Con l'azione revocatoria il creditore agisce, a protezione del proprio diritto, in via cautelare e conservativa. Lo scopo è quello di mantenere integra la garanzia generica rappresentata dal patrimonio del debitore, nell'occasione depauperato da un atto di disposizione (ad esempio una compravendita). Si tratta di una definizione che trova ampio riscontro nella giurisprudenza corrente (ex multis Cass. Civ., n. 1804 del 18.2.2000).
L'effetto prodotto dalla suddetta azione, se fondata ed accolta, è l'inefficacia dell'atto nei riguardi del creditore. Il bene ceduto dal debitore, infatti, non torna nel patrimonio del medesimo e l'atto di disposizione conserva la sua validità. Il cespite in questione, però, può essere aggredito dall'istante nella misura in cui sarà sufficiente a soddisfare il suo diritto.
Ha trattato il predetto argomento la recente sentenza del Tribunale di Piacenza n. 266 del 11 maggio 2023. Appare, pertanto, opportuno approfondire le circostanze di fatto da cui è scaturita la relativa vicenda giudiziaria.
Azione revocatoria e scientia damni dell'acquirente: può essere in re ipsa? Fatto e decisione
Nel maggio del 2017, due comproprietari decidevano di cedere il loro unico immobile e le relative pertinenze con tanto di rogito notarile e successiva trascrizione. A quanto pare, però, la banca creditrice degli alienanti non era, minimamente, d'accordo con la descritta operazione.
Secondo l'istituto, infatti, i due erano debitori del medesimo per circa 20.000 euro, in ragione di un saldo negativo di un preesistente rapporto di conto corrente e delle pedisseque fideiussioni che garantivano il debito. La banca, perciò, agiva in revocatoria nei riguardi della predetta cessione, citando in giudizio i venditori e l'acquirente dinanzi al competente Tribunale di Piacenza.
In tale sede, l'attrice sosteneva che l'anzidetta cessione aveva comportato un grave pregiudizio alle proprie ragioni creditorie e che entrambi i debitori erano chiaramente consapevoli di tale pregiudizio. Per l'istituto, inoltre, il terzo acquirente era, altresì, cosciente del danno arrecato al creditore (cd. scientia damni).
L'immobile in questione, infatti, era l'unico di cui disponevano i venditori e, per tale motivo, il terzo non poteva non essere consapevole che l'atto avrebbe pregiudicato la garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 cod. civ.
Il Tribunale di Piacenza non ha, però, accolto questa conclusione.
Per il magistrato, in tema di revocatoria della cessione di un immobile, la consapevolezza del terzo acquirente del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie non può essere in re ipsa.
A tale riguardo, ai fini dell'accoglimento della domanda diretta a rendere inefficace l'alienazione di un immobile a titolo oneroso, l'ufficio emiliano chiarisce che l'acquirente deve essere a conoscenza dei crediti del proprio dante causa e che l'acquisto arreca pregiudizio ai medesimi.
Il Tribunale di Piacenza, aggiunge, inoltre, che spetta all'attore la prova di tali circostanze e che la stessa può essere raggiunta anche per presunzioni (ad esempio, rilevando lo stretto rapporto parentale tra le parti oppure dimostrando che il corrispettivo per la cessione era troppo basso per il valore di mercato del bene). Solo a queste condizioni, l'azione revocatoria potrebbe essere accolta.
Non essendo emerso nulla di quanto premesso nel procedimento in esame, il rigetto della domanda è stato, quindi, inevitabile.
Considerazioni conclusive
Con la sentenza in commento, a proposito della cosiddetta "scientia damni" dell'acquirente, il Tribunale di Piacenza si esprime in linea con l'univoca giurisprudenza in materia di presupposti per l'accoglimento dell'azione revocatoria.
A riguardo, basta confrontarsi con la citata decisione della Cassazione, secondo la quale "In tema di azione revocatoria ordinaria, ove l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l'esistenza di analoga consapevolezza anche da parte del terzo, perché quest'ultimo deve essere a conoscenza che il proprio dante causa è vincolato verso creditori e che l'atto posto in essere arreca pregiudizio alla garanzia patrimoniale del disponente (Cass. civ. Sez. I ord. del 27/09/2018 n. 233269".
In tal senso, perciò, la sentenza è coerente con i precedenti sul tema e adeguatamente motivata.