Il contenzioso che investe i profili afferenti al contratto di appalto per opere di manutenzione straordinaria tra condominio ed impresa edile è ormai questione all'ordine del giorno nelle aule di giustizia.
In particolare, recentemente, sono insorte liti relativamente ai contratti stipulati avvalendosi delle provvidenze statali previste in materia di bonus, con sconto in fattura da realizzarsi mediante cessione del credito di imposta maturato alla impresa, quale forma di pagamento.
A tal riguardo, è confacente ricordare che, negli ultimi anni, la previsione di importanti detrazioni, quali il bonus facciate nella misura pari al 90%, hanno certamente persuaso ed indotto un numero significativo di condomini alla esecuzione di tali interventi.
Il caso portato avanti al Tribunale di Modena (sentenza n. 1788 del 09 dicembre 2024) è di certo ed attuale interesse in quanto affronta la problematica avente ad oggetto l'inadempimento della impresa alle obbligazioni assunte a fronte della sopravvenuta impossibilità per la stessa di cedere i crediti.
Per una compiuta disamina del tema, non possiamo prescindere dal compiere una esegesi delle intese contrattuali convenute, per un puntuale accertamento sulla sussistenza, o meno, dell'inadempimento contestato, degli effetti della normativa fiscale, senza ignorare la nozione di "rischio d'impresa" strettamente correlata alla gestione ed alle decisioni assunte dalla impresa ed alle loro conseguenze.
Controversia sul contratto di appalto per ristrutturazione con bonus 90%
Un condominio, nella personale dell'amministratore, previa adozione di delibera ad hoc, ha sottoscritto contratto di appalto per il recupero e ristrutturazione delle facciate con bonus facciate 90% e bonus ristrutturazioni 50%.
Nel suddetto contratto era stato concordato il pagamento per il 90% dell'ammontare dei lavori, mediante sconto in fattura, e per il residuo 10%, con bonifico bancario.
Per dare attuazione a tale modalità, i condomini avevano ceduto alla impresa i crediti che sarebbero sorti in rispondenza ai millesimi di loro proprietà, per la quota del 90%, oltre alla corresponsione pro quota, del residuo 10%, mediante versamento diretto, secondo la ripartizione redatta dall'amministratore, sempre in ragione dei millesimi.
Nonostante il regolare espletamento delle operazioni sopra descritte, l'impresa non ha iniziato i lavori, neppure a seguito dei solleciti e delle diffide inviate, prima dall'amministratore e, successivamente anche dal legale del condominio.
Il condominio ed i singoli condomini hanno, dunque, convenuto in giudizio l'impresa chiedendo al Tribunale di dichiarare l'avvenuta risoluzione del contratto per inadempimento della medesima, nonché la condanna di quest'ultima alla restituzione di quanto corrisposto.
L'impresa si è costituita in giudizio confermando di non aver iniziato le opere commissionate, adducendo, quale giustificazione, le note difficoltà riscontrate nella cessione dei crediti a causa della paralisi del sistema, senza addurre alcuna prova specifica.
Il Tribunale ha accolto la domanda degli attori per i motivi in appresso illustrati.
Inadempimento rilevante e risoluzione del contratto
Prima di trattare gli aspetti giuridici sottesi alla fattispecie in esame, appare appropriato evidenziare che, dalle difese della impresa e dalla istruttoria esperita, è risultato pacifico il fatto contestato con l'azione promossa, ovvero la mancata totale esecuzione dei lavori commissionati.
Posto ciò, l'indagine del giudicante è stata rivolta alle ragioni addotte dalla impresa a giustificazione dell'inadempimento alle proprie obbligazioni, con specifico riferimento allo sconto in fattura e cessione dei crediti fiscali.
Sul punto, l'impresa ha rappresentato solo argomentazioni generiche, richiamando notizie diffuse dalla stampa in ordine alla saturazione del mercato, alla impossibilità sopravvenuta di cessione dei crediti alle banche ed intermediari, sostenendo l'assenza di colpa per le criticità del contesto e meccanismo generale previsto dal legislatore.
Ad avviso della impresa, tale situazione ha impedito alla stessa, senza che si possa attribuirle alcun titolo di colpa, di poter ricevere e, quindi, fruire delle risorse finanziarie necessarie per sostenere le spese ed i costi per l'acquisto dei materiali ed il pagamento della mano d'opera.
Tuttavia, alcuna prova è stata prodotta dalla convenuta, né è stata formulata, per dimostrare quanto sommariamente asserito.
L'analisi porta, allora, alla valutazione dell'inadempimento dell'impresa per non aver ottemperato al contratto, non avendo neppure iniziato i lavori a seguito delle diffide ricevute in tal senso ed alle giustificazioni dalla medesima addotte.
Ebbene, rilevato che dalla lettura del contratto non emerge che la modalità di pagamento concordata, mediante lo sconto in fattura, era condizione essenziale per la prestazione del consenso da parte dell'appaltatore e, per l'effetto, per l'accettazione dell'incarico al compimento delle opere, le difficoltà e/o problematiche insorte e sopraggiunte per l'incasso dei crediti fiscali possono essere ricondotte unicamente al cosiddetto "rischio d'impresa" senza alcun pregiudizio per il condominio.
Invero, grava su chi svolge attività imprenditoriale risolvere eventuali avversità che possono verificarsi, avendo anche l'onere di prevederle, senza che ciò possa avere alcun riflesso verso l'altra parte contrattuale, tanto più se non vi è alcuna previsione nel contrattuale a riguardo.
Non vi può essere dubbio o esitazione sul fatto che, una volta accettato l'incarico, l'appaltatore si impegni al raggiungimento di un determinato risultato, assumendosi il rischio economico d'impresa ed operando con autonomia rispetto al committente.
Parimenti, come correttamente rilevato dal Giudicante, le criticità operative nell'approvvigionamento delle risorse finanziare inerenti la cessione dei crediti, non hanno realizzato una apoplessia nella esecuzione delle opere, in adempimento ai contratti stipulati, da parte di tutte le imprese sul territorio italiano.
In conseguenza, l'impossibilità della impresa di auto-finanziare il cantiere è da interpretarsi quale leggerezza della stessa nella sua gestione e nelle scelte compiute.
Al contempo, non secondariamente, occorre sottolineare come, una diversa lettura legittimerebbe una "conduzione spericolata e speculativa di un'impresa commerciale", tenuto anche conto della particolarità della questione trattandosi di utilizzo di contributi pubblici.
Pertanto, non può essere condivisa la tesi della impresa secondo cui la propria obbligazione sarebbe estinta per impossibilità sopravvenuta di cui all'art. 1256 Cod. Civ. o, comunque, risolta per eccessiva onerosità di cui all'art. 1467 Cod. Civ.
Effetto restitutorio della risoluzione del contratto
Preso atto della gravità dell'inadempimento della impresa ai fini della dichiarazione di risoluzione del contratto, è opportuno rammentare che, nell'ipotesi de qua, gli attori hanno chiesto espressamente la restituzione delle somme versate, quali prestazioni eseguite.
E' noto, infatti, che nell'ambito delle operazioni relative al bonus 90%, la cessione dei crediti si attua con il loro trasferimento sul cassetto fiscale della impresa, rilevando che lo sconto in fattura costituisce - come detto - una forma di pagamento.
Ulteriormente, l'impresa ha ricevuto, mediante bonifico, la somma corrispondente al 10% residuo.
Pertanto, in considerazione dell'effetto retroattivo che consegue alla dichiarazione di risoluzione del contratto, l'impresa dovrà restituire quanto percepito.
Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha rettamente e giustamente accolto la domanda degli attori, dichiarando la risoluzione del contratto di contratto di appalto all'uopo condannando l'impresa alla restituzione di tutte le somme versate, sia sotto forma di bonifico che di cessione dei crediti per ogni singolo condomino.