Il contratto preliminare obbliga le parti a tutti gli effetti, vincolandole alla stessa stregua di un accordo definitivo. La sua peculiarità, quindi, sta nella funzione che assolve, trattandosi di strumento che permette di raggiungere progressivamente l'obiettivo che le parti si sono prefisse, disegnando in modo graduato il percorso per la conclusione dell'affare.
Da tanto deriva che anche nel compromesso è possibile inserire condizioni che sono tipiche di tutti gli altri negozi giuridici, come ad esempio la clausola risolutiva espressa. Di tanto si è occupato il Tribunale di Perugia con l'ordinanza del 22 dicembre 2022, decidendo sulla risoluzione di un preliminare a seguito dell'inadempimento del promissario acquirente. Analizziamo più nel dettaglio la vicenda.
Risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente
Il promittente venditore adiva l'autorità giudiziaria chiedendo la risoluzione del preliminare per inadempimento del promissario acquirente il quale, contravvenendo ai propri impegni, aveva omesso di pagare l'importo residuo del mutuo che si era accollato quale corrispettivo per l'acquisto dell'immobile.
Il promittente venditore invocava infatti l'operatività della clausola risolutiva espressa inserita nel compromesso, in forza della quale «il mancato pagamento di tre rate consecutive del mutuo da parte della parte promittente acquirente comporterà la risoluzione del presente contratto e quindi la restituzione del bene al proprietario».
Per l'effetto, chiedeva la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno e la liberazione dell'immobile, atteso che il promissario acquirente era stato immesso nel possesso sin da subito.
La clausola risolutiva espressa e l'importanza dell'inadempimento
Il Tribunale di Perugia, con l'ordinanza del 22 dicembre 2022 in commento, nell'accogliere la domanda del ricorrente, coglie l'occasione per fare un'interessante panoramica dell'istituto della clausola risolutiva espressa.
È appena il caso di ricordare che, secondo l'art. 1456 c.c., «I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva».
La clausola risolutiva espressa consente, alla parte contrattuale che vuole avvalersene, di sciogliere l'accordo mediante propria dichiarazione unilaterale da comunicare alla controparte, purché ovviamente ricorrano le condizioni affinché l'operatività della suddetta possa essere invocata.
La peculiarità della clausola risolutiva espressa è di elidere la valutazione del giudice circa l'importanza dell'inadempimento, elemento essenziale per poter chiedere la risoluzione contrattuale. Questo il tenore dell'art. 1455 c.c.: «Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra».
Con la clausola risolutiva espressa le parti si mettono d'accordo sull'importanza dell'inadempimento, visto che hanno cura di indicare espressamente sin dall'inizio quale violazione contrattuale deve essere considerata talmente grave da consentire lo scioglimento dell'accordo.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, per la configurabilità della clausola risolutiva espressa le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, costituendo una clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto (Cass., 12/12/2019, n. 32681).
La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice.
Infine, si ricorda che in tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo (accettazione di un pagamento parziale o tardivo), non determina l'eliminazione della clausola, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza manifesti l'intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell'inadempimento.
La dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa
In presenza di una clausola risolutiva espressa lo scioglimento di diritto del vincolo negoziale non si produce automaticamente al mero verificarsi dell'inadempimento contemplato nell'accordo, occorrendo, invece, che il creditore della prestazione rimasta inadempiuta comunichi alla controparte la propria volontà di avvalersi della risoluzione di diritto.
Ciò posto, la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa non richiede forme particolari; detta volontà, dunque, può essere espressa in qualunque modo, anche verbalmente o in maniera implicita, purché in termini inequivoci.
La clausola risolutiva espressa e il principio di buona fede
Nel caso di specie, l'operatività della clausola risolutiva espressa è fuori discussione, essendo il promissario acquirente venuto meno al proprio obbligo di pagamento.
Né è possibile escluderne l'operatività della clausola in ragione del generale principio di buona fede, atteso che la funzione di detta clausola è, chiaramente, da leggersi in funzione del complessivo regolamento negoziale assunto dalle parte in cui, in particolare, il pagamento del prezzo di compravendita sarebbe avvenuto proprio per il tramite dell'accollo del mutuo.
Sicché, in tal senso, quand'anche si volesse compiere una ulteriore indagine avuto riguardo alla consistenza e gravità dell'adempimento nell'ottica di un più generale rispetto del principio di buona fede, lo stesso sarebbe comunque da intendersi rispettato, giacché il pagamento delle rate costituiva modalità di pagamento anticipato del prezzo, elemento cui era ancorata la stipula del definitivo e, dunque, del tutto ragionevolmente presidiato da una clausola risolutiva espressa.
In conclusione, merita indubbio accoglimento la domanda di parte ricorrente volta ad ottenere la declaratoria dell'intervenuta risoluzione del contratto preliminare, mancando la prova (che la resistente, rimanendo contumace, non ha offerto) del pagamento delle rate di mutuo.
La restituzione dell'immobile a seguito della risoluzione
Alla luce di quanto precede, il Tribunale di Perugia ritiene di accogliere anche la richiesta di risoluzione con ordine alla resistente di restituzione del bene.
Ed infatti, giova ricordare che l'efficacia retroattiva della risoluzione del contratto per inadempimento, determinando il venir meno ex tunc del vincolo contrattuale, rende prive di causa di cause le prestazioni già eseguite dalle parti in forza dello stesso del contratto successivamente risolto.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, la relazione che si instaura tra la cosa e il promissario acquirente è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso (Cass., Sentenza n. 5211 del 16/03/2016).
Proprio dall'applicazione dell'art. 2033 c.c., che disciplina l'indebito oggettivo, la Suprema Corte ha affermato che la sopravvenuta inefficacia di un contratto preliminare di compravendita, a seguito della prescrizione del diritto da esso derivante alla stipulazione del contratto definitivo, comporta, per il promissario acquirente che abbia ottenuto dal promittente venditore la consegna e la detenzione anticipate della cosa, l'obbligo di restituzione della cosa stessa e degli eventuali frutti, non già un'obbligazione risarcitoria per il mancato godimento del bene nel periodo successivo al compimento della prescrizione (Cass., Sentenza n. 16629 del 03/07/2013, Rv. 626935).
Il principio vale certamente anche per il caso di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, dovendosi ritenere che la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione stabilita dall'art. 1458 c.c., in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi sulla ripetizione dell'indebito.