Il criterio attributivo della proprietà comune previsto dall'art. 1117 c.c. può essere superato soltanto mediante la prova certa che il bene non sia mai stato di proprietà comune, da fornire a cura del soggetto interessato mediante la produzione di un titolo anteriore all'insorgenza del condominio, ovvero che lo stesso sia stato acquistato per usucapione.
Perciò, quando si controverta della 'condominialità' o meno di uno spazio, alcun rilievo assume la circostanza che detto spazio, comunque condominiale in funzione della sua natura e destinazione di fatto, non sia stato indicato nel regolamento dell'ente di gestione, perché la presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell'art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l'onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d'acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, né l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino.
Così la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 30630 del 28 novembre 2024, con cui la Corte ha rigettato il ricorso.
Controversia sulla proprietà condominiale e usucapione di un terreno
Un Condominio conviene in giudizio il condomino Caio e la Alfa S.r.l., quale sua conduttrice, onde ottenere nei loro confronti l'accertamento della proprietà condominiale della striscia di terreno posta sul lato est del fabbricato e conseguente condanna dei convenuti in solido a rimuovere il manufatto realizzato su di essa ed al risarcimento del danno e dell'indennità di occupazione.
Caio e Alfa S.r.l. si costituiscono sostenendo la pertinenzialità della striscia di terreno all'immobile di proprietà di Caio e locato ad Alfa S.r.l., osservando come detto bene non sia incluso nel Regolamento condominiale e, in subordine, proponendo domanda di usucapione del medesimo, secondo loro maturata nel 1987, cioè nel termine di 10 anni dalla trascrizione dell'acquisto in capo a Caio oppure nel 1997, cioè nel termine di 20 anni dal medesimo acquisto, domandando altresì la chiamata in causa di tutti i condòmini e degli eredi del venditore, quali litisconsorti necessari, la cui chiamata era poi ammessa.
Il Tribunale accoglie la domanda del Condominio, rigetta la riconvenzionale di usucapione svolta da Caio e condanna costui e la Alfa S.r.l. a rimuovere il manufatto ed all'indennità di occupazione di Euro 200,00 mensili per ogni mese di occupazione abusiva, a partire dal 2005 a sino alla rimozione.
Anche la Corte d'Appello, cui erano ricorsi Caio e Alfa S.r.l., respinse le loro doglianze, sulla scorta del fatto che il bene conteso, in assenza di titoli contrari, ricade nella presunzione di condominialità di cui all'art. 1117 c.c., che non potesse invece essere pertinenza dell'immobile di Caio e che non fosse stato provato l'acquisto a titolo di usucapione.
Ricorrono allora Caio e Alfa S.r.l. per cassazione, ma la Corte dichiarando in parte infondate e in parte inammissibili le doglianze proposte, rigetta il ricorso.
I Giudici di legittimità partono dall'esame dei primi motivi di ricorso, rammentando come, "per affermare la condominialità di un bene occorre gradatamente verificare dapprima che la res, per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr. Cass. Sez. Unite, 7/07/1993, n. 7449 e, più recentemente, Cass. Sez. 2, 8/09/2021, n. 24189), e poi che non sussista un titolo contrario alla "presunzione" di condominialità, facendo riferimento esclusivo al primo atto di trasferimento di un'unità immobiliare dell'originario proprietario ad altro soggetto", mentre l'art. 1117 c.c., che contempla un elenco non tassativo di beni caratterizzati dalla loro attitudine oggettiva al godimento comune e dalla concreta destinazione degli stessi al servizio comune, opera ogniqualvolta, nel silenzio del titolo, il bene, per le sue caratteristiche, sia suscettibile di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi.
La presunzione di comproprietà non può essere vinta, pertanto, con qualsiasi prova contraria, ma soltanto alla stregua delle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del Condominio per effetto del frazionamento dell'edificio in più proprietà individuali (così anche Cass., n. 21440/2022).
È in seguito a detto frazionamento, per effetto della prima vendita del primo immobile del futuro Condominio, nonché alla sua trascrizione, comprensiva pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, anche delle parti comuni, che viene in essere l'opponibilità ai terzi dalla data dell'eseguita formalità.
Mentre, invece, il Condominio è dispensato dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica, spettando invece al condomino che rivendichi la proprietà esclusiva di uno dei beni di cui al suddetto elenco dare la prova delle sue asserzioni, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell'atto costitutivo del Condominio, ma di alienazione compiuta dall'iniziale unico proprietario che non si era riservato l'esclusiva titolarità del bene.
Il Regolamento di Condominio certamente può contenere disposizioni di c.d. carattere contrattuale, cioè che indichino un uso esclusivo di parte dell'edificio definita comune a favore di una frazione di proprietà esclusiva, dando luogo così ad un vincolo pertinenziale, che è tale perché posto in essere dall'originario unico proprietario, legittimato all'instaurazione e al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, 2° comma e 818 c.c. (così anche Cass. n. 20712/2017).
Orbene, nel caso di specie, la porzione immobiliare contesa è data da un'area scoperta costituente prosecuzione del suolo su cui insiste l'edificio, che si trova in corrispondenza col portico ed i locali terranei di proprietà di Caio, utilizzati per lo svolgimento di attività commerciale da parte di Alfa Srl, ed è astrattamente utilizzabile per raggiungere l'area condominiale, nei tratti nord e ovest, senza transitare sulla pubblica via, sì da poter essere inclusa nella presunzione di cui all'art. 1117 cod. civ.
Nell'analizzare e interpretare i titoli di acquisto, la Corte di Appello ha escluso che l'originario unico proprietario si fosse riservato la proprietà dell'area contesa, osservando come mancasse sia qualsiasi frazionamento di detta porzione sia la sua inclusione nella denuncia di successione a cura degli eredi, mentre, di contro, nessuno degli atti di acquisto delle parti, neppure quello di Caio, attribuiva la striscia di terreno in proprietà esclusiva, rimanendo la porzione collegata alla Particella catastale su cui sorgeva l'edificio condominiale l'estensione della quale Particella rimaneva invariata, fin dall'acquisto in capo all'originario costruttore, perché non interessata da frazionamenti o fusioni con altre particelle.
Peraltro, l'atto di acquisto di Caio indicava detta striscia contesa come confine, non come oggetto di contratto - come spesso, infatti, accade - mentre il regolamento, non disponendo diritti esclusivi in capo a Caio, bensì passando in rassegna l'elenco dei beni comuni così come acquistati dall'originario unico proprietario, fa propendere per l'inclusione della striscia tra i beni comuni in assenza di titolo contrario.
Circa la mancata prova della pertinenzialità della striscia all'immobile di Caio, peraltro già in nuce esclusa dall'assenza del valido titolo contrario per quanto spiegato sopra, la Corte sottolinea come, a norma dell'art. 817 c.c., l'esistenza del vincolo pertinenziale postuli un elemento oggettivo, consistente nella destinazione di un bene (cosa accessoria) al servizio o all'ornamento di un altro bene (cosa principale), ed un elemento soggettivo, costituito dalla rispondenza di tale destinazione all'effettiva volontà dell'avente diritto di creare il predetto vincolo di strumentalità e complementarietà funzionale.
Quando si tratti di accertare se l'uso esclusivo di un'area esterna al fabbricato condominiale, altrimenti idonea a soddisfare le esigenze di accesso all'edificio di tutti i condòmini, sia stato attribuito o meno ad uno o più tra essi condomini, è irrilevante addurre che l'area, per la conformazione dei luoghi, sia stata di fatto goduta più proficuamente e frequentemente dal condomino titolare della contigua unità adibita ad attività commerciale, perché occorre invece un titolo di fonte negoziale (incluso il Regolamento di origine contrattuale) posto in essere dall'originario unico proprietario, siccome legittimato all'instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, 2° comma e 818 c.c. idoneo a conferire al bene natura pertinenziale e la cui interpretazione presuppone un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito - e come tale escluso dal sindacato di legittimità.
Il Giudice del merito, ovvero la Corte d'Appello la cui sentenza è oggetto di esame da parte della Corte, si era attenuta a questi principi, rilevando come non fossero emersi atti costitutivi del vincolo né da parte dell'originario costruttore né da parte di Caio stesso, rimanendo, per quanto detto, irrilevante l'occupazione dello spazio conteso da parte del medesimo e dei suoi conduttori (Alfa S.r.l.).
Riflessioni sulla presunzione di condominialità e i titoli di proprietà
Sull'argomento oggetto della disamina a cura della pronuncia in commento sono state spese molte parole: vale forse la pena ancora richiamare quanto sottolineato da attenta dottrina e giurisprudenza, per quanto risalente, sul concetto di 'presunzione legale di condominialità' utilizzato dalla maggior parte degli autori e dei giudici per indicare il disposto dell'art. 1117 c.c.
E dunque, la dottrina citata e parte della giurisprudenza (si vedano il TERZAGO, ora Celeste - Salciarini - Terzago, che cita il CORONA e, ex multis, Cass. 7.07.1993, n. 7449 nonché 21.11.2014, n. 24861) si soffermano nell'osservare che l'art. 1117 c.c. non opera un'attribuzione ope legis del Condominio ai singoli proprietari, ma utilizza un meccanismo per relationem, ricollegando la titolarità del Condominio alla titolarità del diritto di proprietà sul piano, cosicché, in assenza del titolo, che disponga in modo diverso, la norma estende al Condominio l'efficacia degli atti traslativi concernenti la proprietà della porzione di piano.
Pertanto, la norma non sancisce una presunzione legale di comunione sulle cose elencate, bensì dispone che detti beni siano comuni, a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base al titolo, che può essere costituito anche dal regolamento o dal complesso degli atti di acquisto delle singole unità facenti parte del Condominio.
Peraltro, sottolinea la Corte nella pronuncia menzionata e nelle altre del medesimo tenore, quando il Codice civile ha voluto disporre una presunzione legale ne ha fatta espressa menzione, quale mezzo probatorio (v. artt. 880, 881 e 899 c.c.), ammettendo altresì la prova della proprietà esclusiva con qualsiasi mezzo, mentre qui viene espressamente richiesto il "titolo contrario".