I divieti ed i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare: nella prima ipotesi è sufficiente, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, verificare se la destinazione sia inclusa nell'elenco, dovendosi ritenere che già in sede di redazione del regolamento siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi, nella seconda ipotesi, essendo mancata la valutazione in astratto degli effetti dell'attività, è necessario accertare l'effettiva capacità a produrre gli inconvenienti che si vogliono evitare (Cass. civ., sez. II, 23/12/1994, n. 11126).
È importante sottolineare che le restrizioni alle facoltà inerenti alla proprietà esclusiva, contenute nel regolamento di condominio di natura contrattuale, devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco in modo tale da non lasciare alcun margine d'incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni.
Trattandosi di materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze e non possono quindi dar luogo ad un'interpretazione estensiva delle relative norme.
Allo stesso modo non è possibile, attraverso un'interpretazione estensiva, far rientrare un'attività vietata nell'ambito di un'attività consentita.
Il problema è stato affrontato dalla Corte di Appello di Napoli nella sentenza n. 3327 del 14 luglio 2022.
Condominio, laboratorio, ufficio e limiti di destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva: la vicenda
I condomini proprietari di un appartamento al 2° piano di un caseggiato condominiale si rivolgevano al Tribunale lamentando la presenza nei locali al piano sottostante di un laboratorio di analisi chimico-cliniche che utilizzava grossi e rumorosi macchinari ed apparecchiature elettriche.
Secondo gli attori tale utilizzazione degli immobili sottostanti violava l'art. 8 del regolamento condominiale del costruttore, il quale vietava la destinazione degli appartamenti ad usi diversi da quelli di abitazione ed ufficio; in ogni caso evidenziavano che l'inerzia dell'amministratore, più volte diffidato ad adottare provvedimenti riparatori, aveva causato loro ingenti danni, tra cui l'impossibilità di vendere il loro appartamento. Di conseguenza richiedevano al condominio il risarcimento dei danni patrimoniali e non. Si costituiva in giudizio il condominio, chiedendo il rigetto delle domande e eccependo il difetto di legittimazione passiva, poiché le immissioni non provenivano da beni comuni, bensì dal laboratorio.
In ogni caso il condominio chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa la società che gestiva il laboratorio e la proprietaria dell'immobile condotto in locazione dalla società.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituivano la predetta società ed il legale rappresentante in proprio, deducendo che l'attività svolta dal laboratorio era compatibile con la previsione dell'art. 8 del regolamento condominiale e che rispettava i limiti imposti dal piano di zonizzazione acustica.
Il Tribunale ammetteva la mancanza legittimazione passiva del condominio in ordine alla domanda di risarcimento danni derivante dalla violazione dell'art. 8 del regolamento di condominio; riteneva che effettivamente la norma fosse stata violata ed individuava gli autori della violazione nella società, nel legale rappresentante e nella proprietaria dei locali, che condannava in solido al ristoro del pregiudizio patito dagli attori per non aver potuto vendere il loro appartamento a causa dei rumori molesti provenienti dal laboratorio.
Conferma della sentenza: limiti di destinazione e danni non riconosciuti
La Corte di Appello ha confermato la decisione del Tribunale. Secondo i giudici di secondo grado la limitazione imposta ai beni di proprietà esclusiva circa la destinazione "ad uso di abitazione o di ufficio" risulta sufficientemente chiara e specifica e mira ad escludere qualsiasi uso degli immobili diverso da quello espressamente contemplato, vietando tutte le utilizzazioni che non rientrano nelle ampie categorie previste dalla clausola.
Del resto il termine "ufficio" non è certo compatibile con le caratteristiche organizzative e dimensionali dell'attività di un laboratorio, esercitata in forma di impresa e con l'utilizzo di un rilevantissimo numero di macchinari. In ogni caso sono risultate evidenti le immissioni intollerabili provenienti dai macchinari.
Per la Corte di Appello, però, la circostanza addotta dai proprietari dell'appartamento al secondo piano, e cioè di aver posto in vendita l'immobile di loro proprietà e di non averlo potuto alienare a causa degli eccessivi rumori che non lo rendevano appetibile sul mercato, non ha integrato essa stessa un danno perché non ha comportato alcuna diminuzione patrimoniale, avendo i condomini conservato la titolarità del bene. Gli stessi attori, quindi, sono stati condannati alla restituzione dell'importo ricevuto a titolo di risarcimento danni.