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Contestata realizzazione di opere in violazione dei limiti di cui all'art.1102 c.c., quali presupposti e prove?

Contestazione delle opere condominiali: come dimostrare la violazione dei limiti di utilizzo delle parti comuni e le prove necessarie per tutelare i diritti dei comproprietari.
Avv. Laura Cecchini 
Dic 3, 2024

Nell'ambito del contenzioso condominiale, le questioni che investono parti dell'edificio che sono, o si presumono di uso comune, sono ricorrente oggetto di contenzioso per più e diversi fattori, quali l'alterazione della loro funzione o destinazione e, in particolare, le facoltà consentite con espresso riferimento alle modalità ed ai limiti per l'utilizzo delle stesse.

Nella sentenza in commento, emessa dal Tribunale di Imperia (n. 725 del 20 novembre 2024), la vertenza interessa la domanda di demolizione di opere realizzate su una corte, con richiesta condanna alla rimessa in pristino, con la quale viene dedotta ed eccepita la violazione dei limiti imposti dall'art. 1102 c.c., nonché viene invocato di accertare e dichiarare l'illegittimità di alcune di esse per noncuranza delle distanze di cui all'art. 873 c.c. o ex art. 907 c.c.

Preliminare alla disamina, in punto di diritto, di ogni fattispecie concreta in questa materia, è l'indagine che investe la verifica della proprietà comune o meno del bene oggetto di lite e, all'esito di questa, la dimostrazione di condotte contrarie alle disposizioni di legge da parte di un comproprietario/condomino e la riconducibilità a quest'ultimo della loro inosservanza.

Contenzioso per opere realizzate su corte comune: la domanda di demolizione

La causa origina dalla domanda giudiziale promossa dalla comproprietaria, unitamente al marito, di un'unità immobiliare ad uso civile abitazione posta al primo piano di un fabbricato e della corte accessoria di pertinenza della stessa, sulla quale ha contestato l'avvenuto compimento di opere, a suo avviso illegittime, da parte del comproprietario, sempre unitamente al di lei marito, dell'unità posta al piano terra, con richiesta di condanna alla demolizione.

In particolare, l'attrice ha esposto che il convenuto avrebbe (i) chiuso una porzione della corte con staccionata, (ii) posto una soletta con occupazione dell'area e panelli laterali a copertura, (iii) ampliato un gabbiotto costituendo un nuovo ingresso ed anche il fabbricato estendendosi sia sulla corte che sul fondo limitrofo.

Secondo la tesi della attrice, tali opere sono da ritenersi compiute in disprezzo dei limiti di cui all'art.1102 c.c., per cui ha ritenuto giusto esercitare lo ius tollendi, precisando che, comunque, con riferimento agli ampliamenti eseguiti violavano le distanze di cui all'art.873 c.c. e la servitù di veduta ex art.907 c.c.

Il convenuto si è costituito chiedendo il rigetto delle avverse pretese stante l'assenza di prove e, soprattutto, l'impossibilità di riferire al medesimo la esecuzione delle opere eccepite.

Previa accurata analisi della documentazione prodotta in atti ed escussione delle prove testimoniali, il Giudice ha respinto la domanda per le ragioni, di seguito, illustrate.

Pari uso della cosa comune

Per una compiuto inquadramento e trattazione dei profili giuridici che attengono alle doglianze poste alla attenzione del Tribunale di Imperia, è confacente ricordare il principio del pari uso della cosa comune è codificato e disciplinato all'art. 1102 c.c. in aderenza al quale "Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa".

Il disposto della richiamata norma, evocata dalla attrice a fondamento della azione intrapresa, è chiaro nell'imporre due limiti alle facoltà consentite al comproprietario, in relazione all'uso delle parti comuni, individuati nella non alterazione della destinazione del bene e nel non impedire agli altri di farne pari uso.

Sul punto è utile evidenziare che i due contegni descritti sono alternativi tra loro, ovvero ai fini della violazione della disposizione citata è sufficiente che sia stato posto in essere uno di essi.

Parimenti, stante l'oggetto dell'accertamento, che consiste nella contestazione di un facere da parte di altri soggetti, non si può prescindere da una ricognizione ed indagine dello stato dei luoghi e della effettiva proprietà comune o meno del bene, per accertare l'intervenuta inadempienza del disposto dell'art. 1102 c.c. e, quindi, in sostanza se, in considerazione di una determinata condotta, possa sussistere e realizzarsi una limitazione nella facoltà di fruizione o dell'esercizio del pari diritto di tutti gli altri condomini/comproprietari.

Invero, al ricorrere di tale ipotesi di contestazione, il comproprietario può tutelarsi mediante l'esercizio dell'azione possessoria, di rivendica o dello ius tollendi, come nel caso, chiedendo la rimozione dell'opera compiuta.

Posto quanto sopra, per quanto attiene all'onere della prova, incombe sull'attore la prova dell'avvenuto superamento dei limiti di cui all'art. 1102 c.c., e della violazione delle ulteriori rimostranze (mancato rispetto delle distanze), mentre il convenuto sarà tenuto ad eccepire la legittimità del proprio contegno, censura che può essere rilevata anche d'ufficio dal Giudice.

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Valutazione delle risultanze del giudizio

Nella vicenda de qua, occorre far notare che è stata depositata in atti dalla attrice una consulenza tecnica resa nel corso della preventiva mediazione esperita, già acquisita all'interno di un procedimento di accertamento tecnico preventivo ove le parti del presente giudizio sono state coinvolte, procedure entrambe definite prima della introduzione del presente giudizio.

Nelle planimetrie acquisite nella perizia depositata risultano due corti, confinanti tra loro, una graffata alla particella su cui insiste l'immobile dell'attrice, ed un'altra graffata al magazzino in comproprietà del marito dell'attrice e del convenuto.

In conseguenza, l'accertamento del rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c. è circoscritta alla intervenuta esecuzione di opere realizzate dal convenuto sulla corte di proprietà dell'attrice, graffata al suo immobile, e non sull'altra, di cui non risulta comproprietaria.

Per quanto riguarda la staccionata tra le due corti, le risultanze delle prove testimoniali assunte non sono risultate concludenti sulla posa in opera delle stessa da parte del convenuto, e neppure è stata riscontrata la presenza di chiusure o ostacoli all'accesso alla corte, per cui non sussistono i presupposti atti a ravvisare una violazione del pari utilizzo della corte.

In ordine alla costruzione del porticato chiuso con tettoia da parte del convenuto, dalla medesima relazione, è stato rilevato che non interessa la corte dell'attrice, essendo posta nel pianerottolo già esistente del convenuto e, quindi, per l'effetto, non può rivenirsi alcuna applicazione dell'art. 1102 c.c. non essendo coinvolta una parte comune.

Al contempo, in merito al contestato ampliamento del gabbiotto/veranda non è stato compiuto sulla corte graffata alla proprietà dell'attrice ma, diversamente, su quella del convenuto motivo per cui, anche per questa censura, non può intervenire il dettato dell'art. 1102 c.c., così come per l'ampliamento dell'immobile al piano terra del convenuto.

Ne deriva che, le domande avanzate dall'attrice non possono trovare accoglimento in quanto non vi sono opere eseguite su parti comuni.

Ulteriormente, in relazione alla illegittimità delle opere realizzate dal convenuto sotto il profilo urbanistico-pubblicistico, non assumono interesse in quanto, non solo sono state eseguire sulla di lui proprietà esclusiva ma, comunque, non è stato addotto alcun pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro del fabbricato ex art. 1122 c.c.

Ugualmente, per le obiezioni mosse sulla violazione delle distanze tra i manufatti non è stata prodotta alcuna documentazione probatoria, per cui la domanda è generica non essendo supportata da alcun rilevo tecnico, così come per il diritto di servitù di veduta.

Alla luce di quanto sopra osservato, non si può che condividere il rigetto delle pretese formulate dalla attrice stante le risultanze in atti, in parte poiché è emerso che la corte non è comune e, per le altre residue, in ragione del mancato assolvimento dell'onere probatorio sulla medesima gravante.

Sentenza
Scarica Trib. Imperia 20 novembre 2024 n. 725
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