Con atto di citazione notificato il 5 ottobre 2004 il sig. ***** conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano il Condominio “Lanciano ****” chiedendo venisse accertato che le opere, di cui al punto 3), n. 3, del verbale di assemblea straordinaria in data 1 dicembre 2003 (“realizzazione di parcheggi aggiuntivi ai due già esistenti sul lato ovest” del terreno adibito a campo da tennis, “previo taglio rete”), in quanto tali da comportare la modifica della destinazione “a verde” di uno spazio condominiale, costituivano un'innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c.; e conseguentemente chiedendo l'annullamento della relativa delibera assembleare, perché non adottata con il voto favorevole dell'unanimità dei condòmini, con l'ulteriore conseguenza della condanna del convenuto alla rimessione in pristino dell'area oggetto dell'intervento modificativo.
Si costituiva il Condominio chiedendo, in via preliminare, la dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione di delibera e, nel merito, avuto riguardo alla limitatezza dell'intervento, il rigetto delle domande.
Con sentenza n. 12702/2006, depositata il 21 novembre 2006, il Tribunale respingeva le domande, condannando l'attore alla rifusione delle spese di lite: rilevava che il campo da tennis era stato realizzato dall'attore per uso proprio, e altresì in violazione della destinazione urbanistica, su un'area che si era in seguito giudizialmente accertato essere di proprietà condominiale; che il Condominio, una volta ottenuto il riconoscimento del proprio diritto, ne aveva sollecitato l'eliminazione; osservava poi che l'innovazione, di cui all'art. 1120, comma 2, c.c., è integrata solo dalle modifiche che rendono impossibile e comunque pregiudicano in modo apprezzabile la funzione originaria delle parti comuni; che, inoltre, la destinazione dell'area non poteva essere ritenuta quella attuale di campo da tennis o area “verde”, tale destinazione non essendo stata determinata dalla volontà comune dei partecipanti alla comunione, ma costituendo il frutto di una decisione assunta unilateralmente dall'attore e dal medesimo imposta nel proprio esclusivo interesse.
Avverso detta sentenza, notificatagli il 30 marzo 2007, proponeva appello l'attore, con atto di citazione notificato il 27 aprile successivo, deducendo l'erronea valutazione dei fatti emersi in causa, e di conseguenza l'erroneità della motivazione della sentenza, e concludendo per l'accoglimento delle domande (di accertamento della sussistenza di una innovazione vietata e di annullamento della delibera assembleare 1° dicembre 2003) già proposte in primo grado, con rifusione delle spese di entrambi i gradi e condanna del Condominio alla restituzione di quanto allo stesso versato in esecuzione della sentenza impugnata, previa ammissione dei capitoli di prova per testi articolati nell'atto introduttivo e nella successiva memoria ex art. 184 c.p.c. in data 10 novembre 2005.
Si costituiva il Condominio contestando la fondatezza del gravame e chiedendo la conferma della sentenza di prima grado.
Precisate, quindi, le conclusioni dal solo appellato, la Corte tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini per il deposito delle conclusionali e delle memorie di replica.
A sostegno dell'impugnazione proposta l'appellante ha dedotto l'erroneità della sentenza di primo grado sostanzialmente per non avere considerato che il Condominio, dopo essere entrato in possesso del terreno, aveva continuato, per circa quattro anni, ad utilizzarlo quale zona “a verde” e che, solo successivamente, aveva deliberato il mutamento della destinazione al medesimo impressa, destinazione che, pertanto, se non determinata da un'esplicita deliberazione assembleare, era comunque tale in virtù dell'uso e della natura stessa del bene comune; con la conseguenza che, una volta stabilita la destinazione in tal modo assegnata al terreno, implicando la protratta utilizzazione “a verde” una scelta precisa e volontaria da parte del Condominio, doveva ritenersi illegittima la delibera assembleare, con cui era stata decisa, a maggioranza semplice, la trasformazione dell'area in un parcheggio in cemento accessibile, per tutta la propria lunghezza, dalla pubblica via.
L'appello è infondato e deve essere respinto.
Si deve, infatti, osservare, in linea con un orientamento giurisprudenziale ormai risalente e consolidato, che, ai fini della distinzione tra innovazioni consentite e innovazioni vietate (art. 1120 c.c.), non è sufficiente che la nuova opera incida sull'entità materiale della cosa comune, ma occorre che ne alteri la sostanza e cioè comporti una modificazione dell'essenza funzionale o strutturale della cosa stessa o della sua destinazione, tale comunque da rispondere a requisiti di effettiva rilevanza e apprezzabilità.
Ora, non sembra dubbio che un tale superamento della soglia, che divide le innovazioni consentite da quelle vietate, non sia stato realizzato nella fattispecie concreta, ove se ne considerino gli indici e i dati oggettivi. In particolare:
a) già da un sommario confronto dei documenti prodotti dal Condominio sub 10) e 11), i quali rappresentano graficamente lo stato del terreno rispettivamente prima e dopo l'esecuzione dell'intervento per cui è causa, risulta che lo stesso si è di fatto risolto in un modesto prolungamento di uno spazio già adibito a parcheggio, mediante l'aggiunta ai cinque esistenti (spazi A-E) di due altri posti auto (spazi G e H) e di un terzo posto (spazio F), peraltro di dimensioni chiaramente ridotte in confronto ai precedenti;
b) come risulta dal computo effettuato dal Condominio nelle proprie difese e non contestato dall'appellante nell'esattezza dei dati di partenza, come delle operazioni di calcolo, la misura della superficie occupata dagli spazi F, G e H (e cioè degli spazi aggiunti a quelli gia esistenti e adibiti a parcheggio) è di soli mq. 35,10;
c) l'area interessata dall'intervento costituisce una modesta porzione del già limitato spazio complessivo “a verde”, che circonda su due lati il campo da tennis (come si può ancora vedere dalle piantine sub 10 e 11, in fasc. 1° grado convenuto), e può addirittura, e ben a ragione, definirsi insignificante in rapporto all'intera superficie del complesso condominiale, formato da un centinaio di villette che insistono su circa mq. 100.000.
Ne consegue che, attesa la pochezza dell'intervento, è da escludere che, nella specie, ricorrano i presupposti di una “trasformazione” dell'area o di altro mutamento rispondente alla natura delle innovazioni previste dalla norma di cui all'art. 1120, comma 2, c.c.; come è da escludere, ancora in considerazione dell'assoluta modestia della superficie interessata, quale risulta dai documenti prodotti, che possa realmente e seriamente parlarsi di destinazione d'uso, anche in via di mero fatto e indipendentemente da una espressa volontà condominiale.
Per tutte le considerazioni svolte, non vi è necessità di attività istruttoria.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano - come da nota allegata - in complessivi euro 6.211,00 oltre rimborso forfetario spese generali, Iva e Cpa. ()