Non è la prima pronuncia in tal senso, la sentenza n. 1788 del 16 dicembre 2021 emessa dal Tribunale di Busto Arsizio, in quanto avevamo già letto la pronuncia del 2020 del Tribunale di Roma che raggiungeva le medesime conclusioni.
Il cappotto termico che, nella sua realizzazione concreta, si appropria di parte del terrazzo o balcone di proprietà del condòmino, non è legittimo, perché consiste in un esproprio di detta proprietà a favore del Condominio.
Questa la letterale traduzione del senso della pronuncia che commenteremo.
Laddove le pronunce in tal senso inizino a diffondersi e moltiplicarsi, in assenza di interpretazioni differenti provenienti dai giudici di legittimità, dovremo imparare e capire se ed in quali casi il cappotto sia fattibile o meno, tentando per ora di correre ai ripari rispetto a quanto già realizzato.
Infatti, al di là del nuovo c.d. Superbonus 110%, dove la realizzazione del cappotto termico costituisce un elemento portante - anzi, trainante - del raggiungimento dell'efficienza energetica, vi sono molti edifici dove, ben prima ed al di là degli incentivi fiscali previsti, fu realizzato detto manufatto, ma anch'essi non sfuggono al sindacato del Giudice che, come vedremo è accaduto nel caso di Busto Arsizio, demolendo la delibera di esecuzione dei lavori, potrebbe imporre la rimozione del cappotto (almeno in parte qua).
Delibera condominiale sul cappotto termico: la contestazione
Una condòmina impugna la delibera del 18 dicembre 2018 (quindi in epoca pre - Superbonus), adottata dal suo Condominio, sito in Legnano; la delibera, secondo la condòmina è nulla e/o annullabile per svariati motivi, dei quali, qui, ci interessa particolarmente quello relativo all'incidenza della realizzazione del c.d. cappotto termico.
Ed infatti, il Condominio in questione aveva deliberato l'esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione con la delibera del 23 luglio 2018, che apprendiamo essere stata impugnata separatamente dalla medesima condòmina ed essere stata sostanzialmente ratificata dalla delibera del 18 dicembre 2018 (di qui, l'odierna impugnativa); tra i lavori era appunto inclusa la realizzazione del cappotto termico, da apporre alla facciata esterna condominiale.
Per la realizzazione di detto cappotto, il Capitolato approvato dal Condominio prevedeva la riduzione della superficie calpestabile del terrazzo di proprietà della condòmina attrice, per l'esattezza per uno spessore di 5 cm - mentre, sulla facciata esterna, lo spessore era di 12 cm.
Secondo il CTP (consulente tecnico di parte) della condòmina, «se da progetto del termotecnico lo spessore inferiore è sufficiente a far rientrare il fabbricato nei parametri di risparmio energetico alla base di tutto l'intervento allora non si giustifica l'utilizzo di uno spessore maggiore sul fronte strada con una notevole riduzione delle superfici calpestabili dei terrazzi e conseguente deprezzamento economico»
Il Tribunale, richiamando la precedente pronuncia romana (Trib. Roma, 16 dicembre 2020, n. 17997), dichiara la nullità della delibera del 18 dicembre 2018 laddove ratifica quella del 23 luglio 2018, per avere l'Assemblea esorbitato dai suoi poteri, disponendo della proprietà privata del singolo condòmino.
Quindi, il fatto che tecnicamente inserire un cappotto sulle facciate condominiali comporti inevitabilmente l'erosione della superficie esterna e di tutto quello che sulla medesima insiste - inclusi i balconi ed i terrazzi privati - costituisce giuridicamente una lesione del diritto di proprietà esclusiva, perché, di fatto, il Condominio si appropria di elementi privati, inglobandoli nella facciata o nelle superfici esterne dell'edificio.
Attenzione, perché, trattandosi di nullità, questo tipo di delibera potrà essere impugnata anche da coloro che avessero votato a favore della realizzazione del cappotto termico ed a prescindere dal tempo passato dall'adozione della delibera e/o dalla realizzazione del cappotto.
Cappotto termico e violazione del diritto di proprietà
Da quanto possiamo leggere delle difese della condòmina che ha impugnato la delibera del Condominio lombardo, la stessa si è concentrata maggiormente sulla diminuzione del valore venale o di mercato del proprio appartamento, a cagione della diminuzione della superficie calpestabile del terrazzo - così anche il suo CTP, come detto sopra.
Tuttavia, il Giudice ha rilevato una ben maggiore questione, attinente alla violazione del diritto di proprietà da parte dell'Assemblea a danno del singolo condòmino.
Insomma, abbiamo dinnanzi a noi un classico caso di delibera nulla per aver l'Assemblea esorbitato dalla sua sfera di competenza (quella delineata dall'art. 1135 c.c.).
Laddove non sussistano balconi o proprietà private intaccate dal cappotto, nessun problema.
È quindi evidente che lo stesso strumento potrà trovare applicazione senza alcun problema solamente in determinati casi, mentre in altri l'insegnamento del Tribunale di Busto Arsizio e di Roma troverà applicazione, non rendendo di fatto possibile la realizzazione del cappotto.
Per questo motivo, riteniamo sarebbe inutile 'prendersela' con il Legislatore, il quale ben potrebbe farci notare che il cappotto termico non è previsto come intervento obbligatorio dalle normative in materia di incentivi fiscali all'edilizia, ma è unicamente inserito tra gli strumenti a disposizione del singolo edificio, ove spetta poi al proprietario dell'edificio o, nel nostro caso, all'Assemblea dei condòmini, deliberare con discernimento.
Come evidenzia anche il magistrato del caso appena esaminato, il Condominio era ben consapevole (o avrebbe dovuto esserlo) che avrebbe violato la legge, dato che aveva approvato il Capitolato ove era previsto il cappotto da realizzare con inclusione dei 5 cm di terrazzo della condòmina attrice e dato che detta inclusione, lungi dall'essere pedissequamente prevista nella legislazione applicabile, era nulla per violazione del diritto di proprietà.
In realtà, la soluzione giuridica esiste e consiste nell'acquisire il consenso dei proprietari delle superfici da inglobare via cappotto, ma temiamo, dobbiamo essere franchi su questo, che la cifra antropologica del nostro Bel Paese, che non ama il sacrificio del singolo a favore del benessere collettivo, non la favorirà.
Acquisito il consenso del proprietario, non si tratterebbe di uno spoglio della proprietà esclusiva a favore di quella comune, bensì di una volontaria cessione da parte del titolare.
Magari con un impegno, laddove in futuro venisse rimosso il cappotto, al ripristino di quanto 'eroso'.
Ma la soluzione giuridica - ammesso che basti il consenso espresso in un semplice verbale di assemblea condominiale, dato che sappiamo che i diritti reali (tra i quali la proprietà) si costituiscono, regolano e cedono tramite atto pubblico - potrebbe cedere dinnanzi alle carenze tecniche: cosa accade se, ad esempio, dei 14 proprietari di balconi di un ipotetico Condominio, solamente 7 mi danno il consenso a cedere parte dei balconi al cappotto? Sarà realizzabile un cappotto 'a macchia di leopardo'? Non siamo tecnici, ma ci sembra che lo scopo di efficienza energetica verrebbe in tal modo, se non grandemente frustrato, sostanzialmente eluso.
Qualcuno potrebbe anche affermare che non si tratti di cessione della proprietà, bensì di una costituzione di servitù: la superficie privata (quella del balcone privato erosa dal cappotto) andrebbe a costituire fondo servente rispetto alla superficie comune (fondo dominante) nella quale verrebbe inglobata.
A tal proposito, sebbene venga immediatamente in mente il brocardo latino neminem res sua servit, che ci spiega che non possiamo costituire una servitù su A a favore di B se A e B sono entrambe di nostra proprietà, v'è da rilevare che se il fondo dominante è in comproprietà con altri, mentre quello servente è di proprietà esclusiva di uno solo di coloro che possiedono il dominante, allora è possibile ravvisare una servitù parziaria, laddove il comproprietario del fondo dominante e proprietario esclusivo del fondo servente sia costretto a sopportare, sul proprio fondo, una servitù che va a beneficio maggiore degli altri comproprietari del fondo dominante.
In parole povere, tradotto nella materia che qui ci occupa, il condòmino, comproprietario della facciata che viene coibentata grazie al cappotto termico, dovendo cedere parte del balcone o del terrazzo, subisce, sulla sua proprietà privata, una diminuzione, mentre il beneficio che ne trae è inferiore rispetto a quello che si realizza verso gli altri condòmini comproprietari della facciata, pertanto, la servitù è ammissibile.
Ovviamente, anche la servitù, nel caso che ci occupa, dovrà essere costituita con il consenso del proprietario della porzione da inglobare.
Per coloro che invece hanno realizzato interamente un cappotto termico ed hanno inglobato, così facendo, la proprietà di alcuni condòmini, si pone un ulteriore dilemma: laddove sia trascorso il tempo di legge (20 anni) sarebbe possibile ipotizzare che il Condominio (cioè, tutti i condòmini tranne quelli la cui proprietà è stata inglobata) abbia usucapito le porzioni di proprietà privata incorporate al cappotto?
Come sarà in grado di comprendere il nostro lettore, si tratta di un terreno inesplorato sinora e di scenari possibili che si aprono dinnanzi all'interprete del prossimo futuro.
Altro problema: se, a lavori realizzati e bonus concesso, la dichiarazione di nullità della delibera condominiale che approvò i lavori, incluso il cappotto (laddove questo intacchi la proprietà privata) travolga le opere eseguite ed anche i benefici fiscali, con revoca degli stessi e ripresa a tassazione dell'intero intervento.
Repetita iuvant: la ratifica dell'Assemblea
Tra le doglianze della condòmina che ha avviato il giudizio, figurava anche quella relativa alla nullità o annullabilità della delibera del 6 novembre 2018, altra decisione ratificata dalla delibera del 18 dicembre 2018, oggetto dell'odierno giudizio, in quanto la stessa avrebbe autorizzato l'Amministratore a sottoscrivere un contratto di appalto affetto da nullità per indeterminatezza dell'oggetto e del corrispettivo.
Secondo la condòmina attrice, il corrispettivo non era determinato o determinabile perché faceva riferimento ad una serie di variabili non predeterminate, a loro volta, nonché lasciate alla discrezionalità, così da potersi ricadere facilmente nell'eccesso di potere dell'Assemblea.
Premettendo la considerazione per cui l'eccesso di potere viene integrato quando l'Assemblea adotta una decisione che non sposa l'interesse condominiale, bensì quello della sola maggioranza votante favorevolmente oppure di alcuni condòmini solamente o anche di un terzo, il Tribunale ha rigettato questa tesi.
Infatti, rifacendosi a giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità, il Tribunale ha rammento che «la delibera assembleare in ordine alla manutenzione straordinaria deve determinare l'oggetto del contratto di appalto da stipulare con l'impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell'opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa. Sono, peraltro, ammissibili successive integrazioni della delibera di approvazione dei lavori, pure inizialmente indeterminata, sulla base di accertamenti tecnici da compiersi.
In ogni caso, l'autorizzazione assembleare di un'opera può reputarsi comprensiva di ogni altro lavoro intrinsecamente connesso nel preventivo approvato (arg. da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 5889 del 20/04/2001)».
Non solo, il Tribunale sottolinea che «L'assemblea può, infatti ratificare le spese straordinarie erogate dall'amministratore senza preventiva autorizzazione, anche se prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, e, di conseguenza, approvarle, surrogando in tal modo la mancanza di una preventiva di delibera di esecuzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18192 del 10/08/2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2864 del 07/02/2008)" (Cass. sez. II, 21/02/2017, n. 4430, cit.)», perché il mandante può sempre ratificare l'operato del proprio mandatario che abbia esorbitato dai limiti del potere conferitogli.
Nel caso di specie, poi, non era nemmeno ravvisabile una cotale situazione, in quanto il contratto di appalto chiariva il prezzo esatto per le opere di isolamento e per le altre separate opere di sostituzione caldaie, mentre un apposito articolo prevedeva che, trattandosi di appalto per lavori sia a corpo che a misura, l'importo finale dei lavori sarebbe stato desunto dalla contabilità finale dei lavori, in funzione delle reali quantità eseguite e di eventuali ulteriori opere necessarie o richieste dal committente, precisando che tutti i lavori extra contratto avrebbero dovuto essere autorizzati per iscritto dal committente o dal tecnico di fiducia.
Dal canto suo, l'Assemblea del 6 novembre 2018 aveva approvato i lavori extra contratto per un importo di € 10.000,00, rispetto all'importo totale dell'appalto sottoscritto, pari ad € 400.000,00, così agendo pienamente nell'ambito dei propri poteri.