Il proprietario dell'ultimo piano di un fabbricato, nel rispetto della normativa urbanistica, potrebbe decidere di aumentare il volume del suo appartamento e/o di migliorare la fruibilità del medesimo, realizzando delle opere in sopraelevazione sul terrazzo o sul lastrico solare.
Si tratta di una facoltà, espressamente prevista dalla legge «Il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare. La sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono.
I condomini possono altresì opporsi alla sopraelevazione, se questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio ovvero diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti.
Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un'indennità pari al valore attuale dell'area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo della quota a lui spettante.
Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini avevano il diritto di usare (art. 1127 cod. civ.)».
Ebbene, forte di questa disposizione, in un condominio pugliese, il titolare dell'ultimo piano di un edificio aveva provveduto a sopraelevare il suo appartamento senza, però, avere il consenso di tutti gli altri proprietari. Alcuni di essi, quindi, nell'esercizio della cosiddetta tutela possessoria, avevano agito in giudizio per chiedere la rimozione dei manufatti ed il ripristino dello status quo ante.
Ne è scaturito un procedimento appena culminato con la recente sentenza della Corte di Appello di Bari n. 1125 del 10 settembre 2024.
Vediamo, dunque, di cosa si è trattato nello specifico.
Servitus altius non tollendi: cosa significa?
Con l'espressione servitus altius non tollendi, di evidente derivazione latina, si identifica quel particolare divieto imposto al proprietario del cosiddetto fondo servente di costruire oltre una certa altezza.
Si tratta di una limitazione che può essere presente anche in ambito condominiale. In questo caso, come precisa la giurisprudenza di legittimità, la causa giustificativa di tale divieto imposto al proprietario dell'ultimo piano, risiede:
- nell'evitare che questi accresca eccessivamente il diritto sulle parti comuni e l'utilizzo delle medesime;
- nell'esigenza di non aumentare eccessivamente il valore dell'ultimo piano rispetto a quello dei livelli sottostanti;
«la causa del detto divieto - come di altre analoghe clausole comportati l'obbligo di non apportare modifiche di sorta alle proprie unità abitative - va individuata essenzialmente nell'avvertita esigenza sia di non alterare il rapporto tra il valore dell'appartamento dell'ultimo piano rispetto al valore delle unità immobiliari ubicate nei piani sottostanti, sia di evitare l'accrescimento - a scapito degli altri condomini - del diritto del proprietario dell'ultimo piano sulle parti comuni dell'edificio conseguente all'incremento dell'utilizzo di tali parti comuni (Cass. 12.10.2009 n. 21629)».
In ragione di queste considerazioni e del dettato della norma in esame, un titolo contrario, ad esempio un regolamento condominiale, potrebbe inibire il diritto alla sopraelevazione in discussione.
Divieto di sopraelevazione vietato dal regolamento: a quali condizioni?
Nel caso in esame, il regolamento condominiale predisposto dal costruttore vietava esplicitamente la possibilità di costruire sui vari terrazzi del fabbricato, sebbene fossero o potessero essere di proprietà privata «espresso divieto di realizzazione di "sopraelevazioni" ed di costruzione di "qualsiasi opera che occupi in tutto o in parte le superfici destinate a terrazze, terrazzine, verande e balconi, anche se di loro proprietà esclusiva».
Si trattava, inoltre, di un regolamento che era stato trascritto nei registri immobiliari e che il titolare dell'ultimo piano aveva, esplicitamente, accettato all'interno del proprio atto di compravendita.
Ebbene, per il Tribunale di Foggia e, poi, per la pedissequa Corte di Appello di Bari, si trattava del cosiddetto titolo contrario in presenza del quale era stata legittimamente costituita una servitus altius non tollendi «Il divieto de quo integra quindi una limitazione per gli immobili di proprietà privata che consente di configurare, ai fini delle valutazioni del presente giudizio, il possesso di una servitù di non sopraelevazione».
In particolare, la Corte di Appello di Bari non ha dato rilevanza al fatto che questa servitù non fosse stata specificatamente trascritta. La trascrizione del regolamento in cui era stato previsto il limite in questione è stata giudicata sufficiente allo scopo.
Pertanto, le opere realizzate indebitamente dal proprietario dell'ultimo piano dovevano essere rimosse e doveva essere ripristinato lo status quo ante. Inoltre, al detto dispositivo e al rigetto dell'appello è, inevitabilmente, conseguita anche la condanna al pagamento delle spese processuali a carico dell'appellante soccombente.