La fattispecie del condominio parziale, che rinviene il fondamento normativo nell'art. 1123, comma 3, c.c., è automaticamente configurabile ex lege tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, rimanendo, per l'effetto, oggetto di un autonomo diritto di proprietà e venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene.
Quindi, siccome il condominio parziale nasce in automatico, senza bisogno di un atto costitutivo, e si configura autonomamente, ope legis, tutte le volte in cui viene meno la contitolarità di tutti i condòmini su uno o più beni, e cioè quando ricorra la condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante di cui sopra, ne discende che la sua costituzione non possa farsi derivare da un atto di autonomia privata, quale una delibera assembleare, che in tal caso, indipendentemente dalla sussistenza o meno del quorum costitutivo e/o deliberativo richiesto, sarebbe, se non proprio inesistente, comunque nulla, e se non per impossibilità dell'oggetto, quanto meno per illiceità dello stesso.
La sentenza n. 372 del 29 marzo 2023 emessa dal Tribunale di Potenza ci ricorda che il condominio, anche quello parziale, nasce (oltre che dal frazionamento dell'unica proprietà, anche) dalla condizione materiale e funzionale dei beni che lo compongono, nel loro asservimento alle singole proprietà solitarie.
Fatto e decisione
Alcuni condomini impugnano una delibera assembleare del proprio condominio, lamentando quanto dalla medesima stabilito, ovvero che da quel momento in poi venisse costituito un condominio parziale, pur in assenza dei presupposti di legge, con approvazione dei relativi millesimi.
Se cogliamo bene quanto riportato nella narrativa della pronuncia, la delibera impugnata aveva di fatto approvato nuove tabelle millesimali dalle quali venivano totalmente espunti dei locali di proprietà del Comune e siti al piano terreno dell'edificio, mentre altri locali, sempre di proprietà dell'Amministrazione, siti al primo piano, rimanevano inclusi; si veniva insomma a creare una sorta di condominio parziale o subcondominio, alle spese del quale non venivano fatti partecipare i locali al piano terreno di proprietà del Comune.
Ovviamente, questo determinava una riattribuzione millesimale con aumento delle quote di proprietà e, conseguentemente, dell'impatto di spesa a carica delle unità immobiliari 'rimaste' incluse nel condominio.
Il condominio, costituitosi, contesta l'assunto dei condòmini attori secondo cui l'edificio sarebbe stato unitario nella struttura, con un unico ingresso ed insistente su unica particella, con tabelle millesimali estese a tutte le unità in esso comprese.
Svolta CTU sullo stato dei luoghi ed assunti i testi nonché l'amministratore ad interrogatorio formale, il Tribunale di Potenza accoglie la domanda attorea, annullando la delibera impugnata.
Rammentando quanto abbiamo riportato in apertura, a sua volta mutuato da una recente pronuncia della Cassazione, la sentenza 16 gennaio 2020, n. 791, il Tribunale pone i seguenti punti salienti:
- la figura del condominio parziale trae spunto e fondamento dall'art. 1123, 3° comma, c.c. dettato in materia di spese condominiali;
- tale specie di condominio può esistere solo in quanto esistono dei beni considerabili di proprietà non di tutti i condòmini, ma soltanto di un gruppo di essi;
- la sua esistenza, peraltro, non è soggetta ad alcun atto ricognitivo, né costitutivo, ma riviene ex lege, al ricorrere delle condizioni di parziale titolarità dei beni;
- ne discende che le spese per i beni in condominio parziale vanno sostenute dai soli contitolari di quei beni.
Aggiungiamo noi, come ulteriore corollario, che, in presenza di un condominio parziale, solamente i condòmini facenti parte di esso hanno diritto a decidere circa la manutenzione e la relativa spesa, nonché su altre questioni che attengano unicamente al bene oggetto di condominio parziale e non l'intero edificio; quindi, l'Assemblea ove decidere deve essere convocata invitandovi solamente i condòmini del parziale ed i quorum costitutivi e deliberativi calcolati tenendo presenti i partecipanti al parziale ed i relativi millesimi, la cui somma, che non sarà pari a 1000/millesimi, costituirà il "valore dell'edificio" menzionato dall'art. 1136 c.c.
Ciò premesso, il Tribunale, per dirimere la controversia, menziona la CTU svolta, la quale aveva ricevuto come incarico l'esame dei luoghi allo scopo di determinare se sussistesse il presupposto per darsi parziarietà, come deliberato dall'assemblea.
La CTU, contrastando la tesi avanzata dal Condominio (che riteneva incluso in esso ciò che si collocava entro la proiezione del tetto), ha concluso affermando che "la proprietà comune non è stabilita dalla proiezione di parti del tetto sul terreno sottostante, ma dalle fondazioni e dalle strutture portanti sia verticali che orizzontali che racchiudono in un'unica struttura portante tutte le unità immobiliari prospicienti le due strade di cui si compone il palazzo".
Considerazioni conclusive
È sempre difficile, ancora oggi, cogliere il fatto che il condominio è un conglomerato di beni, servizi e immobili, dove il rapporto di cum-dominium, di comproprietà, diremmo noi, è dato dalla titolarità pro quota (quella millesimale di proprietà) che i singoli condòmini vantano sui beni ed i servizi asserviti - si perdoni la necessaria ripetizione - alle unità immobiliari, alla quale fa da contraltare il dovere di provvedere per detti beni e servizi, con la manutenzione e il pagamento delle spese correnti.
Quindi condominio si nasce e perché sia così è necessario aversi questo rapporto tra struttura, funzione e titolarità.
D'altronde, analoghi ragionamenti vengono svolti dalla giurisprudenza quando si parla di supercondominio, ove, come per il condominio parziale, si afferma che "nel caso di pluralità di edifici legata dall'esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni, in rapporto di accessorietà con i fabbricati, - come nel caso di specie- trovano applicazione le norme sul condominio negli edifici e non già quelle sulla comunione in generale, con la conseguenza che si applica la presunzione legale di (super)condominialità di talune parti, stabilita dall'art. 1117 bis c.c., purché si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all'uso od al godimento di tutti gli edifici" (in termini Cass., Sez. II, 14 novembre 2012 n. 19939; Cass., Sez. II, 17 agosto 2011 n. 17332; Cass., Sez. II, 15 novembre 2017 n. 27094; Cass., Sez. II, 25 ottobre 2018 n. 27084, e, per la giurisprudenza di merito, Trib. Torino, Sez. III, 9 settembre 2019 n. 3980).
Tant'è vero che, in base al nuovo art. 1117 bis c.c. (inserito dalla riforma del 2012), per la configurabilità del supercondominio è sufficiente che vi sia almeno un bene o servizio in comune tra condominii autonomi, con la conseguenza che la mancata previsione di un titolo che disponga in tal senso non impedisce la sussistenza dello stesso ipso iure et facto.
Infatti, il c.d. "supercondominio", figura di elaborazione giurisprudenziale, viene in essere (proprio come il condominio negli edifici) "ipso iure et facto", senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà (né dell'originario costruttore, né dei proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio) o tanto meno di approvazioni assembleari, essendo sufficiente che i singoli edifici, costituiti in altrettanti condominii, abbiano in comune alcuni impianti e servizi, rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 1117 c.c., legati da un vincolo di accessorietà ad ognuno degli edifici medesimi (così Cass. Civ., Sez. II, n. 1344 del 19.1.2018).