Con sentenza emessa in data 29 dicembre 2022, n. 38087, la Corte di Cassazione, Sezione II, si è pronunciata su sette motivi di censura rinvenienti da azione intentata innanzi al Tribunale di Castrovillari da una proprietaria di un immobile nei confronti di altri proprietari i quali avevano installato su un muro comune condominiale, in corrispondenza dei locali dell'attrice dei contatori di acqua, luce e gas nonché una vaschetta di bronzo, destinati a servire all'appartamento di proprietà esclusiva dei medesimi convenuti, senza che fosse intervenuto il necessario consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio, per sentire accertare l'inesistenza dei vincoli reali a carico del condominio in questione, con susseguente condanna degli stessi alla rimozione delle citate opere.
Si costituivano in giudizio i citati convenuti, i quali, oltre a chiedere il rigetto della domanda dell'attrice, proponevano, a loro volta, domanda riconvenzionale per sentir dichiarare l'illegittimità del consenso all'uso del muro comune che l'attrice aveva concesso a terzi con riferimento alla collocazione - in corrispondenza del magazzino di sua proprietà - di un macchinario voluminoso alimentato con impianto di raffreddamento del locale, il quale risultava pregiudizievole per il decoro architettonico del locale.
Illegittimità di apposizione di contatori sul muro comune: la vicenda
Il Tribunale calabrese, con sentenza del 2009, riteneva fondato l'assunto di parte attrice ed accoglieva la domanda principale e respingeva la spiegata domanda riconvenzionale dei convenuti, con vittoria di spese.
Avverso tale pronuncia gli appellanti proponevano gravame innanzi alla Corte d'Appello di Catanzaro. Il giudice di appello territorialmente con sentenza depositata il 30 dicembre 2016, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava gli appellanti alla rimozione immediata delle sole opere costituite dai contatori dell'acqua e della luce elettrica realizzate a carico del fabbricato condominiale, con esclusione della vaschetta in bronzo, confermando nel resto l'impugnata decisione di prime cure e condannando gli appellanti alla rifusione delle spese del grado.
A fondamento dell'adottata pronuncia, la Corte territoriale, sulla premessa che con l'esercitata azione era stata introdotta una causa di "negatoria servitutis" e che, nella fattispecie, erano applicabili gli artt. 1102 e 1122 c.c. - rilevava che il primo giudice aveva correttamente ritenuto illegittime le suddette opere poiché gravanti sul muro condominiale ma serventi l'immobile adiacente di proprietà esclusiva degli appellanti, senza che fosse stato espresso alcun idoneo consenso al riguardo.
Escludeva, invece, che l'apposizione della vaschetta in bronzo arrecasse nocumento all'estetica del fabbricato, siccome - essendo di dimensioni ridotte - avente funzione soltanto ornamentale.
Avverso la decisione del giudice del gravame, i ricorrenti proponevano ricorso in cassazione adducendo sette motivi. Resisteva l'appellato con controricorso.
Analisi dei sette motivi di ricorso contro la sentenza di appello
Il primo motivo. I ricorrenti avevano denunciato - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la falsa applicazione degli artt. 949 e 1027 c.c., nonché dei principi generali in materia di servitù, unitamente alla violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1120 c.c. oltre che dei principi generali in materia di condominio negli edifici, congiuntamente alla violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e dei principi generali in materia di qualificazione della domanda.
Il secondo motivo. I ricorrenti avevano prospettato - in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 949, 1002 e 1120 c.c., denunciando l'erroneità della sentenza di appello.
Il terzo motivo. I ricorrenti hanno lamentavano - in ordine all'art. 360, comma 1, n. 3, c.c. - la violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c.
Il quarto motivo. I ricorrenti avevano dedotto - con riguardo all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - la violazione dell'art. 112 c.p.c. e, quindi, la nullità dell'impugnata sentenza per non essersi pronunciata sul motivo attinente al rigetto della su richiamata domanda riconvenzionale statuito con la sentenza di primo grado.
Il quinto motivo. I ricorrenti denunciavano -ai sensi dell'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.- la violazione e falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., prospettando il difetto assoluto di motivazione sul citato motivo attinente alla formulata domanda riconvenzionale.
Il sesto motivo. I ricorrenti denunciavano, avuto riguardo all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 91 e 336 c.p.c. per non aver il giudice di appello, pur riformando la sentenza di primo grado.
Il settimo motivo. I ricorrenti denunciavano -ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.- la nullità della sentenza e del processo in relazione all'asserito difetto di legittimazione passiva di essi ricorrenti (quali originari convenuti).
Esame preliminare sull'ammissibilità del ricorso e legittimazione attiva
La Suprema Corte riteneva opportuno esaminare, in via preliminare, l'eccezione contenuta nel controricorso in ordine alla inammissibilità sollevata dal contro ricorrente, assumendo l'esame del settimo motivo dove i ricorrente sosteneva il difetto di legittimazione attiva con riferimento all'azione esperita.
La Cassazione ritiene tale motivo del tutto infondato atteso che l'actio negatoria servitutis è stata intentata non per la rimozione delle tubature o degli impianti relativi ai servizi elettrici e di erogazione idrica, ma solo con riferimento all'illegittima apposizione dei relativi contatori (Cass. civ. sez. II, 11 settembre 2018, n. 22050).
L'actio negatoria servitutis: illegittimità di contatori sul muro comune
Gli ermellini precisavano che entrambi i giudici (prime cure e gravame) avevano qualificato correttamente l'azione intrapresa riconducendola ad un'actio negatoria servitutis in quanto riferibile all'illegittima apposizione sul muro comune dei due indicati contatori da parte degli attuali ricorrenti, i quali - tramite tale condotta - avevano creato un'illegittima servitù a carico di una proprietà condominiale ma in favore di una proprietà esclusiva attigua appartenente agli stessi ricorrenti.
Per completezza, l'azione negatoria è disciplinata dall'art. 949 c.c., secondo cui "Il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno".
Si evince dalla disposizione contenuta nella menzionata norma che tale azione è posta a difesa della proprietà e mira a fare dichiarare l'inesistenza di diritti reali affermati da terzi sulla cosa e a far cessare eventuali molestie o turbative che manifestino l'esercizio di tali diritti.
Principio in diritto: per imporre una servitù sul bene comune occorre il consenso di tutti condomini
La Suprema Corte ha condiviso quanto deciso dal giudice di appello che ha applicato alla fattispecie il corretto principio secondo cui l'esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune, per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini, nella specie non intervenuto (cfr. Cass. civ. sez. II, 16 gennaio 2013, n. 944; Cass. civ. sez. II, 21 febbraio 2019, n. 5132).
Tutti i motivi di ricorso sono stati dichiarati infondati ed inammissibili, tranne il quarto che afferisce la nullità dell'impugnata sentenza per non essersi pronunciata il giudice del gravame sul motivo attinente al rigetto della su richiamata domanda riconvenzionale statuito con la sentenza di primo grado. Tale motivo è ritenuto fondato perché la Corte territoriale sulla proposizione dello specifico motivo di gravame, non si è pronunciata, essendosi incentrata esclusivamente sui motivi principali attinenti all'imposizione illegittima della servitù tramite l'apposizione di contatori sul muro comune.
In conclusione, la Suprema Corte accoglieva il quarto motivo del ricorso, rigettava i primi tre motivi ed il settimo, dichiarava inammissibile il quinto ed assorbito il sesto, cassava l'impugnata sentenza in relazione al motivo accolto anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.