A volte si pensa che, per commettere un reato, occorre compiere chissà quale condotta. Non è sempre così: secondo la Corte di Cassazione (13 gennaio 2021 - 28 febbraio 2021, n. 8001), anche solo spostare alcune scatole può costituire reato.
Può sembrare una storia divertente, un aneddoto, ma in realtà è proprio così. Per la precisione, secondo i Supremi giudici, chi sposta gli scatoloni che uno dei condòmini ha riposto nell'androne condominiale o in altra parte comune incorre nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose.
Lo stesso accade se, senza autorizzazione assembleare, si procede di propria spontanea volontà a una potatura così estrema delle piante da porne in pericolo la successiva ripresa, solo per un miglior godimento del proprio immobile.
Il reato si integra perché l'autore del fatto avrebbe ben potuto adire l'autorità giudiziaria per tutelare le proprie ragioni; al contrario, l'imputato aveva fatto tutto da solo, incorrendo così nel reato sopra citato. Analizziamo il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento.
Caso di esercizio arbitrario nel condominio per rimozione di scatole
Ricorreva per Cassazione un condomino che era stato condannato, sia in primo che in secondo grado, per i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose e minaccia.
Secondo la Pubblica accusa, l'imputato avrebbe rimosso con violenza (prendendoli a calci) alcuni scatoloni che contenevano beni destinati all'attività di uno dei condòmini che, nell'edificio, aveva la sede della propria società.
Le scatole in commento si trovavano depositate nelle aree comuni del condominio e, a detta dell'imputato, ostacolavano l'illuminazione del proprio appartamento. Pertanto, egli provvedeva in malo modo alla rimozione degli stessi, scaraventandone alcuni a diversi metri di distanza.
Non solo. Lo stesso imputato, per favorire l'accesso alla propria abitazione, aveva spontaneamente e senza autorizzazione alcuna potato alcuni arbusti condominiali riducendoli in condizioni tali da minarne la successiva ripresa. Infine, aveva minacciato di morte la vittima brandendo un cacciavite.
Il ricorso in Cassazione contro la condanna per esercizio arbitrario
Il ricorso in Cassazione dell'imputato si articolava sostanzialmente sulle seguenti ragioni.
Per quanto riguardava lo spostamento degli scatoloni, il ricorrente specificava che il condomino a cui appartenevano era solito lasciare i pacchi inviatigli nell'androne condominiale, suscitando le proteste degli altri condòmini e costituendo un intralcio, così che l'imputato si era limitato a prelevarli e a metterli davanti alla sua autorimessa.
Per ovviare a tale inconveniente non vi era da proporre alcuna azione giudiziaria, prospettandosi così la sola autotutela. Difatti, affinché possa integrarsi il reato di cui all'art. 392 cod. pen., occorre l'elemento indefettibile della possibilità di ricorso al giudice, condizione che deve sussistere sia in termini materiali che giuridici, nel senso che il soggetto deve trovarsi nella possibilità di fare il ricorso all'autorità giudiziaria e il diritto preteso deve essere suscettibile di effettiva realizzazione giudiziale.
Peraltro, il ricorrente specificava come non si fosse neppure verificato alcun danno agli scatoloni, così da potersi smentire pure la presunta accusa di averli "lanciati" lontano, prendendoli a calci.
Per quanto riguarda l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni in riferimento al taglio delle piante. In realtà, infatti, si era trattato di una semplice potatura tanto che gli alberi erano ancora presenti nel giardino condominiale ed avevano continuato a germogliare.
Secondo il ricorrente, la potatura rientra nell'ordinaria manutenzione di una pianta né è necessario che sia autorizzata da una delibera dell'assemblea condominiale. Si erano lamentati solo due condòmini perché il prevenuto non aveva rimosso alcuni pezzi di tronco e l'assemblea condominiale aveva deliberato di non agire contro il ricorrente. Al tempo il prevenuto era anche l'amministratore del condominio.
Esercizio arbitrario per spostamento scatole: la decisione
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento (13 gennaio 2021, n. 8001), rigetta il ricorso dell'imputato, confermando la condanna per i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose e di minaccia.
Al di là dell'attendibilità delle deposizioni rese in fase istruttoria, la Suprema Corte si concentra sulla configurabilità del reato di cui all'art. 392 cod. pen. anche nei casi di reazione a un'illegittima occupazione degli spazi condominiali.
Secondo gli ermellini, «Si deve, infatti, ricordare come in tema di utilizzo dei beni condominiali, ed in particolare degli spazi comuni (ingombrati, secondo l'imputato, dai pacchi indirizzati alla persona offesa), detti disposizioni l'art. 1102 cod. civ., la cui violazione può essere motivo di ricorso al giudice civile».
La Suprema Corte richiama un proprio precedente (Cass. Civ. sez. 6, n. 7618 del 18/03/2019) in cui si è affermato (in una fattispecie concreta analoga a quella che ha dato luogo alle condotte arbitrarie del prevenuto) che «in tema di condominio di edifici, l'art 1102 cod. civ., sull'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante, non pone alcun limite minimo di tempo e di spazio per l'operatività delle limitazioni del predetto uso, pertanto può costituire abuso anche l'occupazione per pochi minuti del cortile comune che impedisca agli altri condomini di partecipare al godimento dello spazio oggetto di comproprietà».
La Corte di Cassazione sconfessa quindi quanto sostenuto dal ricorrente nel proprio atto d'impugnazione, laddove affermava che la rimozione delle scatole altrui non si sarebbe potuta ottenere adendo l'autorità giudiziaria e che l'unico modo era quello di farsi giustizia da sé.
Invero, la violazione dell'art. 1102 cod. civ. (a tenore del quale, si ricordi, «Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto») può ben essere fatta valere in giudizio, non essendo dunque necessario provvedere da sé alla rimozione dell'ingombro causato dal condomino.
Quanto all'esercizio arbitrario delle proprie ragioni in riferimento al taglio delle piante, durante l'istruttoria era stato ampiamente accertato che la potatura effettuata era stata di tale entità (nello stesso ricorso si ricorda che, dopo il taglio, si era posto il problema di eliminare i pezzi di tronco, e non i soli rami, rimasti sul posto) da non rispondere affatto alla buona gestione delle piante (avendo così compiuto una violenza sulle cose) ma fosse finalizzata solo ad un miglior godimento dell'immobile da parte del prevenuto, senza interessarne e ricorrere all'assemblea condominiale.
Esorbitando pertanto l'intervento da qualsiasi forma di manutenzione ordinaria, anche tale condotta deve rientrare nell'alveo dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose.