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Sono scivolata perché avevano messo la cera al pavimento. Senza prove nessun risarcimento

Cosa succede se una condomina scivola nell'androne del palazzo a causa della cera?
Avv. Alessandro Gallucci 

In tema di danni da cose custodia il condominio è responsabile per i danni occorsi ai condomini ed ai terzi provenienti dalle cose di proprietà comune.

Ciò, però, non esonera il danneggiato dall'onere di provare che il danno sia provenuto dal bene condominiale. Niente prova, niente risarcimento. Questo in sostanza è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza 24 febbraio 2014 n. 4277.

È quello che è accaduto ad una condomina scivolata nell'androne del palazzo a causa, a suo dire, del trattamento con la cera del pavimento. Il risarcimento del danno patito, però, non è arrivato perché l'attrice non è riuscita a provare tale circostanza.

Danni da cose in custodia

Esiste una norma, l'art. 2051 c.c., rubricata Danno cagionato da cosa in custodia, che recita:

Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

La norma è stata oggetto di un serrato confronto dottrinario e giurisprudenziale. Ad oggi quello che appare senza dubbi come il pensiero comune è così sintetizzabile: "La responsabilità prevista dall'art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità" (cfr. Cass. n. 8005 del 2010).

Si tratta di una forma di responsabilità obiettiva che se da un lato semplifica il ruolo processuale del danneggiato, dall'altro lascia comunque a suo carico una serie di adempimenti ineludibili nell'ottica dell'ottenimento del risarcimento del danno. (Leggi anche: Va risarcito, anche senza testimoni, il condomino che cade a causa dei detriti sul pavimento.)

È in questo contesto giuridico che è stata risolta la controversia di cui s'è detto in principio. La condomina aveva proposto ricorso per Cassazione poiché le sue richieste erano rigettate nell'ambito dei giudizi di merito per mancanza di prove.

Gli ermellini hanno confermato la pronuncia impugnata. A loro dire non v'era stata nessuna violazione di legge in relazione all'onere probatorio.

Si legge in sentenza che "la corte territoriale ha ritenuto correttamente che in primo luogo l'attrice fosse tenuta a fornire la prova del nesso causale esistente tra il danno e il bene in custodia, e che in particolare questa prova sia mancata non essendo stata attendibilmente confermata una particolare scivolosità del pavimento, dovuta a un trattamento a cera ipotizzato dalla ricorrente e che non ha trovato alcun riscontro in istruttoria, o ad altre cause riconducibili al condominio stesso; solo una volta che fosse stata ritenuta sussistente la prova del nesso causale tra il danno ed il bene in custodia, il condominio sarebbe stato presuntivamente responsabile ex art. 2051 c.c., responsabilità dalla quale il condominio avrebbe potuto liberarsi solo fornendo la prova del verificarsi del fatto per caso fortuito (sul rapporto tra prova del nesso causale ? a carico dell'attore, e prova liberatoria dalla responsabilità per custodia, a carico del custode" (Cass. 24 febbraio 2014 n. 4277).

Consigliato: Il condomino scivola ma conosce gli orari delle pulizie. Niente risarcimento

Sentenza
Scarica Cass. 24 febbraio 2014 n. 4277
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