Spesso i rapporti di vicinato possono essere fonte di spiacevoli conflitti, soprattutto quando oggetto del contendere sono beni in comune come ad esempio la rampa di accesso al box auto, oppure lo stesso cancello comune. Analizzando una vicenda definita da una pronuncia di merito, verificheremo cosa intende il legislatore con l'espressione uso della cosa comune.
La vicenda. Due villette adiacenti hanno in comune il cancello di ingresso e la rampa di accesso ai box auto. Il proprietario di uno due immobili cita in giudizio l'altro sostenendo che quest'ultimo utilizza impropriamente la rampa di accesso al box apponendovi stendipanni, sedie, e consentendo ai suoi cani di sporcare tale spazio comune senza provvedere alla pulizia, puntualizzando, inoltre, che il convenuto non partecipava alle spese per il funzionamento del cancello che veniva azionato in continuazione.
Il convenuto, proprietario dell'altra villetta, ha negato ogni addebito eccependo in via preliminare l'incompetenza per valore del giudice adito, e sostenendo a sua volta che il suo vicino era responsabile di una serie di comportamenti scorretti (mancata pulizia dello spazio comune, rilascio di escrementi maleodoranti, disattivazione dell'energia elettrica che consentiva l'apertura del cancello).
La sentenza. Riassunta la causa dinanzi al giudice competente per valore, la sentenza del Tribunale ha respinto le domande proposte dall'attore, in via principale, e dal convenuto in via riconvenzionale, effettuando alcune importanti precisazioni in merito al concetto di pari uso della cosa comune disciplinato dall'art. 1102 del codice civile.
A tal riguardo il giudice della quinta sezione civile del Tribunale di Roma, nel valutare la domanda dell'attore che lamenta la violazione del diritto al pari uso della rampa di accesso al box auto, riportandosi a quanto già stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, osserva che "la parità di uso assicurata dalla norma di cui all'art. 1102 c.c. ad ogni condomino è intesa a consentire qualsiasi altro miglior uso e non quel particolare identico uso con la conseguenza che il concorso di diritti al miglior godimento della cosa comune si risolve non con il criterio della priorità bensì con quello dell'equo contemperamento dei contrapposti interessi.
Inoltre le condizioni d'uso della cosa comune indicati dalla citata norma sono costituite dall'immutabilità della destinazione obbiettiva e concordata della cosa comune e dall'infrapponibilità di ostacoli al pari uso degli altri partecipanti che renderebbero inservibile la cosa comune considerato che il concetto di inservibilità và interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che all'origine il condomino traeva dalla cosa". [1]
Nel caso di specie, evidenzia la decisione del Tribunale di Roma, non risulta che vi sia stata modificata la destinazione del bene comune (rampa di accesso al box), né tantomeno dai fatti di causa si evince che l'attore sia impossibilitato ad utilizzare tale bene in conformità al suo scopo ( e cioè quello di utilizzare la rampa per accedere al box auto di sua proprietà); ragion per cui non può trovare accoglimento la sua domanda che lamenta la violazione, da parte del suo vicino di casa, del suo diritto al pari uso della cosa comune.
Dopo aver precisato tale aspetto la sentenza puntualizza, piuttosto, che le condotte assunte delle parti così sintetizzate: distacco dell'energia elettrica del cancello comune, abbandono di oggetti sulla rampa comune di accesso ai box, abbandono di escrementi di animali su tale spazio comune, possono considerarsi senza dubbio come comportamenti che concretizzano un uso incongruo del bene comune volto a recare reciproca molestia, ed in tali casi trova applicazione l'art. 833 c.c. che vieta gli atti di emulazione.
Così come nell'ipotesi di rumore causato dalla continua attivazione del cancello comune di apertura, e di odori causati dall'abbandono degli escrementi dei cani trova applicazione l'articolo 844 c.c. che tutela la proprietà di beni immobili da immissioni intollerabili. (Tribunale di Roma, V sez.civ., 7.3.2017 n. 4875)
Tuttavia nel caso di specie, conclude il provvedimento commentato, l'attore non ha provato che gli atti contestati al convenuto (con particolare alla continua apertura del cancello) possano aver integrato atti di emulazione, così come non ha dimostrato che l'agire del convenuto abbia provocato immissioni che superano la normale soglia di tollerabilità, ed infine non è stato dimostrato neanche che le condotte assunte da quest'ultimo costituiscono fatti illeciti idonei a produrre un danno non patrimoniale risarcibile.
Alla luce di tali circostanze sono state respinte le domande dell'attore e compensate le spese di lite fra le parti, ed il provvedimento chiarisce quindi che i semplici "dispetti" fra i vicini di casa non integrano, almeno nel caso di specie, condotte antigiuridiche.
[1] Cass. civ. n. 20909/2010.