Nell'ambito delle vertenze inerenti le azioni esperibili a tutela del diritto di proprietà e/o altro diritto reale di godimento, il contenzioso inerente alla occupazione abusiva di immobili investe quotidianamente le aule di giustizia.
A tal riguardo, appare confacente distinguere due ipotesi ricorrenti quali (i) la intervenuta detenzione di un immobile da parte di un soggetto senza che sia mai intercorso un rapporto giuridico con il proprietario o titolare di diritto reale di godimento, quali - a titolo esemplificativo - contratto di locazione o comodato e (ii) il possesso di un immobile giustificato originariamente da un titolo, successivamente venuto meno.
E' di tutta evidenza l'esigenza di tutela che si pone nei confronti del proprietario e/o il titolare di diritto reale di godimento al verificarsi di entrambe le situazioni illustrate.
Sull'argomento è di certo interesse la sentenza emessa dal Tribunale di Salerno (sentenza n.361 del 23 gennaio 2025) la quale affronta un caso concreto in cui la motivazione resa attende proprio alle azioni poste a tutela di un'occupazione sine titulo all'uopo rappresentando la differenza dei presupposti tra azione di restituzione ed azione di rivendicazione anche, ed in particolare, con riferimento all'onere probatorio.
Dettagli del caso di detenzione abusiva di immobile
La Signora Mevia, comproprietaria di un immobile, ha promosso ricorso ex art. 447 bis Cod. Proc. Civ. avanti al Tribunale chiedendo di dichiararsi la detenzione abusiva dell'immobile occupato, senza alcun titolo, dai Signori Tizio e Sempronio, resistenti, chiedendo la condanna all'immediato rilascio.
A sostegno della domanda, la ricorrente ha precisato di aver ricevuto in proprietà, pro quota, l'immobile de quo per successione mortis causa del padre, unitamente alla di lei madre.
Al contempo, la Signora Mevia ha riferito che l'immobile era stato concesso dal padre ad uso temporaneo ai resistenti che, in seguito, si sarebbero opposti a stipulare un contratto di locazione.
In ragione di tale rifiuto, è stata, dunque, costretta ad instaurare il presente procedimento.
I Signori Tizio e Sempronio si sono costituiti in giudizio eccependo l'inammissibilità del ricorso trattandosi, nel caso, di azione di rivendicazione ex art. 948 Cod. Civ. e non di mera restituzione, contestando la mancanza di un negozio giuridico la cui esistenza, unicamente, poteva legittimare l'azione di restituzione.
Parimenti, i resistenti hanno dedotto e sollevato la carenza di legittimazione attiva della ricorrente per assenza di prova della di lei qualità di erede e dell'acquisto della proprietà dell'immobile.
Il Giudice ha disposto il mutamento di rito, da locatizio ad ordinario, dando atto dell'intervento volontario della madre di Mevia con la quale ha manifestato adesione alla domanda promossa dalla figlia.
Il Giudice ha accolto la pretesa avanzata per i motivi in appresso illustrati.
Azioni di restituzione ed azione di rivendica
Per un compiuto inquadramento dei profili giuridici che investono la fattispecie in esame, ovvero le azioni a tutela del proprietario o del titolare di diritto reale di godimento nelle ipotesi di occupazione sine titulo, come precisato in premessa, occorre distinguere tra occupazioni abusive nelle quali un soggetto ha preso possesso di un immobile, illecitamente, senza il consenso ed accordo con il proprietario da quelle per cui il titolo originario per la legittima detenzione dell'immobile è venuto meno.
Nel primo caso, è esperibile l'azione di rivendicazione ex art. 948 Cod. Civ., dettata a tutela della proprietà e propedeutica ad ottenere la restituzione della piena disponibilità del bene illecitamente sottratto, unitamente al risarcimento dei danni subiti, la quale presuppone l'assenza di un negozio giuridico che abbia giustificato la consegna del bene e la relazione di fatto tra quest'ultimo e colui che è convenuto in giudizio per il rilascio dello stesso.
Nella seconda ipotesi, invece, trattasi di azione di restituzione in quanto il trasferimento del bene è intervenuto volontariamente, in ragione di un negozio giuridico che ha costituito un rapporto obbligatorio, quali il contratto di locazione o di comodato, venuto a mancare successivamente, per scadenza o disdetta, e che non presuppone necessariamente la qualità di proprietario in colui che ha concesso il possesso del bene.
Posto ciò, è doveroso rilevare che, nelle due richiamate azioni, è significativamente diverso l'onere probatorio che incombe su colui che agisce.
Invero, colui che promuove una pretesa in rivendica dovrà dimostrare un titolo di acquisto originario o, nel caso di acquisto per titolo derivativo, come nella vicenda in esame, dovrà provare il suo titolo risalendo fino al dante causa che abbia acquistato a titolo originario.
Sul punto, è utile rammentare che, infatti, l'acquisto a titolo derivativo, per contratto o in ragione di successione ereditaria, esprime solo il compimento di un atto di trasmissione del diritto di cui era titolare il dante causa.
In particolare, il titolo derivativo non dimostra che il rivendicante è effettivamente proprietario, ma palesa unicamente che il medesimo ha ricevuto la legittimazione a possedere che era vantata dal suo predecessore.
Il rivendicante dovrà, dunque, risalire ad un acquisto a titolo originario ovvero dimostrare di avere posseduto, direttamente o sommando il proprio possesso a quello dei suoi predecessori, per il tempo necessario al compimento dell'usucapione, e per questo, la prova che incombe è denominata probatio diabolica.
Diversamente, colui che agisce in restituzione del bene dovrà dar prova semplicemente del venire meno del titolo di trasferimento del possesso e/o detenzione del bene che al momento della consegna era giustificata da un titolo valido che, poi, in seguito, è venuto a mancare.
E' sufficiente pensare all'intervenuta scadenza di un contratto di un contratto di comodato o di locazione per decorrenza del termine convenuto, in assenza di rinnovo, oppure per ragioni inerenti e correlate all'inadempimento di obbligazioni contrattuali.
A conferma della disamina esposta, è appropriato richiamare l'orientamento consolidato in materia della Giurisprudenza in aderenza al quale <L'azione personale di restituzione è destinata ad ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall'attore al convenuto, in forza di negozi quali la locazione, il comodato, il deposito e così via, che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario; essa non può pertanto surrogare l'azione di rivendicazione, con elusione del relativo rigoroso onere probatorio, quando la condanna al rilascio o alla consegna viene chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell'assenza anche originaria di ogni titolo.
In questo caso la domanda è tipicamente di rivendicazione, poiché il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione, mediante la probatio diabolica> (Corte appello Napoli sez. II, 28/06/2024, n.2967).
Azione di rivendica ed attenuazione del regime probatorio
Ferma quanto sopra esposto, indefettibile per una compiuta disamina della questione, con riferimento alla fattispecie portata avanti al Tribunale di Salerno, non vi può essere dubbio o esitazione sulla qualificazione dell'azione promossa quale azione di rivendicazione stante la carenza di un negozio giuridico a fondamento della consegna, a suo tempo, dell'immobile agli odierni resistenti/convenuti.
Tanto premesso, come rilevato dal Giudicante, nel caso, la cosiddetta probatio diabolica che grava sulla attrice è mitigata dalla mancata contestazione da parte dei convenuti della proprietà in capo al dante causa della medesima, ovvero il padre, essendo stata sollevata unicamente eccezione sulla sua successione nella titolarità del bene.
A conforto, indirizzo unanime della Giurisprudenza ha espresso il principio per cui <Il rigore della 'probatio diabolica' richiesta all'attore nel giudizio di rivendicazione è attenuato se il convenuto non contesta l'originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa; in tal caso, infatti, l'attore deve dimostrare solo l'esistenza di un valido titolo di acquisto da parte sua, l'appartenenza del bene al suo dante causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assume di avere iniziato a possedere e la circostanza che tale appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto> (Corte appello Napoli sez. II, 12/02/2024, n.593).
In conseguenza, ritenuto e considerato che l'attrice ha dimostrato di essere figlia ed erede del padre, mediante produzione di documentazione ad hoc nel corso del giudizio, è stato assolto l'onere probatorio sulla medesima gravante, stante la allegazione dello stato di famiglia, dichiarazione di successione ed atto notarile, nonché tale qualità è stata conferma della di lei madre intervenuta volontariamente nel procedimento quale comproprietaria dell'immobile.
Alla luce delle argomentazioni riportate, il Tribunale ha accolto la domanda condannando i convenuti all'immediato rilascio dell'immobile ed al pagamento delle spese e competenze di lite dalla attrice e della terza intervenuta.