Molto spesso nei regolamenti di condominio troviamo inserita una clausola finale avente ad oggetto l'obbligo, prima di promuovere un'azione giudiziaria, di deferire la questione, purché vertente su diritti disponibili, alla cognizione di un arbitro il quale, a seconda delle circostanze, emetterà un lodo sentenza (arbitrato rituale), oppure un lodo contratto (arbitrato irrituale), attraverso il quale le parti potranno raggiungere un accordo in merito alla lite. Il Tribunale di Torino, in data 9 ottobre 2024, con la sentenza n. 5051, non si è discostato dalle precedenti linee giurisprudenziali ed ha confermato quell'indirizzo secondo il quale una clausola compromissoria è pienamente legittima quando è parte di un regolamento contrattuale, con la conseguenza che la stessa produce effetti sull'incompetenza del giudice se adito in via ordinaria prima di ricorrere alla fase arbitrale.
Impugnativa di delibera assembleare e clausola compromissoria. Accolta l'eccezione del condominio. Fatto e decisione
Il fatto che costituisce il fondamento della decisione emessa dal Tribunale piemontese può essere sintetizzato in termini brevi.
Un condomino impugna una delibera assembleare chiedendo che ne sia dichiarata la nullità o annullabilità e, contestualmente, propone domanda di revisione ed integrazione delle tabelle millesimali.
Il condominio si costituisce in giudizio ed eccepisce, in via preliminare, il "difetto di giurisdizione" (espressione, poi, riqualificata in sentenza come eccezione di incompetenza) a fronte della sussistenza di una clausola regolamentare, che demanda qualsiasi controversia tra i comproprietari con oggetto attinente allo stabile o al regolamento medesimo ad un collegio arbitrale al fine di comporre amichevolmente la lite. Gli arbitri dovranno essere nominati di comune accordo tra le parti o, in difetto, dal Presidente del Tribunale su richiesta della parte più diligente.
Il Tribunale, visto il costante orientamento della giurisprudenza sul punto, ha accolto l'eccezione formulata dal condominio ritenendo che, la competenza in merito all'impugnativa della deliberazione spettasse all'arbitro, dal momento che il diritto ad impugnare di cui all'art. 1137, co. 2, c.c., "non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non esclude la compromettibilità ad arbitri delle relative controversie, le quali, d'altronde, non rientrano in alcune dei divieti sanciti dagli articoli 806 e 808 c.p.c." (Cass. 13 marzo 2022, n. 8698; Cass. 15 dicembre 2020, n. 28508).
Le clausole del regolamento di condominio tra contenuto e limiti
Il regolamento di condominio è, per definizione giurisprudenziale (Cass. 29 novembre 1995, n. 12342), una sorta di statuto della collettività condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti per tutti i componenti di detta collettività, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico ed a porsi come fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettività come tale quanto, soprattutto, per i singoli condomini.
Una caratteristica essenziale e funzionale per lo svolgimento dei rapporti interni tra le componenti soggettive del condominio in termini di diritti e doveri; di ripartizione delle spese; di obblighi e di corrispondenti divieti; di individuazione di ulteriori attribuzioni riservate all'amministratore rispetto a quelle già disciplinate dal Codice civile; di ampliamento, ove possibile, delle competenze dell'assemblea e così via.
La coesistenza di clausole regolamentari e contrattuali è la tipica caratteristica dell'atto, disciplinato dal Codice civile (art. 1138 c.c.) sotto il profilo della sua obbligatorietà in relazione al numero dei condomini (superiore a dieci); al suo contenuto; al soggetto/i legittimato/i a prendere l'iniziativa per la sua formazione o revisione; alla maggioranza utile per la sua approvazione da parte dell'assemblea (ex art. 1136, co. 2, c.c.) con conseguente inserimento dello stesso nel registro dei verbali assembleari di cui all'art. 1130, n. 7, c.c.
Da quanto rilevato emerge che la natura del regolamento disciplinato dal Codice civile è di carattere assembleare, per cui tutte le norme in esso contenute che dovessero incidere sui diritti anche di un solo condomino devono essere approvate con il consenso unanime degli stessi (ovvero 1000/1000 millesimi).
Fermo restando che lo stesso regolamento, sempre che non abbia natura contrattuale (intendendosi per tale quello recepito nei singoli atti di compravendita), non può menomare i diritti dei singoli derivanti dagli articoli richiamati nel penultimo comma dell'art. 1138 c.c. E su questo preciso punto la giurisprudenza è stata chiara nel momento in cui ha affermato che "le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il proprio immobile a determinate destinazioni, hanno natura contrattuale e, pertanto, ad esse, deve corrispondere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che consiste in una "relatio perfecta" attuata mediante la riproduzione delle suddette clausole all'interno dell'atto di acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente, per contro, il mero rinvio al regolamento stesso" (Cass. 9 agosto 2022, n. 24526)
A questo punto occorre vedere quale sia la relazione che intercorre tra una clausola arbitrale, come quella cui si fa riferimento nella sentenza in esame, ed il regolamento di condominio.
Natura della clausola arbitrale, contenuto e sua applicabilità
La finalità della "clausola arbitrale", inserita in un regolamento condominiale, è quella di evitare ai condomini di intraprendere defatiganti controversie giudiziarie per dirimere liti condominiali che potrebbero, in presenza di tale precetto, trovare una soluzione immediata con indiscutibili vantaggi per le parti interessate al conflitto, oltre ad evitare un appesantimento del carico giudiziario.
In primo luogo, assume rilevanza la modalità con la quale è stata formulata la clausola in questione. Infatti, se questa sia stata posta in termini di una potenziale devoluzione della cognizione delle controversie condominiali ad un collegio arbitrale, la clausola deve essere interpretata nel senso che le parti non sono obbligate a ricorrere all'arbitrato, ma sono libere di valersi di tale mezzo di tutela prima di adire l'autorità giudiziaria. In caso di dubbio nell'interpretazione della stessa, secondo la giurisprudenza (Trib.
Milano 6 aprile 1992) si deve privilegiare quella che fa salva la libertà delle parti di ricorrere al giudice, non potendosi presumere, se non in presenza di espressioni inequivocabili, una rinuncia alla normale tutela giurisdizionale.
Altra osservazione concerne l'eventuale vessatorietà della clausola arbitrale nel contesto condominiale, con particolare riferimento al regolamento di condominio nel quale essa è contenuta. Ad avviso della giurisprudenza tale clausola non soggiace al regime di cui all'art. 1341, co. 2, c.c. non essendo necessaria per essa una specifica approvazione della parte contrattuale (nella specie: il condomino), dal momento che "il regolamento convenzionale di condominio - anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio condominiale - fa corpo con esso, purché espressamente richiamato ed approvato, di modo che le sue clausole rientrano, almeno "per relationem", nel contenuto dei singoli contratti di acquisto.
E trattandosi, in questo caso, di "relatio perfecta", in quanto il richiamo è opera di entrambi i contraenti, le singole clausole del regolamento di condominio restano fuori dalla previsione del secondo comma dell'art. 1341 c.c., che, nel sancire la necessità della specifica approvazione per iscritto di condizioni vessatorie, ha riguardo alle sole clausole, di contratti per adesione o analoghi, che risultino predisposte da una soltanto delle parti contraenti" (Cass. 14 gennaio 1993, n. 395)
La non vessatorietà della clausola, infine, non rimuove la sua natura contrattuale, per cui una sua eventuale eliminazione, ovvero una sua modifica nel senso di ampliarne o restringerne il contenuto, richiede sempre il consenso unanime dei condomini.
Tali rilievi sono utili per valutare la decisione in esame con la quale, il Tribunale di Torino, preso atto che la clausola in questione si riferiva a qualsivoglia controversia insorta tra i condomini in merito allo stabile od al regolamento condominiale dovesse "inappellabilmente" essere deferita ad un arbitro nella veste di compositore amichevole della lite (nella specie, quindi, arbitrato irrituale) ha correttamente accolto l'eccezione svolta dal condominio di incompetenza del giudice a conoscere della controversia in atto.
Va da ultimo osservato che per effetto dell'introduzione dell'art. 808 quater c.p.c. (aggiunto dal D.Lgs n. 40/2006) la clausola compromissoria formulata negli stessi termini risultanti dal caso in esame consente un'interpretazione estensiva e non restrittiva della stessa, perché nel caso di dubbio interpretativo la convenzione degli arbitri si estende, per quanto di specifico interesse, all'intero rapporto al quale la clausola si riferisce.