Ancora una volta, in sede giudiziale, si sono scontrate le tesi contrapposte di un condominio e di un'impresa in merito al mancato pagamento dei lavori di ristrutturazione dell'edificio. Nel gioco delle parti e delle eccezioni da queste sollevate è stato, però, evidenziato il presunto inadempimento dell'appaltatrice.
La particolarità del caso sta, però, nel fatto che ad agire in recupero del credito è stato il curatore del fallimento. La società in questione era, infatti, fallita. Tale circostanza, secondo l'ufficio giudiziario adito, non è stata priva di conseguenze sulle difese proposte dal condominio debitore.
Ad ogni modo, sulla vicenda, si è espresso il Tribunale di Milano con la sentenza n. 10329 del 13 dicembre 2021.
Vediamo, perciò, cosa ha stabilito l'ufficio lombardo, non prima, però, di aver descritto il caso concreto.
Fallimento impresa ed eccezione d'inadempimento: il caso concreto
I fatti risalgono al 2009, allorquando un condominio sito in provincia di Milano affidava ad un'impresa il compito di eseguire vari lavori di ristrutturazione nel fabbricato. A quanto pare, però, eseguite le opere ed emesse le fatture secondo i vari stati di avanzamento lavori, il credito maturato non era stato, regolarmente, corrisposto.
Nelle more del pagamento, l'impresa era, quindi, oggetto di fallimento. Pertanto, il compito di gestire e recuperare il credito, in nome e per conto della società fallita, era assunto dal curatore.
In tale ruolo, questi chiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo a carico del condominio, a seguito del quale al predetto debitore era ingiunto il pagamento di circa ottantamila euro, comprensivi di sorta capitale ed interessi moratori. Ne scaturiva, perciò, l'opposizione oggetto della decisione in commento, all'interno della quale l'opponente proponeva varie eccezioni.
Tra queste, si sollevava quella sulla presunta incompetenza del Tribunale adito, visto che, secondo il contratto, ogni contestazione in merito andava risolta dinanzi ad un arbitro unico, specificatamente identificato (cosiddetta clausola compromissoria).
Inoltre, nel merito, il difensore del condominio fondava e giustificava il contestato mancato pagamento sulla base dell'inadempimento della controparte.
In altri termini, era questo il motivo per cui si era rifiutato di versare il corrispettivo pattuito (Art. 1460 c.c.).
Il Tribunale di Milano, esaurita l'istruttoria di natura, esclusivamente, documentale, si è ritenuto competente a giudicare ed ha negato l'operatività dell'eccepita clausola compromissoria.
All'interno di questa era, chiaramente, scritto che sarebbe stata applicabile solo in caso di contestazioni sorte durante l'esecuzione del contratto.
Pertanto, non essendo più pendente alcun rapporto tra le parti, la clausola de quo non poteva essere presa in considerazione.
Infine, ha rigettato l'opposizione, giudicando provato il credito azionato ed inammissibile l'eccezione d'inadempimento sopra descritta.
La soccombenza sulle spese di lite è stata un'ulteriore conseguenza del rigetto.
Eccezione d'inadempimento: applicabile solo per i contratti in corso
Secondo il codice civile «Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto (Art. 1460 co. 1 c.c.)».
La presente disposizione si applica, perciò, in pendenza del rapporto a prestazioni corrispettive, durante il quale, anche dinanzi ad un ritardo della prestazione attesa piuttosto che di fronte ad un'inesattezza, la controparte, legittimamente, può sospendere il proprio pagamento, senza incorrere in alcuna responsabilità o conseguenza.
È chiaro, quindi, che è possibile invocare questa norma solo dinanzi ad un contratto ancora in essere e che, mediante questa eccezione, si può sospendere la propria obbligazione «l'eccezione di inadempimento è un sistema di "autotutela" della parte, che le consente di "sospendere" la propria prestazione per sollecitare la controparte all'adempimento, ma non implica che le due prestazioni si intendano risolte o inesigibili, ma solo sospese in attesa di una eventuale risoluzione o di un adempimento».
Pertanto, venendo al caso in esame, appare arduo invocare l'eccezione d'inadempimento nei riguardi del contratto azionato dal curatore, in nome e per conto del fallito. Ciò perché, in ragione del particolare status giuridico del creditore, si tratta di un rapporto contrattuale ormai risolto.
Eccezione d'inadempimento: non è applicabile ai contratti con l'impresa fallita
Secondo il Tribunale di Milano, in ciò confortato dalla giurisprudenza della Cassazione, per bloccare un'azione di recupero avanzata dal curatore del fallimento del creditore (nello specifico un'impresa appaltatrice di lavori condominiali non integralmente corrisposti) non è possibile invocare l'eccezione ex art. 1460 c.c.
Infatti, questo strumento di tutela è utilizzabile soltanto per reagire all'inadempimento di un contratto ancora in corso e non certamente per contrastare una pretesa nascente da un rapporto non più pendente, come quello intrattenuto con una controparte fallita «Il contratto di appalto, anche di opera pubblica, si scioglie con effetto "ex nunc" a seguito dell'intervenuto fallimento dell'appaltatore ai sensi dell'art. 81 legge fall. (nella formulazione vigente "ratione temporis", anteriore alle modifiche introdotte con la legge 9 gennaio 2006, n. 5), con la conseguenza che al curatore spetta il corrispettivo maturato per le opere già eseguite, salvo il risarcimento dei danni conseguenti al ritardo e al non corretto adempimento dell'appaltatore; il committente non può, invece, invocare la disciplina prevista dall'art. 1460 cod. civ. in materia di eccezione di inadempimento, la quale, implicando la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, presuppone un contratto non ancora risolto"; cfr. Cass. n. 4616/2015)».
Perciò, nel caso in esame, il condominio opponente, contestando e provando l'inadempimento della controparte, avrebbe, semmai, potuto ottenere il risarcimento dei danni in sede fallimentare «Lo scioglimento dell'appalto per il fallimento dell'appaltatore, ex art. 81 L. F., facendo salvi gli effetti contrattuali già prodottisi, comporta che all'appaltatore - e per esso al curatore fallimentare - spetti il corrispettivo per le opere eseguite (v. anche Cass. n. 21411/2013), salvo il risarcimento degli eventuali danni per il non corretto adempimento dell'appaltatore stesso da far valere in sede fallimentare».
Evidentemente, invece, aver proposto un'opposizione, semplicemente, invocando un'inammissibile "exceptio non adimpleti contractus" è stato un errore.