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Centro estetico in condominio? La clausola che consente solo attività “civili e oneste” non vale ad escluderlo

La clausola che limita l'uso degli appartamenti a "civile e onesta" attività non può escludere l'apertura di un centro estetico, a meno che non sia specificamente trascritta e accettata.
Avv. Giuseppe Nuzzo 
2 Lug, 2019

Il fatto. Il Condominio agiva in giudizio per ottenere la chiusura di un centro estetico esercitato all'interno di un appartamento sito nell'edificio condominiale, deducendo la violazione dell'art. 2 del regolamento condominiale.

Il citato articolo del regolamento prevede, infatti, che «Gli appartamenti dei Condomini devono essere esclusivamente destinati ad uso abitazione o di studio professionale, compresa in quest'ultima destinazione anche quella per uffici di attività industriale o commerciale.

È fatto divieto di adibire i locali a laboratorio, scuola di canto, musica o ballo, clinica medica ed in genere a qualsiasi uso incompatibile con la tranquillità dell'edificio». Il Condominio ritiene violato anche l'atto costitutivo del condominio, risalente al 1953, che prevede che «la destinazione del caseggiato è quella di civile ed onesta abitazione e di studi».

Si oppongono alla domanda sia il proprietario dell'immobile, sia il conduttore dello stesso, che gestisce il centro estetico: il primo sostiene che il centro estetico non rientra nel divieto contenuto nel regolamento; il secondo ritiene che inoltre che il regolamento non è applicabile nei suoi confronti.

Il Tribunale di Milano, sentenza n. 1345 dell'8 febbraio 2019, ha rigettato la domanda del condominio.

Interpretazione. Come è noto, il regolamento condominiale di natura contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare.

In quest'ultimo caso, per evitare ogni equivoco in una materia atta ad incidere sulla proprietà dei singoli condomini, i divieti e i limiti devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire e debbono essere incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze (Cass. civ.20/10/2016, n.21307).

Divieto troppo generico. Applicando tali principi, nel caso in esame il Tribunale ha escluso che il centro estetico possa essere ricondotto nell'ambito delle attività vietate, in quanto le espressioni contenute nel regolamento condominiale:

  • Da una parte, sono del tutto generiche ed equivoche giacché il richiamo alla destinazione "civile ed onesta" di cui all'atto del 1953 nonché all'uso incompatibile "con la tranquillità dell'edificio" di cui all'art. 2 del regolamento non consentono di apprezzare se la compressione di facoltà normalmente inerenti le proprietà esclusive dei singoli condomini corrisponda ad un interesse meritevole di tutela.
  • Dall'altra, non escludono l'esercizio dell'attività di centro estetico ove si tenga conto in senso positivo, che può ritenersi tale attività ricomprese in quella indicata come "commerciale" posta la non coincidenza fra la nozione di impresa commerciale civilistica e quella fiscale

Inopponibilità. Ma ancor prima della controversa interpretazione del regolamento in esame, il Tribunale rileva in ogni caso la non opponibilità dello stesso per omessa specifica trascrizione.

Sul punto, la giurisprudenza prevalente inquadra i divieti contenuti nei regolamenti condominiali come vere e proprie servitù sulle singole proprietà. Affinché producano effetti nei confronti dei singoli proprietaria e dei nuovi acquirenti, è sufficiente che tali clausole siano richiamate, con adesione, nell'atto di acquisto o che, comunque, il regolamento sia stato oggetto di approvazione da parte dell'acquirente/proprietario.

In questo caso, il vincolo scaturisce dalla accettazione delle disposizioni che limitano i diritti dominicali dei singoli.

È questa, di solito, l'ipotesi più ricorrente nella prassi.

Trascrizione. Solo in assenza di adesione o approvazione, ai fini della opponibilità delle clausole limitative sarà necessario procedere alla trascrizione: «affinché possano essere utilmente opposte le clausole limitative ai nuovi titolari del bene, occorre indicare le stesse in un'apposita nota distinta da quella dell'atto di acquisto ai sensi degli artt. 2659, comma 1, e 2665 del codice civile», non essendo sufficiente la trascrizione dell'intero regolamento (Cass. civ. n. 21307/2016).

Come si modificano le clausole del regolamento condominiale contrattuale?

La decisione. Nel caso in esame, dal preliminare e dall'atto di acquisto non risulta che l'articolo 2 del regolamento sia stato specificatamente trascritto, né vi è in atti prova che il proprietario abbia espressamente dichiarato di essere a conoscenza della detta clausola regolamentare e di accettarla.

Ne consegue che il regolamento de quo non è opponibile al proprietario e, di conseguenza, nemmeno al suo conduttore. Quindi la domanda va rigettata.

Il principio espresso nella sentenza del Tribunale di Milano n. 1345 dell'8 febbraio 2019. Le limitazioni all'uso delle proprietà esclusive previste da una clausola del regolamento condominiale non sono opponibile al condomino acquirente e al suo conduttore in mancanza di accettazione nell'atto di acquisto o di trascrizione o di espressa accettazione.

Una clausola generica ed equivoca che legittimi solo una destinazione "civile e onesta" compatibile con "la tranquillità dell'edificio", per la sua genericità non impedisce l'apertura di un centro estetico nel condominio.

Quando i negozi all'interno dell'edificio condominiale minano la tranquillità condominiale?

Sentenza inedita
Scarica Tribunale di Milano n. 1345 dell'8 febbraio 2019
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