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Dubbi sulla titolarità di un cortile dell'ex villa diventata condominio: l'importanza di una corretta interpretazione del regolamento

Quando il contenuto di una clausola del regolamento è equivoca deve darsi prevalenza a ciò che emerge dal resto delle disposizioni regolamentari e dagli atti convenzionali.
Avv. Anna Nicola Avv. Anna Nicola 

Com'è noto, l'art. 1117 c.c. indica, a titolo esemplificativo, i beni che dovrebbero dirsi condominiali. Essi possono non essere tali se vi è un atto (titolo contrario) che dispone per la proprietà individuale o se la loro destinazione è tale da servire non tutte le unità che compongono l'edificio.

Si afferma che questa norma non indichi una mera presunzione di appartenenza comune ai condomini dei beni elencati, che, come tale, potrebbe essere superata da qualsiasi prova contraria.

Abbisogna di una prova certa sulla cui base viene ad essere identificata singola o comune nel momento di costituzione del condominio stesso, ovvero nel momento in cui l'edificio cessa di essere unico e vede una pluralità di proprietari (Cass. n. 3852/2020).

Occorre guardare al primo atto di trasferimento della proprietà di un'unità da parte dell'originario ed unico proprietario, in modo da poter accertare l'esistenza di una valida riserva di un bene potenzialmente comune in capo allo stesso unico proprietario (Cass. n. 20693/2018). Questi principi sono stati ripresi di recente dalla Cass. del 2021, n. 21622 e dal Tribunale di Roma n. 10350 del 30 giugno 2023.

Nel caso di specie gli attori, parte dei condomini del costituendo condominio, unica villa con giardino ex proprietà di due fratelli, chiedono di accertare e dichiarare che la società condomina non ha alcun diritto esclusivo relativamente agli 11 posti auto indicati nell'atto di vendita.

Questa domanda si qualifica come actio negatoria servitutis, (art. 949 c.c.), concessa al proprietario per far cessare eventuali molestie o turbative di fatto provocate da altri sul suo bene, oppure per far cessare eventuali molestie di diritto.

In particolare, "L'actio negatoria servitutis può essere diretta sia all'accertamento dell'inesistenza di diritti vantati da terzi sia alla cessazione di turbative o molestie e, in tale ultima ipotesi, ove la turbativa o la molestia sia attuata mediante la realizzazione di un'opera, può anche determinare la condanna alla trasformazione o demolizione dell'opera stessa" (cfr. Cass. n. 27564/2014).

Gli attori agiscono in difesa di parti comuni, negando l'attribuzione di diritti in capo alla convenuta e chiedendone l'accertamento negativo anche al fine di impedire ogni turbativa o molestia minacciata dalla presentazione di una SCIA per la realizzazione degli undici posti auto.

L'oggetto del contendere è un'area esterna che circonda l'edifico condominiale di cui la convenuta rivendica un diritto di uso esclusivo in virtù dell'acquisto fattone (pro quota) con atto a rogito notaio.

I diritti vantati da quest'ultima su detta area utilizzata a parcheggio (in virtù di quanto indicato nel regolamento di condominio, di origine contrattuale, predisposto dagli originari proprietari) le sarebbero stati trasferiti dal dante causa.

Viceversa, la posizione degli attori - come anche del condominio convenuto- è quella di ritenere l'intera area esterna circostante l'edificio come comune e condominiale, come si evincerebbe dagli atti di causa (acquisti delle proprietà solitarie, atto di divisione, regolamento di condominio e conformazione dell'area), mancando, in ogni caso, qualsivoglia titolo contrario alla presunzione di condominialità.

Il condominio è venuto ad esistenza per effetto della divisione secondo la quale i condividenti, dopo essersi attribuiti in via esclusiva gli appartamenti, avevano mantenuto lo stato di comunione su ulteriori beni (un locale magazzino sito nel piano seminterrato, un locale uso ufficio sito al piano terra e primo, un ulteriore locale sito al piano sottostrada, nonché un'area giardino di pertinenza, vano scala e ascensore comune dal piano seminterrato al piano quarto, identificati in catasto).

Contestualmente al suddetto atto di divisione è stato redatto e allegato all'atto stesso il regolamento di condominio sottoscritto dalle medesime parti e trascritto unitamente all'atto di divisione.

In tale regolamento all'art. 1) viene precisato che "fanno parte del neocostituito condominio: 1) il Parco Condominiale, 2) il Fabbricato A." e che "In esso trovasi n. 15 appartamenti, n. 21 box auto esterni (di cui 11 di pertinenza degli interni xx e n. 10 di pertinenza degli interni yy)" mentre all'art. 2) viene precisato che tra le cose di proprietà comuni a tutti i condomini vi è anche "lo spazio antistante e retrostante il fabbricato".

Occorre quindi procedere alla corretta interpretazione degli atti.

Dall'esame degli atti (regolamento e divisione) si può escludere l'esistenza di un titolo contrario idoneo a vincere la presunzione di condominialità prevista ex art. 1117 c.c. per quel che riguarda l'area esterna del fabbricato.

Invero, dall'atto di divisione non può evincersi alcuna espressa riserva di proprietà in capo agli originari comproprietari dell'edificio i quali hanno solo diviso la proprietà.

Nell'atto di divisione, inoltre, l'area giardino viene definita "di pertinenza" dell'intero stabile al pari del vano scala ed ascensore compreso dal piano interrato al piano quarto, cose, per loro natura sono già destinate ad un uso comune.

In assenza di una chiara ed espressa riserva di proprietà, pertanto, occorre ritenersi che nella volontà delle parti non vi era che quella di destinare l'intera area all'utilizzo comune.

Quanto al contenuto dell'art. 2) laddove vengono menzionati gli appartamenti e i box (oggetto di reciproche pretese delle parti), la disposizione è di equivoca redazione e di dubbia validità posto che i menzionati 15 appartamenti corrispondono nella realtà a 13 (7 attribuiti ad un fratello e 6 all'altro dall'atto di divisione), mentre i 21 box non erano esistenti al momento della redazione del regolamento né furono in seguito realizzati (come dimostra del resto il fatto che proprio i convenuti hanno predisposto solo di recente una SCIA per la realizzazione dei posti auto).

Inoltre, l'indicazione del numero di essi (21), 11 di pertinenza degli appartamenti interni xx e 10 di pertinenza degli interni yy, non corrisponde neanche ai 13 appartamenti dei quali dovevano costituire pertinenza né ad un multiplo di essi. Peraltro nel regolamento non si fa alcuna menzione degli interni degli appartamenti ai quali (nell'intenzione degli originari condividenti) dovevano essere associati i singoli box.

In ragione di ciò si dà prevalenza a ciò che chiaramente emerge dal resto delle disposizioni regolamentari nonché dagli atti convenzionali e, in mancanza, ai principi normativi e regolatori della materia. Invero, il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è mai, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali.

Lo spazio antistante e retrostante il condominio in assenza di delimitazioni ed individuazioni diverse da quelle emergenti dagli atti, deve necessariamente identificarsi con tutta l'area che circonda lo stabile condominiale incluso il giardino circostante il fabbricato. Essendo quest'area pacificamente comune, ad essa andranno applicati, quanto a (com)proprietà e uso, le disposizioni di legge in materia.

Peraltro uso comune contesta con l'uso esclusivo come da insegnamento della Suprema Corte (Cass. S.U. n. 28972/2020).

Ne deriva la presunzione di condominialità dei beni in oggetto.

Con l'analisi della pronuncia, la Cassazione pone l'accento sulla presunzione di condominialità

Considerazioni conclusive

I cortili, ovvero qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica che serve a dare aria e luce agli ambienti circostanti, spazi verdi o parcheggio di autovetture, sono ricompresi dall'art. 1117 n. 1 c.c. tra le parti condominiali necessarie all'uso comune, salvo titolo contrario.

La presunzione di condominialità, stabilita dall'art. 1117 c.c. per i beni ivi indicati opera in presenza della idoneità del bene ad essere destinato ad uso collettivo.

Anche in assenza di uso effettivo, dunque, la semplice possibilità del bene di assolvere ad uno scopo comune è idonea a far scattare la presunzione di cui sopra, con conseguente onere della prova contraria a carico della parte che abbia interesse a vincere la predetta presunzione.

È bene ricordare che ai sensi dell'art. 1102 c.c. ciascun partecipante alla comunione può usare il bene comune in modo più intenso sempre che non ne limiti agli altri partecipanti il pari uso posto che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. n. 2114/2018; Cass. n. 27233/2013).

Sentenza
Scarica Trib. Roma 30 giugno 2023 n. 10350
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