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La servitù è un bene comune e l'amministratore può stare in giudizio

Tutela di un bene comune, l'amministratore può stare in giudizio senza l'autorizzazione dell'assemblea.
Avv. Alessandro Gallucci 

Sebbene la servitù sia un diritto reale che viene esercitato dal proprietario di un fondo, nel caso di servitù esercitabili indistintamente dai condomini, quali proprietari del fondo dominante, essa dev'essere considerata alla stregua di un bene comune.

In questo contesto l'amministratore di condominio ha la legittimazione a stare in giudizio in quelle controversie attinenti all'esistenza del diritto reale minore (anche così viene appellata una servitù).

Questo, in breve, il convincimento espresso (rectius nuovamente espresso) dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4871 del 28 febbraio 2014.

La pronuncia, che si è accennato non rappresenta una novità nell'ambito delle sentenze condominiali, è comunque meritevole di segnalazione visto che riguarda una materia, la legittimazione dell'amministratore di condominio a stare in giudizio, sovente portatrice di incertezze e soluzioni contraddittorie.

Nel caso risolto dai giudici di piazza Cavour, nel giudizio di primo grado l'attore chiedeva che venisse dichiarata l'inesistenza di servitù di passaggio a favore del Condominio suo vicino.

La compagine rappresentata dall'amministratore si costituiva in giudizio eccependo la carenza di legittimazione passiva dell'ente da lui rappresentato: "la servitù è diritto riguardante i condomini ed il condominio che rappresento non ha potere di stare qui in giudizio". Questa, per dirla con termini semplici, la principale doglianza del condominio.

I giudici, tanto in primo quanto in secondo grado, sposavano la tesi sostenuta dalla compagine: "il condominio con quella causa non c'entrava nulla". Questa la sostanza delle decisioni di merito. La sentenza d'appello è stata quindi impugnata davanti alla Corte di Cassazione da parte dell'originario attore.

(Qual è la differenza tra servitù volontarie e servitù coattive?)

Gli ermellini hanno trovato fondate le rimostranze del ricorrente e le hanno accolte. Si legge in sentenza che "in tema di anioni negatorie e confessorie [servitutis] la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio sussiste tutte le volte in cui sorga controversia sull'esistenza e sulla estensione di servitù prediali costituite a favore o a carico dello stabile condominiale nel suo complesso o di una parte di esso; invero, le servitù a vantaggio dell'intero edificio in condominio, contraddistinte dal fatto che l'utilitas da esse procurate accede allo intero stabile e non ai singoli appartamenti individualmente considerati, vengono esercitate indistintamente da tutti i condomini nel loro comune interesse, e, pertanto, pur appartenendo a costoro e non al condominio in quanto tale, posto che questo è privo di personalità giuridica, integrano un bene comune inerente alla sfera della rappresentanza processuale del suddetto amministratore, a norma del secondo comma dell'art. 1131 cod. civ." (Cass. n. 6396 del 1984)" (Cass. 28 febbraio 2014 n. 4871).

Insomma se il proprietario del fondo servente contesta la servitù (o contesta l'esercizio della servitù), secondo la Cassazione, ben può chiamare in causa l'amministratore.

In questi casi, è questa rappresenta una problematica strettamente connessa a quella risolta dalla Cassazione, l'amministratore può stare in giudizio senza l'autorizzazione dell'assemblea?

Ad avviso dello scrivente la risposta è positiva poiché l'azione riguardante la tutela di un bene comune (alla quale s'è detto è paragonabile la servitù) dev'essere considerata atto conservativo rispetto al quale l'amministratore è legittimato attivamente e passivamente ex lege (artt. 1130 n. 4 e 1131 c.c.).

Sentenza
Scarica Cass. 28 febbraio 2014 n. 4871
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