.
La peculiarità di questo genere di controversie è che diventa particolarmente difficile comporre il conflitto tra le parti, che spesso sono molte e con interessi diametralmente opposti.
Per questo la mediazione civile non sempre riesce nell'intento di comporre il conflitto facendo a meno di una decisione presa dall'alto, secondo la legge.
Inoltre, se il conflitto si esaspera al punto da richiedere un intervento decisorio è perchè anche l'amministratore non è riuscito a comporre le posizioni contrapposte e dunque ci si trova davanti a posizioni "non mediabili".
Arbitrato per dirimere i contrasti nel condominio
Ciò non significa però che portare la causa in Tribunale sia l'unico rimedio. Ben possono le parti ricorrere all'arbitrato, abbattendo tempi e costi del contenzioso, specie se all'interno del regolamento di condominio è stata inserita una clausola compromissoria, che impegni i condomini a devolvere all'arbitro le possibili controversie tra di loro insorte.
Più difficile, ma pur sempre possibile se si vogliono evitare i costi di un giudizio ed il regolamento di condominio non contiene già la clausola arbitrale è approvare con apposita delibera l'impegno a ricorrere all'arbitrato.
La deroga all'autorità giudiziaria, sia che venga contenuta nel regolamento, sia che venga operata con apposita delibera, richiede in ogni caso l'unanimità dei condomini.
Arbitrato: definizione e vantaggi nel risolvere le controversie
Con l'arbitrato le parti convengono di far decidere, secondo la legge, la controversia insorta ad un arbitro. L'istituto è regolato dal Codice di Procedura civile e recentemente rafforzato dalla Riforma Cartabia che ha inteso incentivarne l'uso prevedendo maggiori poteri, anche cautelari per l'arbitro, ed incentivi economici per il ricorso a questo strumento.
Nel codice di procedura civile la norma di riferimento è l'art. 806 c.p.c. a norma del quale "Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge".
Come si devolve una controversia all'arbitro?
Lo strumento con il quale si devolve all'arbitro la controversia è previsto dall'art. 807 c.p.c. ed è denominato:
- compromesso (art. 807 c.p.c.) se viene concluso a controversia già insorta, come impegno tra le parti a devolverla all'arbitro. Il compromesso deve essere scritto (a pena di nullità) e determinare l'oggetto della controversia.
- clausola compromissoria (art. 808 c.p.c.), se riferita ad un accordo, contratto o regolamento (come appunto il regolamento condominiale), contenuta al suo interno o in atto separato, come impegno a devolvere le controversie future ed eventuali tra le parti ad un arbitro;
- convenzione di arbitrato (art. 808 bis c.p.c.), se stipulata al di fuori di un contratto, ed è l'impegno tra le parti a risolvere le eventuali controversie extracontrattuali ad un arbitro.
In questo caso è necessario che siano chiaramente determinati i rapporti da cui possono sorgere le possibili controversie
Effetti della domanda di arbitrato: prescrizione e opponibilità
Per rafforzare la fiducia nello strumento arbitrale, la Riforma Cartabia ha sancito espressamente l'equiparazione tra il lodo e la sentenza, in merito agli effetti sostanziali.
La conseguenza è che la proposizione della domanda arbitrale vale ad interrompere la prescrizione così come avviene per la domanda giudiziale; inoltre la domanda di arbitrato può essere trascritta se riguarda beni immobili o mobili registrati, ai fini dell'opponibilità ai terzi.
A norma del nuovo art. 816 bis c.p.c. "La domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantiene nei casi previsti dall'articolo 819-quater c.p.c."
Il lodo arbitrale: effetti e modalità di esecuzione
Nell'arbitrato c.d. rituale, la decisione, denominata lodo, produce gli stessi effetti della sentenza emessa dall'autorità giudiziaria. Tuttavia, a differenza di questa, il lodo non è immediatamente esecutivo.
Ciò significa che se la decisione dell'arbitro non viene spontaneamente eseguita dalle parti, quella che ha interesse all'esecuzione, deve chiedere la dichiarazione di esecutività al Tribunale nel cui circondario è stato pronunciato l'arbitrato (art. 825 c.p.c.). Il lodo arbitrale può essere impugnato per nullità, revocazione e opposizione di terzo.
L'arbitrato rituale si differenzia dall'arbitrato c.d. irrituale (art. 808 ter c.p.c.) che è quello che si conclude con un lodo che non ha effetto di sentenza ma di determinazione contrattuale, e dunque annullabile.
Nomina dell'arbitro: procedure e modalità di scelta
La nomina dell'arbitro avviene di regola ad opera delle parti (art. 810 c.p.c.), ciascuna delle quali, con atto notificato per iscritto rende noto all'altra l'arbitro o gli arbitri che intende nominare. La nomina avviene dunque di comune accordo.
Ma se le parti non si accordano sulla scelta è consentito fare ricorso al Presidente del Tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato (art. 810 comma 2 c.p.c.), se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato, e se tale luogo è all'estero, ci si rivolge al Presidente del Tribunale di Roma.
Nel compromesso o nella clausola compromissoria, i condomini possono anche conferire ad un terzo il potere di nomina dell'arbitro.
Imparzialità ed indipendenza degli arbitri
L'accettazione dell'arbitro o degli arbitri, se è nominato un collegio arbitrale, deve avvenire per iscritto e può risultare dalla sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione (art. 813 c.p.c.)
Tra le novità introdotte dalla Riforma Cartabia, per favorire l'utilizzo di questo strumento di ADR, ci sono una serie di norme finalizzate a rafforzare il principio di imparzialità e indipendenza degli arbitri, imponendo a questi ultimi di rilasciare, al momento dell'assunzione dell'incarico, una dichiarazione che contenga tutte le circostanze di fatto che potrebbero portare alla sua ricusazione.
L'omessa dichiarazione rende annullabile l'accettazione dell'arbitrato, mentre la dichiarazione resa tacendo una circostanza rilevante, determina la decadenza dell'arbitro dal proprio ufficio.
Provvedimenti cautelari nell'arbitrato: poteri e controllo
L'art. 818 c.p.c. dopo la modifica della Riforma Cartabia rafforza i poteri degli arbitri consentendo loro di emettere provvedimenti cautelari. Tale potere deve essere attribuito agli arbitri dall'espressa volontà delle parti, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto successivo, comunque anteriore all'instaurazione dell'arbitrato.
Contro la misura cautelare è ammesso reclamo davanti alla Corte d'appello, per motivi di nullità previsti dall'art. 829 c.p.c.
Per quanto riguarda l'attuazione delle misure cautelari, il nuovo art. 818 ter c.p.c. ne affida il controllo Tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato, o se la sede non è in Italia, al tribunale del luogo in cui la misura deve essere attuata.
Il controllo del Tribunale in sede di attuazione delle misure resta necessario in considerazione del fatto che gli arbitri, quali soggetti privati, sono privi di poteri coercitivi, e dunque possono "decidere" ma non ordinare l'esecuzione delle loro decisioni.