In determinati illeciti, la responsabilità del soggetto danneggiante è invocata a prescindere da un vincolo contrattuale con il danneggiato. Ciò che, infatti, assume rilievo non è l'inadempimento di un determinato obbligo di natura pattizia, ma bensì la violazione del principio/dovere generale del "neminem laedere".
In particolare, rientrano nella categoria dei fatti illeciti extracontrattuali, quelli commessi, colpevolmente, in eligendo e in vigilando. Mi riferisco, nello specifico, alla responsabilità dei padroni o committenti per i danni provocati dai propri lavoratori a carico di terzi o alla colpa, ad esempio, dei genitori per i pregiudizi provocati dai propri figli a cause delle azioni illecite di questi.
Non mi resta che approfondire questo argomento nel prosieguo dell'articolo.
Normativa sulla responsabilità in eligendo
Il codice civile affronta e disciplina i fatti che determinano la culpa in eligendo nell'art. 2049. Segnatamente, esso afferma che «I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti». Vediamo, quindi, quali sono le caratteristiche di questo illecito aquiliano.
Responsabilità oggettiva del datore di lavoro
Colui che in occasione di un rapporto di lavoro commette un fatto illecito a danno di terzi, determina la responsabilità oggettiva del datore o del committente. Questi sarà, perciò, tenuto a risarcire il danneggiante del pregiudizio sofferto in tale circostanza.
La giurisprudenza, innanzitutto, ha da sempre specificato che la culpa in eligendo non presuppone che tra il responsabile e l'autore del danno vi sia un rapporto di lavoro subordinato.
È sufficiente, quindi, che, anche per mera occasione o circostanze di fatto, sia stato preposto qualcuno a svolgere una determinata incombenza e che, in occasione di questa, abbia commesso l'illecito «ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c., è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato ma anche quando per volontà di un soggetto (committente) un altro (commesso) esplichi un'attività per suo conto (Cass. n. 12283/2016)».
Non è, inoltre, nemmeno indispensabile che tra l'evento dannoso e l'incarico attribuito via sia un nesso di causalità. È sufficiente, quindi, che le mansioni assegnate abbiano reso possibile o agevolato l'atto illecito «In tema di fatto illecito, la responsabilità dei padroni e committenti per il fatto del dipendente ex art. 2049 c.c. non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che le incombenze assegnate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo (Cass. n. 22058/2017)».
Per queste ragioni, l'azienda ospedaliera è responsabile dei danni arrecati al paziente dal proprio medico compiuti durante il servizio ed all'interno della struttura. Oppure, il Ministero della Difesa è tenuto a risarcire il militare che è stato vittima della violenza commessa dai propri commilitoni e in ragione del vincolo di subordinazione gerarchica. Non è, infatti, rilevante che l'autore dell'illecito abbia «superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali (Cass. n. 17836/2007)».
Pertanto, l'unica scappatoia per il datore o il committente è quella di dimostrare che il danno è avvenuto per mero caso fortuito (art. 2051 cod. civ.), con ciò escludendo ogni nesso di causalità tra l'azione del proprio preposto e l'evento in contestazione.
Regole sulla responsabilità in vigilando
La culpa in vigilando trova riconoscimento nell'art. 2048 del codice civile, secondo il quale «Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto».
La norma in esame, quindi, dinanzi ad un illecito commesso da colui che, per varie ragioni, non poteva essere completamente in grado di valutare effetti e conseguenze delle proprie azioni, attribuisce la responsabilità a chi aveva il dovere di vigilare.
Obbligo di vigilanza e responsabilità
In alcuni casi, abbiamo il dovere di vigilare sull'operato dei soggetti che sono affidati alla nostra custodia e vigilanza. È il caso, ad esempio, degli insegnanti nei riguardi degli alunni oppure, ancora più evidente, basti pensare all'ipotesi dei genitori nei confronti dei propri figli.
In tali circostanze non è, di regola, giustificabile che l'allievo o il minore possano compiere un fatto illecito. Colui che doveva controllare, avrebbe dovuto adottare tutte le misure necessarie ad impedire l'azione dannosa. In caso contrario e se, quindi, non dimostra di aver fatto il possibile per evitare l'accaduto, risponde dei danni arrecati a terzi.
Nonostante ciò, «la responsabilità derivante dalla culpa in vigilando è diversa da quella in eligendo, poiché non è di natura oggettiva (Cass. n. 9815/1997)».
Il potenziale responsabile, perciò, ha la possibilità di dimostrare che, nonostante l'illecito compiuto dal vigilato, non ha alcuna colpa. Ad esempio, ciò avviene per gli insegnanti, quando lo studente è maggiorenne o vicino a tale età, ed è imprevedibile e difficilmente evitabile che possa compiere atti illeciti, anche se non è oggetto di una particolare vigilanza (Cass. n. 2334/2018).
Responsabilità dei genitori per i figli minorenni
Merita un cenno particolare la motivazione secondo la quale i genitori sono responsabili delle azioni compiute dai propri figli. In tal caso, infatti, si parla, comunemente, di culpa in educando e la madre e il padre si accollano l'onere risarcitorio perché si presume abbiano impartito una cattiva eduzione.
Ad esempio, si veda il caso affrontato dalla Cassazione nella sentenza n. 3964 del 2014, secondo la quale «La precoce emancipazione dei minori frutto del costume sociale non esclude né attenua la responsabilità che l'art. 2048 cod. civ. pone a carico dei genitori, i quali, proprio in ragione di tale precoce emancipazione, hanno l'onere di impartire ai figli l'educazione necessaria per non recare danni a terzi nella loro vita di relazione, dovendo rispondere delle carenze educative a cui l'illecito commesso dal figlio sia riconducibile. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale aveva escluso la responsabilità dei genitori di una sedicenne che, attraversando la strada con il semaforo rosso, aveva provocato un sinistro stradale)».
Oppure ancora «I genitori, per superare la presunzione di colpa prevista dall'art. 2048 c.c., debbono fornire non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore (Cass. n. 26200/2011)».
Mi viene da concludere, quindi, che nel caso dei genitori, per i fatti illeciti commessi dai propri figli, la prova di non aver potuto impedire il fatto sia alquanto diabolica e che la responsabilità sia, sostanzialmente, di natura oggettiva.