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Contagio da Covid-19: assemblee condominiali e trattamento dei dati

Comunicazione al legale del Sig. Rossi dello stato di contagio del medesimo, vanno fatte alcune precisazioni.
Avv. Caterina Tosatti 
11 Nov, 2021

Grazie alla pronuncia in commento oggi, possiamo fare un po' di chiarezza - o almeno ce lo auguriamo - sul trattamento da parte dell'Amministratore del dato - salute, relativo al contagio (attuale o passato) da Covid-19 di uno o più condomini.

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Assemblee condominiali e trattamento dei dati: la pronuncia

La vicenda da cui prende le mosse il caso che esamineremo ha interessato un condòmino, che chiameremo il Sig. Rossi, il quale, alla fine del periodo del c.d. 'lockdown' avvenuto nella primavera del 2020, eseguendo un test sierologico, scopriva di aver contratto il Covid-19, ma di esserne guarito, tant'è che il tampone eseguito il 29 maggio 2020 dava esito negativo.

Per puro scrupolo, il Sig. Rossi informava di questa situazione l'Amministratore del Condominio in cui dimorava.

Secondo il Sig. Rossi, l'Amministratore, che aveva informato la ASL competente, inoltrava la risposta ottenuta a tutti i condòmini, informandoli erroneamente della presenza di uno o più casi di positività al virus nel Condominio in quel momento, creando agitazione tra gli stessi.

Non solo: si lamenta il Sig. Rossi del fatto che, sollecitato dal suo legale circa la mancata convocazione dell'Assemblea annuale nel luglio 2020, l'Amministratore avesse replicato al detto avvocato adducendo, come motivazione per la mancata convocazione, dell'avvenuto contagio del suo assistito, il ché, oltre ad essere notizia illegittimamente comunicata, costringeva altresì il Sig. Rossi a rassicurare il proprio legale - con il quale, evidentemente era entrato in contatto per il conferimento del mandato - circa la propria totale guarigione ed andava ad intaccare il rapporto di fiducia tra avvocato ed assistito.

A fronte di ciò, il Sig. Rossi non solo depositava reclamo al Garante per la Protezione dei Dati Personali, ma avviava anche una causa dinnanzi al Tribunale di Firenze per ottenere il risarcimento del danno morale a suo dire subìto come conseguenza del comportamento dell'Amministratore.

L'Amministratore, convocato in giudizio personalmente, si difendeva producendo il provvedimento del Garante Privacy del 27 gennaio 2021, con cui l'illiceità del trattamento eseguito era stata esclusa ed osservava come la motivazione che lo aveva indotto a non tenere l'Assemblea nei mesi di giugno e luglio 2020 non era il contagio del Sig. Rossi, ma la situazione di elevato rischio di contagio all'epoca ancora attuale nel Paese - rammentiamo che in quel momento non era ancora stata emanata la modifica dell'art. 66 disp. att. c.c. per consentire lo svolgimento telematico dell'Assemblea, che arriverà solamente nell'autunno del 2020.

Inoltre, deduceva l'Amministratore che la segnalazione alla ASL fosse stata fatta solamente per porre il quesito circa la necessità o meno di disporre la sanificazione delle parti comuni, ritenuta necessaria in quanto si era appreso del contagio, quesito al quale la ASL rispose negativamente, nel senso di rimettere alla decisione del Condominio se sanificare o meno; fu questa la comunicazione che l'Amministratore inoltrò a tutti i condòmini, proprio allo scopo di tranquillizzarli, ma nella comunicazione non v'era traccia del nominativo del Sig. Rossi, quindi la sua riservatezza non era stata lesa. Circa la comunicazione del contagio al legale del Sig. Rossi, in occasione della replica alla richiesta di chiarimenti sulla mancata convocazione dell'Assemblea, l'Amministratore sosteneva di essere pienamente legittimato ad utilizzare il dato - salute del Sig. Rossi per esercitare il proprio diritto di difesa avverso le contestazioni mosse dal legale e che anzi, il dato relativo al contagio avrebbe dovuto essere comunicato dal Sig. Rossi al suo legale per l'espletamento dell'incarico.

Il Tribunale di Firenze, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 13 ottobre 2021, rigetta il ricorso del Sig. Rossi e non concede il risarcimento del danno, compensando le spese di giudizio.

Vediamo l'argomentazione dell'estensore sulla quale poi svolgeremo alcune osservazioni.

La parte motiva della pronuncia si apre con la precisazione circa la normativa applicabile, ovvero il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), dato che la vicenda ha avuto luogo in pieno vigore del Regolamento, cioè nell'anno 2020: in particolare, il Giudice richiama subito l'art. 9 GDPR, il quale, rispetto alla categoria degli ex Dati Sensibili, oggi Dati Particolari - tra i quali quelli relativi alla salute del soggetto interessato - prevede un generale divieto di trattamento, per poi dettare 10 eccezioni (art. 9 (2), lett. a) - j) GDPR) in presenza delle quali il trattamento è permesso.

Il Giudice inquadra l'intera situazione del trattamento del dato - salute in ambito Covid-19 come ricadente - riteniamo di dedurre, in assenza di indicazione puntuale della norma - sotto la fattispecie prevista dall'art. 9 (2), lett. i) GDPR, ovvero i motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, come la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero.

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Cita in proposito anche il Garante Privacy, il quale ha più volte ribadito che il dato - salute relativo al contagio da Covid - 19 debba essere trattato solamente da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato riguardo alla finalità di prevenzione della diffusione del virus, sebbene lo Stato possa adottare misure urgenti ed eccezionali - soggetti tra i quali la figura dell'Amministratore di Condominio non rientra.

Fatta questa premessa, la materia del contendere viene individuata nelle due ipotesi cui il Sig. Rossi riconduce il danno subìto, ovvero:

  • la comunicazione a tutti i condòmini del suo stato di contagio tramite invio della risposta della ASL al quesito concernente la sanificazione
  • la comunicazione al legale del Sig. Rossi dello stato di contagio del medesimo Rossi a giustificazione della mancata convocazione assembleare

Rispetto al primo punto, il Giudice nega l'esistenza di una condotta illecita: infatti, rileva come, dalla comunicazione dell'Amministratore e dalla risposta della ASL, prodotte in giudizio, si evincesse chiaramente che l'Amministratore si rivolgeva alla ASL perché desiderava sapere se fosse necessario eseguire una sanificazione, avendo egli appreso della guarigione di un condòmino dal virus, senza alcun cenno all'identità della persona in questione.

Quanto al secondo punto, invece, la condotta dell'Amministratore viene qualificata come illecita, non essendo ravvisabile alcuna causa di giustificazione. In particolare, il magistrato osserva come la prevalenza del diritto di difesa dell'Amministratore non sia applicabile, in quanto il diritto in questione non è stato esercitato in sede giudiziaria, bensì stragiudiziale, quindi non è applicabile l'esimente prevista dall'art. 21 GDPR.

Circa il domandato risarcimento del danno, relativamente alla sola seconda condotta esaminata - cioè la comunicazione del dato - salute del Sig. Rossi al suo legale - il Giudice non ritiene che sussistano i presupposti per fare luogo alla liquidazione.

Citando la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il magistrato ricorda che «il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell'art. 15 D. Lgs. 196/2003 [oggi ci riferiamo agli artt. 79 e 82 GDPR e dell'art. 152 del Codice Privacy, come rivisto dal D. Lgs. 101/2018, N.d.R.], pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 della Costituzione e dall'art. 8 della CEDU [Convenzione Europea Diritti dell'Uomo, N.d.r.], non si sottrae alla verifica della 'gravità della lesione' e della 'serietà del danno', secondo i principi sanciti dalle fondamentali sentenze nn. 26972 e 26975 dell'11 novembre 2008 delle Sezioni Unite, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Costituzione, di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall'art. 11 del codice della privacy [oggi, art. 5 GDPR, N.d.R.], ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito (cfr. Cass. civ., sez. I, 31/12/2020 n. 29982)».

Nel caso di specie, la diffusione illecita del dato era stata operata nei confronti di un unico soggetto - l'avvocato del Sig. Rossi - e il 'danno' era materialmente consistito nell'aver dovuto subire un unico, per quanto spiacevole, colloquio con l'avvocato per rassicurarlo dell'assenza di rischi di contagio.

Esaminando la vicenda sottoposta al giudice fiorentino, sentiamo di dover osservare, a beneficio dei nostri lettori, quanto segue.

In merito alla dinamica comunicazione guarigione - comunicazione ASL, va osservato che il condòmino non era tenuto a comunicare il proprio stato all'Amministratore, quindi lo stesso condòmino che poi ha lamentato il danno avrebbe potuto evitarsi il disturbo - e le spese che immaginiamo abbia affrontato - seguendo quanto più volte riportato dal Garante Privacy, cioè che la comunicazione del proprio stato di salute, in particolare, del contagio da Covid - Sars2 e la guarigione, va eseguita unicamente agli organi sanitari ed ai soggetti preposti dalla normativa a carattere emergenziale a raccogliere e trattare tali dati, tra i quali, evidentemente, non figura l'Amministratore condominiale.

Non meglio ha operato l'Amministratore: sebbene la vicenda della richiesta alla ASL di parere in merito alla sanificazione sia stata gestita in modalità anonima, si sarebbe dovuto prevedere che avvisare i condòmini della presenza, per quanto risolta, di un contagio nel palazzo, avrebbe scatenato reazioni non urbane, per cui sarebbe stato opportuno decidere in autonomia per la sanificazione o meno delle parti comuni.

Sanificazione che sarebbe stata obbligatoria laddove il Condominio avesse avuto il portiere, in base alle norme sull'igiene del luogo di lavoro, ma non ci è dato sapere se questo fosse il caso di specie.

Peraltro, come abbiamo già scritto durante il corso del 2020, una sanificazione una tantum non ha alcuna valenza igienico - sanitaria, date le caratteristiche di diffusione del virus in parola; insomma, molto rumore per nulla.

Rispetto alla seconda condotta esaminata, cioè la comunicazione al legale del Sig. Rossi dello stato di contagio del medesimo, vanno fatte alcune precisazioni.

Innanzitutto, dalla narrativa della pronuncia, la difesa dell'Amministratore sembra contraddirsi: infatti, dapprima si sostiene che l'Assemblea non fu convocata dato l'ancora alto tasso di rischio contagio presente nel Paese a giugno - luglio 2020, ma subito dopo si afferma che era stato necessario comunicare all'avvocato lo stato del Sig. Rossi (la guarigione) per potersi difendere rispetto alla lamentata omissione di convocazione assembleare.

Esaminiamo la seconda 'giustificazione', dato che anche il magistrato ha ritenuto di agire in tal senso.

Riteniamo di comprendere che l'Amministratore abbia invocato, quale eccezione al divieto del trattamento dei Dati Particolari, quella prevista dall'art. 9 (2), lett. f) GDPR, la quale prevede appunto il caso dell'accertamento, esercizio o difesa del diritto in sede giudiziaria: ciò significa che, se è necessario, per accertare, esercitare o difendere un mio diritto, sono autorizzato a trattare i Dati Particolari del soggetto interessato.

Tuttavia, nel caso di specie, prima ancora di preoccuparci di trovare una Base Giuridica / eccezione applicabile al trattamento, dobbiamo rilevare come lo stesso fosse privo di finalità: infatti, da un punto di vista giuridico - civilistico, non è ammissibile la mancata convocazione dell'Assemblea a cagione della malattia di un solo condòmino, il quale, in virtù dell'art. 67 disp. att. c.c., può benissimo partecipare alla stessa per delega o rimanere assente.

Difettando la finalità - rectius, essendo nulla, oseremmo dire, quella individuata - è evidente che il trattamento eseguito (la comunicazione del dato al legale del condòmino) sia illegittimo, senza necessità di determinare l'applicabilità del concetto di esercizio del diritto di difesa.

Certamente, osserverà il lettore che la vicenda è stata sottoposta al vaglio del Garante Privacy, del quale ci viene riportato l'esito negativo - nel senso del mancato rilievo di illiceità del trattamento.

Tuttavia, non potendo leggere gli atti del procedimento dinnanzi al Garante Privacy, non potremo mai avere contezza di quanto l'autorità abbia esaminato rispetto alla fattispecie poi portata all'attenzione del Giudice ordinario.

Alcune frasi della pronuncia ci fanno dubitare in tal senso, laddove si riporta che il Garante Privacy «aveva escluso la illiceità del comportamento dell'amministratore di condominio in riferimento alla tenuta dei dati personali» o ancora che «Il non aver adottato il Garante un provvedimento nei confronti del [Amministratore], ma solo un prudente avviso al fine di rafforzare il livello di tutela dei diritti dei condomini, [omissis]», perché non siamo certi che dinnanzi al Garante Privacy si sia discusso della medesima fattispecie o degli stessi elementi sottoposti all'attenzione del Giudice.

Altro elemento del quale ci sfugge la relazione con la fattispecie esaminata è il richiamo all'art. 21 GDPR, che disciplina il diritto di opposizione dell'interessato rispetto ai trattamenti la cui Base Giuridica sia costituita dai motivi di interesse pubblico o dall'interesse legittimo del Titolare.

Quando l'interessato esercita il diritto di opposizione, il Titolare deve astenersi, a meno che non dimostri che il dato deve continuare ad essere trattato per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria (art. 21 (1) GDPR).

Ammesso e non concesso che, sempre a cagione del fatto che non ci è dato di conoscere dei fatti più di quanto la pronuncia stessa riporti, il Sig. Rossi avesse tentato di esercitare il diritto di opposizione verso l'Amministratore e costui non glielo avesse permesso, eccependo la difesa di un diritto (la necessità di giustificare perché non aveva convocato l'Assemblea), avremmo dovuto comunque leggere di detta richiesta nella pronuncia, mentre non ve n'è traccia.

Inoltre, l'interpretazione data dal magistrato al concetto di «esercizio del diritto in sede giudiziaria» si scontra con quanto previsto dal Considerando 52 del GDPR, collegato proprio all'art. 9 (2), lett. f) GDPR, laddove si precisa che «La deroga [cioè l'eccezione al divieto di trattare Dati Particolari] dovrebbe anche consentire di trattare tali dati se necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto, che sia in sede giudiziale, amministrativa o stragiudiziale».

Quindi, l'eccezione vale anche nel contesto stragiudiziale e non solamente quanto ci troviamo a discutere dinnanzi all'Autorità Giudiziaria.

Il problema è un altro, come detto sopra, cioè che, a prescindere dall'applicabilità o meno dell'eccezione di cui all'art. 9 (2), lett. f) GDPR o dell'art. 21 (1) GDPR, la finalità del trattamento posto in essere non sussisteva o era nulla.

Ultimo elemento di curiosità, forse più per gli addetti ai lavori, la forma del provvedimento: infatti, rammentiamo che, ai sensi dell'art. 152 del Codice Privacy (D. Lgs. 196/2003 come modificato dal D. Lgs. 101/2018) e dell'art. 10 del D. Lgs. 152/2011 (c.d. 'decreto tagliariti'), i ricorsi giurisdizionali in materia di privacy seguono il c.d. rito del lavoro, cioè il procedimento disciplinato dagli artt. 409 ss c.p.c., mentre il provvedimento in commento è stato adottato nella forma dell'ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., che è la pronuncia con cui si conclude il c.d. procedimento sommario di cognizione disciplinato dall'art. 702 bis c.p.c.

Dato che, tuttavia, l'art. 10 del D. Lgs. 152/2011 è chiaro nell'affermare l'applicazione del rito lavoro alle controversie in materia di privacy, non si comprende come il procedimento abbia invece avuto svolgimento secondo la diversa procedura del sommario di cognizione.

In giurisprudenza ed in dottrina l'applicabilità dell'art. 702 bis al rito lavoro è stata esclusa a stragrande maggioranza, dato che si tratta di rito speciale previsto ad hoc per la materia del lavoro - così come è stata esclusa l'applicazione alla materia locatizia, anch'essa rito speciale che mutua dal rito lavoro - dobbiamo ritenere che, invece, il Tribunale di Firenze lo ritenga fattibile.

Ci limitiamo a riportare una pronuncia della Corte d'Appello di Lecce, 16 marzo 2011, laddove si è statuito che se una controversia, che sarebbe stata soggetta al rito del lavoro, è stata introdotta erroneamente nelle forme del procedimento sommario di cognizione e, anziché venire dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 702 ter, comma 2, c.p.c., viene decisa dal giudice di I°, spetterà al giudice dell'appello la dichiarazione di inammissibilità, non potendo applicarsi l'art. 426 c.p.c.

Sentenza
Scarica TRIBUNALE DI FIRENZE n. 238 del 13/10/2021
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