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Filma la vicina nuda sotto la doccia. Assolto perché il bagno non aveva le tende. Una sentenza non condivisibile per gli addetti ai lavori

Non è reato riprendere chi non si preoccupa di proteggere adeguatamente la propria intimità, ma la norma non è più attuale e andrebbe rivista.
Avv. Carlo Pikler Avv. Valerio Palma Privacy And Legal Advice 2018 Srl 
11 Gen, 2019

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 2598 del 08.01.2019, resa dalla III sezione penale, è tornata ad occuparsi del delicato tema della tutela della riservatezza del privato cittadino.

Nella specie, si è espressa sulla fattispecie di reato di cui all'art. 615-bis cp (interferenze illecite nella vita privata), ai sensi del quale chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni … (omissis).

Nel precedente grado di giudizio l'imputato era stato condannato, fra gli altri, anche per il reato anzidetto, in quanto aveva indebitamente realizzato filmati e fotografie di una vicina di casa mentre costei si trovava nella doccia della propria abitazione, ovviamente nuda.

Il Supremo Collegio ha accolto il ricorso limitatamente a tale capo di imputazione, ritenendo non integrata la condotta illecita. Ma vediamo il perché di una sentenza che ha suscitato subito molto scalpore.

Secondo la giurisprudenza, la norma in esame mira a proteggere la privacy della vita familiare che si svolge nei luoghi considerati intimi per eccellenza, come la privata dimora, o comunque la propria residenza e/o domicilio, nonché le aree di loro immediata pertinenza.

Pertanto, colui che ha la titolarità del rapporto con tale ambiente domestico, e che ha il diritto di realizzarvi al suo interno la propria vita in libertà, ha conseguentemente anche il diritto di escludere il terzo "indesiderato" dalla partecipazione a tale sfera personale. Senza il mio consenso, quindi, è questo il concetto, nessuno può "penetrare la mia intimità".

La Cassazione si sofferma sul concetto di "indebitamente". Per i giudici la norma va necessariamente letta in relazione all'art. 614 c.p., sul quale sarebbe "ritagliata".

Seppure la condotta, quindi, di fotografare o riprendere qualcuno, abbia a oggetto i luoghi di abitazione del fotografato o del ripreso, la stessa non sarebbe illecita (rectius: indebita) ove non avvenga in contrasto od eludendo clandestinamente o con inganno, la volontà di chi abbia il diritto di escludere dal luogo l'autore delle riprese (sentenza in commento, che richiama Sez. 3, n. 27847 del 30/04/2015).

Tale pronuncia non fa che allinearsi all'orientamento, definito come pacifico, secondo cui il reato di interferenze illecite nella vita privata non sarebbe mai ravvisabile quando non siano ripresi comportamenti della vita privata sottratti alla normale osservazione dall'esterno, posto che la tutela del domicilio è limitata a ciò che si compie nei luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi (sentenza in commento, che richiama Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015 e Sez. 5, n. 25453 del 18/04/2011).

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Come osservato nell'intervista rilasciata da Antonello Soro, alla agenzia stampa AdnKronos lo scorso 9 gennaio 2019, la pur condivisibile assoluzione dell'imputato alla luce dell'attuale normativa e degli approdi giurisprudenziali, si centra su una lettura forte del termine "indebitamente".

Anche per l'illecito penale, infatti, si ritiene di poter concordare, alla luce delle moderne tecnologie e della loro rapida evoluzione, nonché della facilità di diffusione, anche "virale", delle immagini attraverso il mondo dei social network, andrebbe in un certo senso anticipata la soglia di tutela della privacy dell'individuo.

Per l'attuale giurisprudenza penalista, infatti, sembrerebbe che il consenso del ripreso possa ritenersi tacitamente dato ogniqualvolta le riprese avvengano in luoghi, pur privati, potenzialmente esposti all'altrui e generalizzata interferenza, in quanto non opportunamente protetti (il bagno del caso deciso non aveva infatti le tende alla finestra).

Tale impostazione, però, anche secondo chi scrive, non è oggi più condivisibile.

Come anche sostenuto dal Presidente di Federprivacy Nicola Bernardi, "solo in rarissimi casi potrebbe essere possibile effettuare delle riprese senza il consenso dell'interessato, come ad esempio nell'esercizio del diritto di cronaca o nello svolgimento delle indagini giudiziarie, ma l'imputato non era né giornalista né poliziotto" e si è perpetrata, quindi, "una grave violazione della privacy con il rischio che molte persone pensino che d'ora in poi sia diventato lecito filmare e fotografare chicchessia senza preoccuparsi di chiedere il preventivo consenso ai diretti interessati". Tale "deriva" sarebbe molto pericolosa e, indubbiamente, da scongiurare.

L'interpretazione giurisprudenziale come posta, per di più, porta ad un capovolgimento dei ruoli tra offeso e offendente, ponendo sul primo un onere che non gli dovrebbe competere.

Quasi che debba essere l'offeso, quindi, utilizzando una metafora civilistica, a dimostrare che si è "difeso" abbastanza, con un'inversione dell'onere della prova inaccettabile.

Si osserva, allora, in linea con le dichiarazioni di Soro, che la norma penale in oggetto, così come è scritta oggi, andrebbe ripensata proprio alla luce di un'aumentata esigenza di protezione della propria intimità e riservatezza, che deve fare i conti con mezzi di "penetrazione" sempre più sofisticati, subdoli, potenti e invasivi.

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