Il fatto. Una condomina cadeva a terra mentre percorreva l'androne condominiale, riportando la frattura della caviglia sinistra.
Secondo l'attrice, la caduta sarebbe stata causata dalla risulta di materiali presenti sulla pavimentazione dell'androne condominiale, orinati dall'esecuzione di lavori edili che si stavano svolgendo nel Condominio.
Per tali motivi, la condomina citava in giudizio il Condominio e la compagnia assicurativa di quest'ultimo per ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Danni provocati da cose inerti. La questione posta all'attenzione del Tribunale di Roma ripropone il tormentato tema dei danni derivati direttamente o indirettamente da cose inerti (come, ad esempio, nel caso di cadute, scivolate od inciampi su pavimenti bagnati od irregolari, scale, rampe, moquette con lembi sollevati, urti contro vetrate non visibili e, più in generale, tutte le ipotesi di lesività personali derivanti dall'uso delle altrui proprietà immobiliari, siano esse pubbliche o private).
Quale criterio d'imputazione si applica? In tutti questi casi, è controverso se il danno possa ritenersi arrecato "dalla cosa" e, quindi, se ad essi sia applicabile l'art. 2051 c.c. in tema di danni da cose in custodia, oppure lo schema generale della responsabilità aquiliana previsto dall'art. 2043 c.c.
La scelta tra le due norme assume grande rilievo in sede processuale. Si si opta per l'art. 2051 c.c., l'onere probatorio del danneggiato risulterà più semplice, in quanto questi dovrà solo dimostrare il nesso di causalità tra la cosa e l'evento dannoso.
Applicando l'art. 2043 c.c., invece, graverà sul danneggiato dimostrare tutti gli elementi dell'illecito aquiliano, compreso il dolo o la colpa del presunto responsabile.
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