Il condominio Alfa concede in comodato delle parti comuni al sig. Tizio. Al termine del comodato ne pretende la restituzione. Tizio tergiversa e le mantiene nella sua disponibilità.
A quel punto l’amministratore della compagine inizia una co ntroversia giudiziaria al fine di ottenere la restituzione dei beni immobili ed il risarcimento del danno per la protratta, ingiusta, detenzi one dei medesimi.
Il contenzioso, tra le altre cose, ruota attorno alla legittimazione dell’amministratore a stare in giudizio.
Secondo il comodatario, infatti, i beni non sono condominiali e soprattutto l’amministratore stava in giudizio senza l’autorizzazione dell’assemblea. Come dire: quella causa non s’aveva da fare.
In primo grado il convenuto la spuntava: il mandatario della compagine, secondo il Tribunale, non aveva l’autorizzazione a stare in giudizio. La domanda veniva rigettata.
Dopo di che l’amministratore proponeva appello: il giudice del gravame ribaltava la decisione e condannava Tizio alla restituzione dei beni e ad un salato risarcimento del danno.
A quel punto il comodatario non ci stava (con circa 150 mila di risarcimento da pagare, chi si sarebbe arreso?) e proponeva ricorso per Cassazione.
Tra le doglianze principali v’era sempre quella di natura processuale: l’amministratore non aveva potere per stare in giudizio senza l’autorizzazione assembleare.
In pratica secondo il ricorrente l’azione della restituzione dei beni (di cui egli contestava anche la condominialità) non rientrava nel novero di quegli atti conservativi indicati dall’art. 1130 c.c., rispetto ai quali l’amministratore ha il potere di agire d’ufficio ai sensi dell’art. 1131, primo comma, c.c.
Il fatto appena raccontato è realmente accaduto ed ha portato alla sentenza n. 4988 del 28 marzo 2012 resa dalla Cassazione. La tesi dal comodatario è stata ritenuta fondata dai giudici di piazza Cavour.
In particolare si legge nella pronuncia che “ non v'è dubbio che in relazione all'oggetto della domanda proposta dal condominio, l'amministratore poteva agire in giudizio solo dopo la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale;e ciò anche alla luce della recente giurisprudenza di questa S.C.” (Cass. 28 marzo 2012 n. 4988).
La recente giurisprudenza è quella espressa dalle Sezioni Unite in materia di legittimazione a stare in giudizio dell’amministratore di condominio.
Nello specifico, secondo la massima espressione del giudice nomofilattico” l'amministratore,... non ha autonomi poteri, ma si limita ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio (art. 1130 c.c.).
Ne consegue che, anche in materia di azioni processuali il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente.
Un tale potere decisionale non può competere all'amministratore che, per sua natura, non è un organo decisionale ma meramente esecutivo del condominio" (Cass. Sez. US. entenza n. 18331 del 2010).
Fa sorridere che una sentenza resa soprattutto per risolvere il problema della legittimazione passiva dell’amministratore di condominio venga citata nel caso opposto per essere poi sistematicamente ignorata nelle prime ipotesi.