A fronte di un intervento edilizio che rientri nel novero di quelle attività che possono essere realizzate previa segnalazione certificata (SCIA), la P.A. è sempre tenuta ad accertare che il soggetto interessato abbia titolo per attuare detto intervento.
La vicenda. Tizio aveva presentato una SCIA con cui segnalava l'esecuzione di lavori su un immobile avente ad oggetto la "fusione di unità immobiliari, realizzazione di un garage ai sensi della legge 122/89 nonché' lavori di ristrutturazione su tutto il fabbricato".
Con provvedimento amministrativo, il Comune sospendeva il titolo abilitativo e richiedeva integrazioni, concedendo termine di 30 gg per il deposito della documentazione mancante.
In particolare, l'ente richiedeva informazioni in merito alla titolarità esclusiva o meno dell'immobile oggetto di intervento in capo a Tizio, evidenziando come, in caso di proprietà comune, mancasse l'assenso di tutti i soggetti aventi diritto.
A fronte della richiesta di integrazione documentale il ricorrente non ha prodotto alcun atto di assenso proveniente dalla comproprietaria dell'immobile oggetto di intervento.
Tale omessa produzione, giusta il disposto di cui all'art. 19 comma 3 l. n. 241/90 - a norma del quale "in difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l'attività si intende vietata" - ha determinato il divieto di prosecuzione dell'attività (quindi il carattere abusivo dell'opera). Per tali motivi, Tizio ha impugnato l'ordinanza di demolizione.
Il ragionamento del TAR. Secondo i giudici amministrativi, a fronte di un intervento edilizio che risulti soggetto al preventivo rilascio di un permesso di costruire (art. 20 DPR n. 241/90) ovvero che rientri nel novero di quelle attività che possono essere realizzate previa segnalazione certificata, sia essa o meno alternativa al permesso di costruire (artt. 22 e 23 DPR n. 380/2001), la pubblica amministrazione è sempre tenuta ad accertare, con serietà e rigore, che il soggetto interessato abbia titolo per attuare detto intervento. Più precisamente, la p.a. deve accertare che l'istante sia proprietario dell'immobile oggetto dell'attività edilizia proposta o che, comunque, abbia un titolo di disponibilità tale da giustificarne la realizzazione.
Inoltre, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, pienamente condiviso dal Collegio, "ogni qual volta è nota la situazione di comproprietà dell'immobile oggetto di intervento, l'ente locale è tenuto ad accertare che vi sia l'assenso di tutti i comunisti coinvolti, senza che possano essere opposte, al fine di escludere la necessità di tale assenso, vicende sostanziali e processuali che presuppongono accurate ed approfondite indagini circa i sottesi rapporti civilistici" (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 05/04/2018, n.2121; sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4676; Sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332; Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654). Premesso ciò, secondo il TAR, il ricorrente nel proporre la realizzazione del complessivo intervento edilizio avrebbe dovuto allegare l'atto di assenso della sorella che, per sua stessa affermazione, ne è comproprietaria. La mancata allegazione di tale atto di assenso ha, quindi, legittimato il Comune a richiederne la produzione di ulteriori documenti di cui la segnalazione risultava carente, con la precisazione che, in mancanza, l'attività edilizia sarebbe stata radicalmente vietata. Tuttavia, a parere dei giudici amministrativi, il provvedimento del Comune era poco chiaro quanto all'esatta identificazione delle opere edilizie oggetto di demolizione.
Difatti, nella motivazione, il comune aveva considerato che alcune opere realizzate "non possono essere sanate in quanto realizzate su parti comuni senza il necessario atto di assenso dei comproprietari", omettendo tuttavia di chiarire se tali opere fossero state, effettivamente, oggetto della sanatoria che, viceversa, secondo le allegazioni dell'istante, non avrebbe riguardato le porzioni di immobile di proprietà comune bensì soltanto quelle di proprietà esclusiva.
In conclusione, il Tribunale Amministrativo ha ritenuto fondata esclusivamente la censura inerente il deficit motivazionale del provvedimento amministrativo. DI conseguenza, ha annullato l'ordinanza di demolizione, con l'obbligo dell'amministrazione comunale di rideterminarsi, conformandosi alle statuizioni della sentenza.
TABELLA RIEPILOGATIVA | |
OGGETTO DELLA PRONUNCIA | Lavori edilizi |
RIFERIMENTI NORMATIVI | l'art. 19 l. n. 241 del 1990 |
PROBLEMA | Il ricorrente aveva ricevuto l'ordinanza di demolizione per gli interventi effettuati nell'appartamento in comproprietà con la sorella, in quanto avrebbe dovuto allegare alla SCIA l'atto di assenso della sorella stessa |
LA SOLUZIONE | Il Comune aveva verificato la "parziale difformità delle opere realizzate rispetto ai titoli abilitativi edilizi rilasciati", senza tuttavia chiarire quali fossero titoli abilitativi di riferimento. Non essendovi certezza in merito all'esatta identificazione delle opere ritenute illegittime, il Tar ha rigettato il ricorso. |
LA MASSIMA | "Non si possono effettuare dei lavori di ristrutturazione all'interno di un appartamento, senza avere il consenso di tutti i comproprietari dello stesso" (TAR. Calabria n. 56 del 10gennaio 2019). |