Bed and breakfast ed affittacamere rappresentano un'importante occasione per ottimizzare il proprio immobile e per ricavare dallo stesso una rendita soddisfacente. Per questa ragione non è raro incontrali all'interno di un condominio.
Va detto, però, che gli altri residenti non sempre sono contenti di avere un'attività ricettiva nel proprio fabbricato. Non si può negare, infatti, che essa comporta un andirivieni di gente sconosciuta, non di rado irrispettosa della buona educazione e della tranquillità di cui dovrebbero godere gli abitanti del palazzo.
È per questo motivo, dunque, che la presenza di un affittacamere può generare contestazioni tra i proprietari, al punto da invocare l'ufficio giudiziario competente per dirimere la controversia. La sentenza in commento ne è un esempio.
Più precisamente, sto parlando del provvedimento n. 80 del 4 gennaio 2022, con il quale il Tribunale di Roma ha deciso la lite instauratasi tra un condominio e coloro che svolgevano un'attività ricettiva all'interno del fabbricato. Ovviamente, la domanda era diretta ad inibire tutto ciò.
Cerchiamo, però, di approfondire le circostanze di fatto che hanno caratterizzato la diatriba e la decisione presa dal Tribunale.
Divieto affittacamere per regolamento o delibera unanime: il caso concreto
In un condominio romano, all'interno di un immobile, una società a responsabilità limitata, in qualità di conduttrice del bene, svolgeva l'attività di affittacamere. In ragione di ciò, nel fabbricato, si avvicendavano i vari ospiti non senza, però, arrecare fastidio agli altri condòmini.
Secondo questi, infatti, era chiaramente pregiudicata la loro tranquillità e sicurezza, anche alla luce di alcuni incresciosi episodi. Il condominio, inoltre, sosteneva che il regolamento condominiale vietasse ogni attività ricettiva nel fabbricato.
Infine, era messa in discussione, persino, la legittimità amministrativa della condotta di controparte, poiché, secondo la tesi attorea, l'affittacamere era svolto in contrasto con il Regolamento delle strutture ricettive extralberghiere della Regione Lazio.
Per queste ragioni, il condominio citava in giudizio la società conduttrice dell'immobile e la proprietaria del medesimo, affinché venisse inibito loro l'uso in contestazione nonché allo scopo di ottenere il risarcimento di tutti i danni provocati.
Al termine dell'istruttoria, però, il Tribunale di Roma concludeva per il rigetto integrale della domanda. Secondo, infatti, l'ufficio laziale, non c'era alcun presupposto per impedire alle parti convenute di svolgere l'attività ricettizia nel condominio e tanto meno alcun fatto illecito da cui derivare un obbligo risarcitorio. Da tutto ciò ne scaturiva, quindi, la soccombenza sulle spese a carico dell'attore.
Divieto attività ricettiva in condominio e presupposti
Il Tribunale di Roma, senza discostarsi, minimamente, dalla pacifica posizione giurisprudenziale sull'argomento, ribadisce che, per imporre ai condòmini di non svolgere alcuna attività ricettiva nel proprio immobile, non è sufficiente una semplice delibera della maggioranza dei proprietari.
Il divieto in esame, per essere imposto legittimamente, deve essere stabilito all'interno di un regolamento contrattuale, cioè sottoscritto da tutti o predisposto dal costruttore e richiamato nei vari atti di compravendita.
In alternativa, l'attività ricettiva deve essere vietata da una delibera assembleare assunta all'unanimità, cioè con la partecipazione e il voto favorevole di tutti i condòmini «divieto di destinazione… opponibile al singolo condomino solo quando il regolamento abbia valenza contrattuale per essere stato predisposto dall'unico proprietario originario dell'edificio e richiamato nei singoli atti d'acquisto ovvero - come si afferma (ma non si prova) nella fattispecie - per essere stato appunto adottato in sede assembleare col consenso unanime di tutti i condomini».
Si sta parlando, infatti, di un divieto che limita le facoltà di godimento che i vari proprietari del fabbricato possono esercitare sulle rispettive proprietà esclusive. Non è, perciò ammissibile imporlo diversamente da quanto descritto e l'azione diretta a farlo rispettare non potrà essere accolta, se mancante degli anzidetti presupposti; proprio come avvenuto nella vicenda in commento.
Divieto attività ricettiva in condominio: deve essere chiaro ed esplicito
A proposito della destinazione degli alloggi in condominio, in alcuni regolamenti, per quanto di natura contrattuale, si leggono delle espressioni del tipo: «è fatto divieto di destinare gli appartamenti ad un uso che possa turbare la tranquillità dei condomini o sia contrario all'igiene, alla moralità ed al decoro dell'edificio».
La detta disposizione, così come quelle similari alla medesima, non può certo essere invocata per impedire al singolo proprietario di esercitare un'attività ricettiva all'interno del proprio immobile.
A stabilire questa conclusione, come ribadito dal Tribunale di Roma, ci ha pensato la Corte di Cassazione «I divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alle proprietà individuali, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti (ex multis Cass. sent. n. 21307/2016)».
Pertanto, il divieto di allestire un affittacamere o un bed and breakfast in condominio deve essere stabilito, nel regolamento contrattuale o nella delibera unanime, con chiarezza e senza alcun margine d'incertezza.