La responsabilità del custode
Com'è noto, la responsabilità del custode è dettata dall'art. 2051 c.c., il cui testo dispone che "Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose in custodia, salvo che provi il caso fortuito".
Si suole parlare di responsabilità oggettiva perché il legislatore imputa la responsabilità dell'evento in ragione del rapporto che il detentore ha sul bene. Per elidere questa presunzione, occorre che dimostri che è intervenuto un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, tale da configurarsi come fatto imprevedibile ed eccezionale avente carattere causale autonomo, che può essere costituito anche dal comportamento di un soggetto terzo o dello stesso danneggiato.
Questa norma trova applicazione nei confronti non solo di chi è titolare del bene ma anche di coloro che ne hanno il possesso e/o la detenzione.
Si tratta di fattispecie che spesso ha visto coinvolto il condominio in relazione ai beni e servizi comuni.
Molto interessante è la decisione della Suprema Corte n. 8466 del 3 ottobre 2019: essa ben definisce il custode, specificando che è tale anche chi conduce il bene in locazione, chiarifica i principi cardine del tema e delimita i casi di esclusione di responsabilità.
La recente pronuncia della Suprema Corte n. 8466/2020
La vertenza ha ad oggetto i danni lamentati dal conduttore di un immobile di tipo commerciale situato in condominio a causa di un forte temporale rivolgendone l'imputazione sia nei confronti del condominio per le strutture condominiali (tubo pluviale rotto o disconnesso), sia del Comune in ragione dell'insufficiente scolo delle acque meteoriche.
La conclusione è la responsabilità in capo ad entrambi, per la parte del condominio coperta dall'assicurazione citata in giudizio.
Vediamo i principi chiarificatori evidenziati dalla Cassazione.
Il custode ha obblighi di vigilanza, controllo e diligenza sulla cui base deve adottare le misure idonee a prevenire e impedire la produzione di danni e, in applicazione del principio cd. di vicinanza alla prova, deve dimostrare che il danno si è verificato per un fatto non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso.
La sentenza evidenzia la distinzione tra situazioni di pericolo connesse alla struttura e alle pertinenze della cosa dalle situazioni provocate da una imprevedibile e repentina alterazione dello stato della cosa.
Mentre le prime sono di stretta derivazione dalla cosa, le seconde fattispecie integrano il caso fortuito, soprattutto quando l'evento si manifesta prima che il custode sia potuto intervenire, nonostante l'attività di controllo svolta.
Le precipitazioni atmosferiche
Applicando questi principi ai casi di precipitazioni atmosferiche, non ricorre il caso fortuito se sono di particolare forza e intensità, protratti per lungo tempo e con modalità non normali ma il danno deriva dall'insufficienza delle misure attuate per evitare il danno, nello specifico del sistema di deflusso delle acque meteoriche.
Poiché oggi simili tempeste sono più usuali, non si possono qualificare di default come eventi imprevedibili. Da ciò la conseguenza che le attività del custode di predisposizione di misure idonee atte a fronteggiare simili eventi sono da considerare in termini maggiormente più rigorosi.
Richiamando la Corte di Cassazione del 24 marzo 2016, n. 5877 (decisione emessa sempre per il medesimo caso concreto), la possibilità di invocare il fortuito deve ritenersi ammessa nel solo caso in cui il fattore causale estraneo al soggetto danneggiante abbia un'efficacia di tale intensità da interrompere tout court il nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, di tal che esso possa essere considerato una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento.
A contrariis, un temporale di particolare forza ed intensità, protrattesi nel tempo e con modalità tali da uscire fuori dai normali canoni della meteorologia, può integrare gli estremi del caso fortuito o della forza maggiore, salva l'ipotesi in cui sia stata accertata l'esistenza di condotte astrattamente idonee a configurare una (cor)responsabilità del soggetto che invoca l'esimente in questione.
Nel caso di specie, il giudice di merito aveva escluso la responsabilità del Comune (e a fortiori, di conseguenza, del condominio) rilevando che la capacità di smaltimento delle elettropompe era comunque insufficiente a fronteggiare l'intemperia.
La Suprema Corte ha ribaltato questa decisione richiamando il suo precedente n. 5877/2016 rilevando che "Questa Corte ha già in più occasioni riconosciuto, anche in relazione agli obblighi di manutenzione gravanti sulla P.A., che la discrezionalità, e la conseguente insindacabilità da parte del giudice ordinario, dei criteri e dei mezzi con cui la P.A. realizzi e mantenga un'opera pubblica trova un limite nell'obbligo di osservare, a tutela della incolumità dei cittadini e dell'integrità del loro patrimonio, le specifiche disposizioni di legge e regolamenti disciplinanti detta attività, nonché le comuni norme di diligenza e prudenza, con la conseguenza che dall'inosservanza di queste disposizioni e di dette norme deriva la configurabilità della responsabilità della stessa pubblica amministrazione per i danni arrecati a terzi (tra le altre, Cass. 9 ottobre 2003, n. 15061 e 11 novembre 2011, n. 23562).
È appena il caso di aggiungere, infine, che ogni riflessione, declinata in termini di attualità, sulla prevedibilità maggiore o minore di una pioggia a carattere alluvionale, certamente impone, oggi, in considerazione dei noti dissesti idrogeologici che caratterizzano il nostro Paese, criteri di accertamento improntati ad un maggior rigore, poiché è chiaro che non si possono più considerare come eventi imprevedibili alcuni fenomeni atmosferici che stanno diventando sempre più frequenti e, ormai, tutt'altro che imprevedibili".
Nel caso di specie, il Comune non aveva provato di aver svolto una corretta manutenzione dello scolo nel periodo precedente il temporale, sulla cui base si è dedotta l'esistenza di foglie, fango e detriti tali da impedire il regolare scorrimento dell'acqua e la formazione di rigurgiti.
Azione di danni del conduttore
Il giudice di merito aveva rigettato le domande perché l'attore era semplice conduttore dell'immobile.
La Suprema Corte, facendo leva sul disposto dell'art. 1585 c.c., ha evidenziato la corretta legittimazione del conduttore ad agire in via autonoma per i danni subiti, richiamando l'orientamento unanime della giurisprudenza.
La conclusione è quindi che il conduttore dell'immobile ha diritto al risarcimento danno anche per il lucro cessante, per il mancato guadagno nel periodo di chiusura attività e il danno emergente, quale il versamento "a vuoto" dei canoni di locazione per il medesimo periodo, oltre che per il costo della rimessione in pristino.