La controversia che interessa la pronuncia in commento, Tribunale di Roma sentenza n.3508 del 18 febbraio 2020, attiene alla domanda di rimozione del motore del sistema di refrigerazione, apposto sul pavimento della chiostrina condominiale e, in parte, sulla parete situata al di sotto della finestra dell'immobile al quale serve, promossa dal condominio contro la proprietaria e la conduttrice dello stesso.
Iter Giudiziale
A sostegno della pretesa azionata il condominio ha mosso tre obiezioni, deducendo l'avvenuta violazione (i) del regolamento vigente, (ii) dell'art. 1102 Cod. Civ. inerente il pari uso della cosa comune, nonché (iii) dell'art.1122 Cod. Civ. contestando la lesione del decoro dell'edificio.
Previa costituzione in giudizio, la conduttrice dell'immobile e la proprietaria contestavano le censure avanzate dai condomini, quest'ultima eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.
Ritenuto legittimo il contraddittorio nei confronti della locatrice e proprietaria dell'immobile in quanto obbligata propter rem e tenuta a far rispettare il regolamento e le norme in materia di condominio, istruita la causa ed espletata la CTU, il Giudice ha rigettato la pretesa del condominio per i motivi in appresso esposti ed argomentati.
Clausole regolamentari ed opponibilità
L'esame puntuale delle clausole contenute nel regolamento, addotte dal condominio a conforto della propria tesi, ha condotto il Giudice ad escluderne la applicazione in ragione del fatto che le stesse comprimono significativamente i diritti di alcuni condomini, tra cui le convenute, non solo in relazione all'esclusione dell'utilizzo di parti comuni, che rientrano a piena lettera nell'art. 1117 Cod. Civ. ma, anche, in ordine alle limitazioni all'uso.
Ad avviso del Tribunale di Roma, rettamente, tali restrizioni costituiscono servitù reciproche atipiche, che non possono essere ritenute opponibili a terzi, neppure mediante la mera trascrizione del regolamento, ma devono essere espressamente specificate nella relativa nota.
Ebbene, nella vicenda in esame, non risulta alcuna accettazione del regolamento all'atto di acquisto dell'immobile, né tantomeno il condominio ha dimostrato di aver provveduto alla trascrizione, con separata nota, delle clausole limitative dei diritti riconosciuti ex lege sulle parti comuni.
Diritto al pari uso dei beni comuni ex art. 1102 Cod. Civ.
Il concetto di pari utilizzo della res comune non deve essere interpretato letteralmente, secondo orientamento consolidato della Giurisprudenza, quale uso identico e contemporaneo, ma occorre tenere in considerazione, in rispondenza al principio della solidarietà, quale parametro, il costante equilibrio tra le esigenze ed interessi dei partecipanti al condominio.
Ne deriva, quindi, quale criterio pratico, quello di procedere alla verifica di eventuali violazioni mediante un'opera di contemperamento delle reciproche posizioni, anche rispetto alla previsione che di un bene comune altri non ne potrebbero, comunque, trarne pari godimento.
In proposito, la Suprema Corte ha ribadito che «Il disposto dell'art. 1102 cod. civ. è nel senso che ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un'utilità - più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso.
A tal fine il singolo condomino può apportare alla cosa comune le modificazioni del caso, sempre sul presupposto che l'utilità, che in contrasto con la specifica destinazione della medesima (Cass. 12310/11) o, a maggior ragione, che essa non perda la sua normale ed originaria destinazione (Cass. 1062/11)» (Cass. Civ., sez. II, 03/06/2015, n. 11445).
Nella fattispecie trattata dal Tribunale di Roma, l'utilizzo più intenso di una ridotta parte del pavimento della chiostrina risulta palesemente legittimo, in aderenza ad una logica prognosi dettata dalla situazione di fatto esistente, per cui detta area non sarebbe, comunque, parimenti fruibile dagli altri condomini, essendo posta sotto la finestra dell'immobile di parte convenuta.
Parimenti, non emerge alcuna alterazione relativamente alla destinazione della chiostrina in questione.
A conferma, la Corte di Cassazione, con sentenza del 31 maggio 2017, ha confermato che "l'uso paritetico" non può essere tradotto "in termini di assoluta identità di utilizzazione della res, poiché una lettura in tal senso della norma de qua, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio".
Ne deriva che la contestazione avanzata dal condominio non può ritenersi aderente al dettato normativo di cui all'art. 1102 Cod. Civ., come interpretato in ragione dell'orientamento consolidato della Giurisprudenza di legittimità.
Decoro architettonico
La nozione di decoro architettonico di un edificio rappresenta l'estetica del fabbricato, quale risultato dell'insieme delle linee e delle strutture, ivi compresi i motivi ornamentali, che segnano il compendio immobiliare stesso e gli conferiscono una definita fisionomia ed una specifica identità.
Quando si verifica, quindi, una alterazione?
A questa domanda, non trovando una definizione codicistica, ha risposto la Giurisprudenza che, previa necessaria valutazione del caso concreto, ha ritenuto configurabile una alterazione ogni qualvolta vengano apportate modifiche visibili e significative alla struttura e complessive caratteristiche, intese quali elementi che denotano lo stabile, che attribuiscono alla stesso una sua armonia a prescindere dall'eventuale particolare pregio.
Nel caso in esame, stante anche quanto emerso nella CTU, il Giudice non ha ritenuto di poter assumere la tesi attorea, secondo la quale la installazione del motore dell'impianto di condizionamento avrebbe apportato una alterazione del decoro, essendo posto in una area interna, destinata a più servizi (canne fumarie/cavi) e tra l'altro in una parte anche poco visibile.