Negli edifici condominiali la disciplina in tema di distanze legali nei rapporti tra proprietà singole non opera nell'ipotesi di installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell'appartamento.
"Sono irrilevanti le immissioni moleste che non superano la normale tollerabilità, così come non è soggetta alle regole sulle distanze legali l'installazione di impianti indispensabili ai fini dell'abitabilità dell'alloggio. La convivenza in un edificio condominiale può fare scaturire talvolta la necessità di sopportare propagazioni che sarebbero intollerabili da parte dei proprietari dei fondi vicini".
Questo è il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20555 del 30 agosto 2017 in merito alla tollerabilità delle immissioni.
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I fatti di causa. Semproniaaveva chiesto di accertare i vizi dell'immobile vendutole dalla società Beta, condannando questa, nonché gli altri convenuti, oltre che ai danni, all'eliminazione delle diverse cause di pregiudizio nel godimento del bene, quali: le esalazioni di fumi di scarico dalle caldaie degli appartamenti sottostanti di proprietà di Tizio e Caio; i miasmi da sfiati provenienti dal pozzo nero di proprietà del condominio Alfa.
In primo grado, espletata la Ctu il tribunale ha respinto tutte le domande essendo risultato che le caldaie erano conformi alla normativa esistente al momento della loro installazione, che dallo sfiato del tetto non provenivano miasmi intollerabili e che una volta riparato il filtro di scarico della acque il deflusso delle stesse sarebbe ritornato normale.
Nel successivo giudizio, la Corte d'appello ha confermato la pronuncia e dopo i chiarimenti del Ctu, sulla questione dei fumi provenienti dalle caldaie, ha parimenti negato difetti di manutenzione delle caldaie o violazioni delle norme tecniche che rendessero intollerabili le immissioni. Avverso tale decisione, l'attrice ha proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione.
Il concetto di tollerabilità. La norma principale èl'art. 844 cod. civ., per il quale «Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi». Nel contesto condominiale, al fine di accertare la concreta sussistenza dell'effetto lesivo dell'immissione, la valutazione della "normale tollerabilità" deve tenere conto, caso per caso, sia della peculiarità dei rapporti condominiali, sia delle destinazioni urbanistiche e del regolamento condominiale nonché, in via prioritaria, del primario bene della salute (art. 32 Costituzione) che, nell'ambito della tutela dei diritti assoluti assicurata dagli artt. 2043 e 2058 c.c., deve essere protetto contro qualsiasi attività possa menomarlo (Cass. Civ., 11 aprile 2006 n. 8420).
Premesso ciò, la normale tollerabilità deve essere intesa come soglia oltre la quale l'immissione diventa illecita: se sono superati i limiti dettati dalla normativa speciale (in materia di aria, acqua, rumore, ecc.), l'evento immissivo è sicuramente intollerabile.
La CTU come strumento di accertamento del livello di tollerabilità. In tema di immissioni, i mezzi di prova esperibili per accertare il livello di normale tollerabilità ex art. 844 c.c. costituiscono tipicamente accertamenti di natura tecnica che, di regola, vengono compiuti mediante apposita consulenza d'ufficio con funzione "percipiente", in quanto soltanto un esperto è in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone, l'intensità dei suoni o delle emissioni di vapori o gas, nonché il loro grado di sopportabilità per le persone, potendosi in tale materia ricorrere alla prova testimoniale soltanto quando essa verta su fatti caduti sotto la diretta percezione sensoriale dei deponenti e non si riveli espressione di giudizi valutativi (Cass. Sez. 2, 20/01/2017, n. 1606).
Il ragionamento della Corte di Cassazione. Secondo gli ermellini la disposizione dell'art. 844 c.c. è applicabile anche negli edifici in condominio nell'ipotesi in cui un condomino, nel godimento della propria unità immobiliare o delle parti comuni, dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini.
Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo, tuttavia, per desumerne il criterio di valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari.
È alquanto pacifico che dalla convivenza nell'edificio, tendenzialmente perpetua, scaturisce talvolta la necessità di tollerare propagazioni intollerabili da parte dei proprietari dei fondi vicini; per contro, la stessa convivenza suggerisce di considerare in altre situazioni non tollerabili le immissioni, che i proprietari dei fondi vicini sono tenuti a sopportare. Premesso quanto innanzi esposto,nella vicenda in esame, a parere della Corte, "il giudice civile non è infatti necessariamente vincolato dalla normativa tecnica prescritta per limitare l'inquinamento ed i consumi energetici, e, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti nell'ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo motivatamente al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., sulla scorta di un prudente apprezzamento di fatto che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica, e che rimane, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità".
Spetta, quindi, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell'ambito della stessa, supponendo tale accertamento un'indagine di fatto, sicché nel giudizio di legittimità non può chiedersi alla Corte di cassazione di prendere direttamente in esame l'intensità o la nocività delle emissioni per sollecitarne una diversa valutazione di sopportabilità. Quanto al problema delle distanze legali. conformemente a quanto già affermato in altre pronunce di legittimità, la Corte ha evidenziato che negli edifici condominiali, "la disciplina in tema di distanze legali nei rapporti fra proprietà singole non opera nell'ipotesi dell'installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale abitabilità dell'appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui" (Cass. Sez. 2, 15/07/1995, n. 7752; Cass. Sez. 2, 18/06/1991, n. 6885; Cass. Sez. 2, 05/12/1990, n. 11695).
In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, la Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha respinto il ricorso della condomina Sempronia; per l'effetto è stata confermata la pronuncia della Corte territoriale.
Si vuol quindi dire che non hanno avuto decisività le censure svolte dalla ricorrente avendo riguardo ai parametri fissati dalla normativa speciale in tema di requisiti e dimensionamento degli impianti termici negli edifici (in quanto diretti alla protezione di esigenze della collettività di rilevanza pubblicistica), pur potendo gli stessi essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l'intollerabilità delle emissioni che li eccedano.