Le spese correnti di gestione si susseguono a ritmo incessante, ma non sempre le relative rate sono riscosse puntualmente, anzi. La "morosità", quindi, è di fatto un serissimo problema di amministrazione e lo strumento del recupero giudiziale, seppure previsto (art. 63, 1° comma, disp. att. c.c.), non sempre si rivela una strada agevole.
Una delle soluzioni alternative che viene ultimamente proposta all'amministratore è quella della cessione del credito. Ai sensi dell'art. 1260 c.c., "il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge…".
Nella prassi accade che una società di recupero crediti, esaminata la pratica e valutato il valore di realizzo, proponga al cedente un prezzo di acquisto "X", che è sempre inferiore al valore nominale del credito (ad esempio, viene offerto un prezzo di € 6.000,00 per l'acquisto di un credito di € 7.000,00).
La cessione è pro soluto (nel senso che il cessionario si assume il rischio dell'insolvenza del condomino moroso "acquistato": art. 1267 c.c.). Quindi, a fronte della rinuncia definitiva a una parte del controvalore monetario del proprio credito, il Condominio potrà però giovarsi del celere realizzo della restante parte.
Ciò detto, è da chiedersi: come può il Condominio cedere concretamente il suo credito a terzi? Ovviamente bisognerà prima passare per una decisione dei condomini che autorizzino l'amministratore p.t. alla sottoscrizione del contratto.
I pochi autori che hanno affrontato nello specifico l'argomento, sostengono che la delibera debba essere assunta a maggioranza assoluta (50+1) degli intervenuti, che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio condominiale (i 500 millesimi).
Ciò si dedurrebbe da quanto sostenuto dalla giurisprudenza per le ipotesi di transazione (art. 1965 c.c.), alla cui fattispecie sarebbe assimilabile la cessione del credito condominiale (Cass. n. 1234/2016; Cass. n. 821/2014; Cass. n. 4258/2006 ).
In verità, si ritiene di dover dissentire da una tale ricostruzione, che appare troppo frettolosa e non curante delle implicazioni che si ricavano da altre pronunce giurisprudenziali. Le sentenze portate come esempio, inoltre (cfr. Cass. n. 123472016), esaminano casi, del tutto diversi, di transazioni avvenute tra un terzo cessionario e il debitore ceduto Condominio, per un titolo di credito di un fornitore dello stesso Condominio.
Nel nostro esempio, invece, è il Condominio a essere il creditore cedente. E' fondamentale comprendere come ogni credito a titolo di oneri condominiali "nasconda" un sottostante rapporto di debito tra il Condominio stesso e un proprio fornitore (di gas, di manutenzione ascensori, ecc.). Ciò vuol dire che gli oneri che il Condominio vanta verso i propri condomini "servono" per estinguere le concorrenti e sottostanti obbligazioni verso i suddetti fornitori. Il fatto che il Condomino, nel nostro esempio, stia accettando di incassare, seppur rapidamente e in unica soluzione, una somma inferiore rispetto al suo reale controvalore (€ 6000,00 invece che € 7.000,00), sta a significare che tale parte stralciata (di € 1.000,00) andrà proporzionalmente a gravare (come maggior spesa) su tutti i condomini, ivi compresi i condomini in regola con i pagamenti.
Il credito del fornitore verso il Condominio, alla base del credito di questi verso il moroso, infatti, rimane intatto e perfettamente esigibile nella sua interezza (verso il Condominio). La parte stralciata non sarà mai più recuperabile dal Condominio e, nella sostanza, se la dovranno accollare gli altri condomini virtuosi.
Così ricostruita la fattispecie, si ritiene che una tale deliberazione non possa che avvenire con il consenso espresso di tutti i soggetti accollanti. In più occasioni, infatti, la giurisprudenza ha sancito la nullità della delibera di costituzione di un fondo a copertura dei debiti dei condomini morosi (cfr., da ultimo, Cass. n. 213/19).
Tale pronunciamento, a sua volta è il corollario del principio di proporzionalità di cui all'art. 1123 c.c..
Nessun condomino, infatti, senza il suo esplicito consenso, può essere obbligato dalla maggioranza a sopportare una spesa che non sia proporzionale al valore della sua proprietà in Condominio (cfr., per tutte, Cass. n. 13631/2001).
Ebbene, tale costrizione sicuramente avverrebbe se, nel nostro esempio, la delibera assunta a maggioranza fosse vincolante anche per i dissenzienti (o per gli assenti e gli astenuti).
Pertanto, ad avviso di chi scrive, la decisione assembleare non espressa all'unanimità degli accollanti (quindi, di tutti i condomini, tranne il moroso ceduto ) sarebbe viziata da nullità insanabile, come tale impugnabile da chiunque vi abbia interesse e senza limiti di tempo.
Ciò comporterebbe, inoltre, gravissimi problemi per il contratto di cessione del credito già sottoscritto, il quale potrebbe essere a sua volta invalidato (con i conseguenti profili di responsabilità del Condomino per i danni eventualmente provocati al terzo cedente di buona fede).
In conclusione, appare quanto mai pericoloso sostenere che la deliberazione di cessione del credito condominiale possa essere semplicemente assunta a maggioranza.
In un prossimo articolo analizzeremo le possibili soluzioni operative per "salvare" la nostra cessione.