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Chiudere l'unica rampa di accesso ai garage del caseggiato rivendicandone la proprietà esclusiva comporta rilevanti conseguenze

Comportamenti illeciti possono configurarsi come reati, con pesanti conseguenze legali per i condomini coinvolti.
Giuseppe Bordolli Responsabile scientifico Condominioweb 
Gen 10, 2025

Non è infrequente che i condomini, convinti di esercitare un proprio diritto, adottino comportamenti che, in realtà, possono configurarsi addirittura come reati, con conseguenti gravi conseguenze. Un esempio evidente di tali situazioni è rinvenibile nella sentenza del Tribunale di Avezzano n. 444 del 9 novembre 2024.

Contesa tra condomini per l'accesso alla rampa di garage e conseguenze legali

I comproprietari di un appartamento, convinti di essere titolari di una rampa di accesso al locale box, dopo l'esito negativo del procedimento di mediazione, citavano in giudizi altri condomini che transitavano sulla predetta rampa, asserendo di essere titolari di una servitù di passaggio.

Gli attori deducevano che i convenuti avevano realizzato due cunette in cemento nella parte superiore della rampa, in prossimità della via pubblica, pregiudicando il transito di motocicli. Infine allegavano l'illegittima occupazione da parte di vano comune.

In considerazione di quanto sopra, domandavano l'accertamento dell'inesistenza di servitù di passaggio sulla rampa in questione con ordine di cessazione di turbative e la condanna degli altri condomini alla rimozione delle due cunette in cemento ed alla liberazione del vano comune, nonché al risarcimento del danno.

I convenuti notavano come l'accesso ai garages fosse praticato per mezzo dell'unica rampa di accesso esistente, da sempre utilizzata sin dall'acquisto, da considerarsi bene comune; in ogni caso mettevano in rilievo lo spoglio subito a seguito dell'apposizione da parte degli attori di un lucchetto al cancello di accesso alla rampa, comportamento cessato dopo un'azione di reintegrazione, accolta dal Tribunale con ordinanza di reintegrazione nel possesso (pronuncia non seguita né da reclamo né da introduzione di giudizio di merito possessorio).

I convenuti, poi, proprio in ragione del sofferto spoglio da 13.12.2018 al 27.1. 2019, condotta anche penalmente illecita (violenza privata), domandavano il risarcimento del danno non patrimoniale.

Il Tribunale ha dato torto agli attori. Infatti, dall'esame degli atti di acquisto, nel loro susseguirsi nel tempo, gli attori non sono risultati proprietari esclusivi della rampa di accesso, la quale, essendo unica, è funzionalmente e strutturalmente destinata all'uso comune da parte di tutti i proprietari dei garage, compresi i convenuti.

Di conseguenza il giudicante ha preso in considerazione lo spoglio violento subito dai convenuti, che non hanno potuto fruire dei garage, secondo loro destinazione, essendo stata impedita l'apertura del cancello carrabile posto a monte della rampa.

Secondo il Tribunale, tale condotta, oltre a costituire un illecito civile, configura anche un illecito penale, essendo stato accertato il perfezionamento del reato di cui all'art. 610 c.p. (violenza privata).

A fronte di detto reato, ad avviso dello stesso giudice, i convenuti ex. art. 185 c.p. hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza, derivante dal disagio di non potuto fruire dei box proprio nel periodo invernale in cui la loro utilità è maggiormente apprezzata.

Il giudicante ha liquidato tale danno, per sua natura difficilmente quantificabile, in via equitativa, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c. Infine il giudice ha ritenuto lecite che le modestissime opere dei convenuti (due cunette in cemento) intese ad assicurare la piena fruizione della rampa risultata condominiale, tutelando altresì il bene comune e le proprietà esclusive dal rischio di allagamento.

La rampa di accesso ai box non è un parcheggio

Risarcimento del danno non patrimoniale per violenza privata nel contesto condominiale

Il danno non patrimoniale - che è quello che il soggetto patisce a seguito della violazione di un valore della personalità umana - deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge (art.2059 c.c.). Cosi il danno non patrimoniale è risarcibile, ad esempio, quando derivi da un fatto illecito integrante gli estremi di un reato.

A tale proposito si ricorda che secondo l'articolo 185 c.p. "ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui". Nella vicenda esaminata l'apposizione di un lucchetto al cancello di accesso alla rampa ad opera degli attori costituisce certamente violenza, delitto punito dall'art. 610 c.p. (Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni; la pena è aumentata se concorrono le condizioni previste dall'articolo 339). Tale reato è identificato - con formula piuttosto ampia - con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l'offeso il quale sia, in ragione di ciò, costretto a fare, tollerare od omettere qualcosa contro la propria volontà.

Ai fini della configurabilità del reato, il requisito della violenza si concretizza in qualsiasi mezzo che privi coattivamente la vittima della libertà di azione e di determinazione.

Così, la Cassazione, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha stabilito che integra il reato di violenza privata anche il comportamento di chi parcheggia la propria auto in modo da bloccare l'accesso, non solo nei cortili, ma anche ai garage, rifiutandosi di spostarla (Cass. pen., sez. V, 19/12/2019, n. 51236).

Per la configurazione del delitto di violenza privata è sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa senza che sia necessario il concorso di un fine particolare.

Ne consegue che, anche nel caso in cui si tentasse di giustificare il comportamento del condomino in base a motivi particolari, ciò non escluderebbe la configurazione del dolo generico richiesto dalla norma sulla violenza privata.

Infatti, la consapevolezza e la volontà di costringere altri a tollerare una situazione rimangono rilevanti, in quanto il movente non incide sull'elemento soggettivo del reato di violenza privata. Non occorre, quindi, che la violenza si esprima mediante spiegamento di forza fisica, né tantomeno mediante contatto fisico tra autore del reato e persona offesa.

In ogni caso se il posteggiatore abusivo rende difficoltoso ma non impossibile l'accesso sempre parcheggiando illecitamente l'auto non ricorre il reato di violenza privata (Cass. pen., sez. V, 17/01/2018, n. 1912).

Sentenza
Scarica Trib. Avezzano 9 novembre 2024 n. 444
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