Pensiamo ad un appartamento ereditato da più fratelli; si tratta di un'ipotesi frequentissima che genera (è quasi la regola) tensione tra i coeredi i quali spesso arrivano a chiedere al Tribunale lo scioglimento della comunione ereditaria.
Prima di arrivare alla vertenza giudiziale può accadere che l'immobile, pur appartenendo ai diversi coeredi, sia concesso in locazione da uno solo dei suoi titolari mediante stipula di apposito contratto intestato a nome di quest'ultimo.
È possibile questa operazione?
La locazione dell'immobile ereditato da parte di un solo erede (locatore)
In linea generale tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell'amministrazione della cosa comune. Tuttavia il contratto di locazione stipulato da uno solo dei coeredi è da ritenersi perfettamente valido ed efficace nei confronti del conduttore.
Quando uno dei coeredi compie atti di ordinaria amministrazione, si presume che egli agisca con il consenso degli altri.
Naturalmente condizione necessaria per stipulare il contratto di locazione è la disponibilità della cosa comune da parte del comproprietario, corrispondente alla detenzione esclusiva e qualificata dell'immobile, trattandosi di un presupposto comune ad ogni locazione.
Ne consegue che la locazione può essere conclusa dal singolo comproprietario, anche all'insaputa degli altri, purché il suddetto comproprietario abbia la disponibilità del bene comune e sia in grado di adempiere la fondamentale obbligazione del locatore, e cioè quella di consentire il godimento del bene al conduttore.
Il singolo comproprietario può quindi stipulare il contratto di locazione dell'immobile in comunione, purché non risulti l'espressa e insuperabile volontà contraria degli altri.
In ogni caso il conduttore di un immobile intestato a più comproprietari se stipula il contratto con uno solo di essi, in mancanza di espresso dissenso degli altri, presume che vi sia il loro consenso.
Quando gli altri coeredi non sanno nulla della locazione: cosa posso fare
È possibile che il comproprietario-firmatario del contratto in oggetto abbia agito senza domandare preventivamente il consenso degli altri contitolari della cosa locata (che invece, ad esempio, speravano di vendere l'immobile).
La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell'ambito della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all'art. 2032 c.c. secondo cui la ratifica dell'interessato (il comproprietario non locatore) produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato, anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio; in altre parole il comproprietario non locatore può ratificare l'operato del gestore (il comproprietario locatore che ha affittato) e, ai sensi dell'art. 1705 c.c., comma 2, applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 cod. civ., esigere dal conduttore (nel contraddittorio con il comproprietario locatore) la quota dei canoni corrispondente alla rispettiva quota di proprietà indivisa.
Tale conclusione ha il vantaggio di tutelare l'affidamento del terzo conduttore nel regolamento d'interessi originario, giacché egli non è tenuto a subire gli effetti delle sopravvenute modifiche della volontà di contrarre che si verificano tra i comproprietari dell'immobile concesso in godimento. In caso di mancata ratifica, però, i coeredi non possono pretendere il pagamento di quota del canone dall'inquilino (i coeredi non locatori sono soggetti completamente estranei rispetto al contratto stipulato): in tal ipotesi il conduttore continua a versare gli importi del canone interamente al locatore.
Questioni fiscali: il canone d'affitto entra nel reddito soltanto del comproprietario che lo intasca
Secondo la Suprema Corte non vi è dubbio che ai fini della disciplina del reddito derivante da contratto di locazione non possa essere applicata la regola che deriva dalla formula "indipendentemente dalla percezione", che il legislatore ha inteso riservare ai soli redditi fondiari (Cass. civ., sez. VI - 5, 17/02/2016, n. 3085; Cass. civ., sez. V, 26/06/2009, n. 15171).
Resta quindi inevitabilmente applicabile alla specie di causa la regola generale dell'art. 1 TUIR secondo il quale è presupposto di imposta il possesso di redditi in danaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell'art. 6. Pertanto, si deve applicare la regola secondo cui è ammissibile un'autonoma imputazione del reddito di locazione rispetto al titolo reale di possesso ove ne risulti concretamente differenziata la percezione, non essendoci ostacolo alcuno ad attribuire il reddito derivante dalla concessione in locazione non solo in capo a soggetto del tutto diverso dal legittimo proprietario (Cass. civ., Sez. V, 15/12/2003, n. 19166) ma anche in capo ad alcuni soltanto dei comproprietari che risultino essere effettivi locatari e percettori dei redditi che dalla locazione derivano (CTR Lazio 12 aprile 2022 n. 1733/2).