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Locazioni. La clausola risolutiva protegge il contribuente anche dalle pretese del Fisco.

La clausola risolutiva espressa nei contratti di locazione tutela il contribuente dalle pretese fiscali, consentendo la non dichiarazione dei canoni non percepiti in caso di morosità del conduttore.
Avv.to Maurizio Tarantino - Foro di Bari 

La clausola risolutiva espressa nei contratti di locazione. Una delle più importanti clausole contrattuali, sulla quale solitamente locatore e conduttore pongono la propria attenzione, è rappresentata dall'eventuale clausola risolutiva espressa.

In base a tale condizione contrattuale le parti stabiliscono, ex ante e quindi al momento della sottoscrizione del contratto, che il loro rapporto giuridico si può risolvere nel caso in cui una o più specifiche obbligazioni non siano adempiute secondo le modalità individuate nel corpo dello stesso contratto.

Dal punto di vista giuridico la c.d. clausola risolutiva espressa è contenuta nell'articolo 1456 del codice civile secondo cui “I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.

In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando una parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva”. Da un'analisi di detta clausola emerge come il Legislatore nazionale abbia voluto strutturare detta clausola quale patto accessorio al contratto principale, e abbia voluto tutelare l'interesse creditorio del soggetto che deve ricevere una prestazione contrattuale, ma solo in quella misura pattuita con il debitore.

Sono le parti, quindi, che al momento della stesura del contratto, in base alla rispettiva forza contrattuale, indicano il limite oltre il quale il debitore dovrà considerarsi inadempiente.

Clausola risolutiva espressa e indennità di perdita dell'avviamento

Le imposte sui canoni non percepiti nella locazione abitativa. A tal proposito, si osserva che l'articolo 8, comma 5, della L. n. 413/1998, nell'ambito della riforma della disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo, ha introdotto due nuovi periodi all'art. 23 (ora 26), comma 1 D.P.R. n. 917/1986, stabilendo che: “i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.

Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare”.

Circostanza, quest'ultima non prevista per gli immobili strumentali, che ha trovato conferma da ultimo con la C.M. n. 11/E/2014 dell'Agenzia delle entrate.

Quindi i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili a uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore.

Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti, come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giudiziale, è riconosciuto un credito d'imposta (articolo 26, comma 1, Tuir).

Per determinare l'ammontare del credito spettante, è necessario calcolare le imposte pagate in più, relativamente ai canoni non percepiti, riliquidando la dichiarazione dei redditi di ciascuno degli anni per i quali, in base all'accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto, sono state pagate maggiori imposte per effetto di canoni di locazione non riscossi.

Le imposte sui canoni non percepiti nella locazione ad uso diverso. L'Agenzia delle entrate, dapprima con la C.M. n. 150/E/1999 e poi con la C.M. n. 101/E/2000, nel commentare le modifiche all'art. 27 (ora 26) del D.P.R. n. 917/1986, ad opera della L. n. 413/1998, ha confermato tale principio, affermando che “per gli immobili locati per uso diverso da quello abitativo, nonché in assenza di un procedimento giurisdizionale concluso, il canone di locazione va comunque sempre dichiarato così come risultante dal contratto di locazione, ancorché non percepito, rilevando in tal caso il momento formativo del reddito e non quello percettivo. Dello stesso avviso si segnala la Corte di Cassazione 18.01.2012 n. 651 e la C.T.R. Torino 08.07.2010 n. 53/5/10 “quanto previsto per i redditi da locazione ad uso abitativo non può tuttavia estendersi alla mancata percezione di canoni relativi a locazione commerciale, trattandosi di norma eccezionale, e come tale, non suscettibile di applicazione analogica”.

Credito d'imposta per canoni di locazione ad uso abitativo non percepiti

La clausola risolutiva e il problema dei sui canoni non percepiti nella locazione uso diverso. Il problema in esame è stato risolto dalla CTP di Cremona (sentenza 136/2/17). La vicenda riguardava un avviso di accertamento emesso per l'anno 2011 con cui l'Agenzia delle entrate contestava l'omessa dichiarazione del canone di locazione di immobile ad uso commerciale da cui scaturiva una maggiore Irpef e maggiori addizionali.

Il contribuente si difendeva sostenendo che lo sfratto per morosità, costituendo causa di risoluzione del contratto di locazione, faceva venir meno l'obbligo di dichiarare i canoni non percepiti.

Nel caso di specie lo sfratto era stato convalidato dal giudice il 12 ottobre 2011 ma i suoi effetti dovevano farsi retroagire al momento dell'inadempimento contrattuale che aveva innescato la clausola risolutiva espressa prevista dal contratto (ovvero al primo novembre 2010). Di conseguenza, secondo il contribuente, nulla andava dichiarato nel 2011.

Invece, l'Agenzia dell'Entrate, eccepiva anche che, trattandosi di immobili ad uso diverso da quello abitativo, il canone di locazione andava comunque dichiarato a prescindere dall'effettiva percezione.

Premesso quanto esposto, il ragionamento del contribuente è stato recepito ma il ricorso è stato rigettato solo per difetto di elementi probatori.

Sul punto la CTP di Cremona ha richiamato i principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza 362/00 secondo cui “il riferimento al canone di locazione (anziché alla rendita catastale) potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico.

Quando, invece, la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (articolo 1596 Cc) ed il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (articolo 1456 Cc), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (articolo 1454 Cc), tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale”. Proprio a seguito di tale pronuncia, l'amministrazione finanziaria si è adeguata alla sentenza del giudice delle leggi.

Difatti la circolare 11/2014, riprendendo i principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza 362/00 ha precisato che «per le locazioni di immobili non abitativi il relativo canone, ancorché non percepito, va comunque dichiarato, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo».

In conclusione, secondo la CTP di Cremona “quando il contratto di locazione contiene una clausola risolutiva espressa, ad esempio al mancato pagamento di due rate consecutive del canone, il locatore che comunica al conduttore che intende avvalersene non è tenuto a corrispondere le imposte relative ai canoni non percepiti: il contratto, infatti, si risolve di diritto al ricevimento della comunicazione di volersi avvalere della facoltà prevista dallo strumento negoziale”.

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