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Art. 1122-ter c.c. - Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni

Art. 1122-ter del Codice Civile.
 

Art. 1122-ter c.c.

Le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell'articolo 1136.

La norma, di nuova elaborazione, prevede la facoltà dell'assemblea di decidere l'installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni con la maggioranza di cui al comma 2 dell'articolo 1136 c.c. (deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio).

Con la riforma si superano, normativamente, i dubbi giurisprudenziali che avevano ostacolato il ricorso alla videosorveglianza per la sicurezza delle parti comuni dei condomini: a fronte di problemi di tutela della riservatezza e di un vero e proprio vuoto legislativo, che rendeva impossibile l'installazione di sistemi di controllo in assenza di un accordo unanime tra tutti i condomini, il Garante per la protezione dei dati personali era infatti intervenuto più volte a rimarcare l'esigenza di un intervento normativo:

  • con la Segnalazione al Parlamento e al Governo sulla videosorveglianza nei condomini del 13 maggio 2008 il Garante evidenziava l'esistenza di due approcci alla tematica divergenti, da parte dei contrapposti interessi potenzialmente coinvolti dal funzionamento di questi sistemi di videosorveglianza: da una parte, l'esigenza volta a preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni comuni (ad esempio, rispettivamente, contro aggressioni e danneggiamenti o furti); dall'altra, la preoccupazione che i trattamenti effettuati, nel rendere più agevolmente conoscibili a terzi informazioni relative alla vita privata di chi vive in edifici condominiali, come pure abitudini e stili di vita individuali e familiari, fossero idonei a incidere sulla libertà degli interessati di muoversi, non controllati, nel proprio domicilio e all'interno delle aree comuni;
  • con il Provvedimento dell'8 aprile 2010 rilevava, poi, la mancanza di una specifica disciplina idonea a risolvere le questioni poste dalla prassi applicativa: «non è infatti chiaro - si sottolinea - se l'installazione di sistemi di videosorveglianza possa essere effettuata in base alla sola volontà dei comproprietari, o se rilevi anche la qualità di conduttori. Non è parimenti chiaro quale sia il numero di voti necessario per la deliberazione condominiale in materia (se occorra cioè l'unanimità ovvero una determinata maggioranza)».

Come evidenziato, anche la giurisprudenza si è occupata più volte della questione della videosorveglianza in condominio, sollevando analoghe perplessità.


Quali posizioni ha espresso la giurisprudenza prima della novella di cui alla recente riforma nella materia condominiale?

In sede civile è per lungo tempo prevalso un indirizzo negativo:
  • «Il singolo condomino non può attivare nella sua proprietà esclusiva un impianto di videosorveglianza che riprenda aree comuni dell'edificio se tale sistema si presenti non necessario e sproporzionato rispetto ad allegate ragioni di tutela della sicurezza», ha affermato Trib. Nola, ordinanza 3 febbraio 2009;
  • «È da ritenere lecita l'installazione di una telecamera nel pianerottolo comune che consenta la sola diretta osservazione del portone di ingresso e dell'area antistante la porta d'ingresso alla singola unità immobiliare, mentre non è ammissibile l'installazione di apparecchiature che consentano di osservare le scale, gli anditi ed i pianerottoli comuni, in quanto ciò comporta una possibile lesione e compressione dell'altrui diritto alla riservatezza» (Trib. Milano, 6 aprile 1992);
  • secondo Trib. Salerno, ordinanza 14 dicembre 2010, neppure l'assemblea condominiale avrebbe potuto deliberare l'installazione dell'impianto di videosorveglianza, in quanto lo scopo della tutela dell'incolumità delle persone e delle cose dei condomini esula dalle attribuzioni dell'organo assembleare: «La questione posta dall'impugnativa di delibera in esame è […] se l'installazione dell'impianto di videosorveglianza per il perseguimento di finalità trovi, allo stato della legislazione, il proprio soggetto "Titolare del trattamento" nell'assemblea dei condomini, cui appartenga davvero il potere di decidere le finalità e modalità di trattamento dei dati personali. Fermo restando che nel Provvedimento generale sulla videosorveglianza dell'8 aprile 2010 dell'Autorità garante è stato previsto che il consenso non sia neppure necessario nel caso in cui il trattamento venga eseguito da parte dei condomini anche per il tramite della relativa amministrazione, purché vengano rispettate le prescrizioni del Codice Privacy, rimane qui da fare la constatazione della finalità extracondominiale perseguita dalle deliberazioni impugnate […] assunte dal Condominio. L'assemblea di Condominio non può infatti validamente perseguire, con una deliberazione soggetta al suo fisionomico carattere maggioritario, quella che è la tipica finalità di sicurezza del Titolare del trattamento, il quale provveda ad installare un impianto di videosorveglianza, ovvero i "fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro". L'oggetto di una siffatta deliberazione non rientra dunque nei compiti dell'assemblea condominiale. Lo scopo della tutela dell'incolumità delle persone e delle cose dei condomini, cui tende l'impianto di videosorveglianza, esula dalle attribuzioni dell'organo assembleare. L'installazione della videosorveglianza non appare di per sé prestazione finalizzata a servire i beni in comunione, né giova addurre l'innegabile maggior sicurezza che ne deriva allo stabile nel suo complesso, di fronte ad una deliberazione che coinvolge il trattamento di dati personali di cui l'assembla stessa non è affatto titolare, e che è volta ad uno scopo estraneo alle esigenze condominiali, di per sé cioè non rientrante nei poteri dell'assemblea» (ivi);

Successivamente, sempre in sede di merito, si è al contrario ritenuta sufficiente la deliberazione assembleare assunta a maggioranza: si è, specificamente, affermato che «Quanto alla prospettata violazione della privacy dei condomini, va osservato che la Corte di Cassazione penale ha recentemente stabilito che installare una telecamera sul cortile condominiale non integra gli estremi del reato di cui all'art. 615 bis c.p. (interferenze illecite nella vita privata) (Cass. penale, sezione V, 21 ottobre 2008, n. 44156). Mutuando i principi applicabili in campo penale, può ritenersi che la ripresa di quanto avviene nelle zone di uso comune non protette, certamente svolta per motivi di sicurezza, non è effettuata né clandestinamente né fraudolentemente; non è, in altri termini, neppure idonea a cogliere di sorpresa i condomini in momenti in cui potrebbero credere di non essere osservati, atteso che questi sono a conoscenza dell'esistenza delle telecamere.

La ripresa delle aree comuni non può di conseguenza ritenersi in alcun modo invasiva della sfera privata dei condomini, giacché la indiscriminata esposizione alla vista di un'area che costituisce pertinenza condominiale (nella specie: autorimessa condominiale) e che non è deputata a manifestazioni di vita privata esclusive è incompatibile con una tutela della riservatezza, anche ove risultasse che manifestazioni di vita privata in quell'area siano state in concreto realizzate e perciò riprese».

L'orientamento da ultimo espresso ha accolto l'indirizzo espresso in sede penale dai giudici di legittimità, i quali, sollecitati sulla questione se il singolo condomino, in assenza di una preventiva delibera assembleare, possa installare a propria sicurezza un impianto di videosorveglianza con un fascio di captazione di immagini che si riversa su aree condominiali comuni e, almeno in parte, anche su luoghi di proprietà esclusiva di altri condomini, hanno così affermato: «Il reato di cui all'art. 615-bis cod. pen. (interferenze illecite nella vita privata) non è configurabile per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, nel caso in cui tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano, però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei» (Cass. pen., n. 4415672008, cit. Nella specie, si trattava di un impianto di videosorveglianza installato sul balcone della propria abitazione e idoneo a riprendere aree comuni, non recintate, non intercluse allo sguardo degli estranei e di comproprietà dell'imputato).

Da ultimo, il Tribunale di Varese, con l'ordinanza del 16 giugno 2011 - che ha accolto l'orientamento espresso da Cass. pen., n. 44156/2008, cit. -, ha disposto la rimozione dell'impianto, la cui installazione non era stata decisa dall'organo assembleare, essendo stato lo strumento posizionato da uno dei comproprietari a fini di sicurezza: secondo il giudice, sebbene l'installazione non integri una fattispecie penale, essa è comunque vietata in quanto andando ad incidere su diritti costituzionalmente protetti (come il diritto alla riservatezza), la compressione dei medesimi può avvenire solamente con l'accordo di tutti i comproprietari. Inoltre, la pronuncia, in più passaggi, ribadisce che la materia non è regolamentata, rendendosi auspicabile un intervento del legislatore.

Specificamente, riguardo ai profili di rilevanza penale, il Tribunale ha in primo luogo affermato che «non commette il reato di cui all'articolo 615-bis del codice penale (interferenze illecite nella vita privata) il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall'intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni dell'edificio (come un vialetto e l'ingresso comune dell'edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini "specie se i condomini stessi siano a conoscenza dell'esistenza delle telecamere e possano visionarne in ogni momento le riprese"; motivo per cui queste ultime non siano neppure idonee a cogliere di sorpresa gli altri condomini in momenti in cui possano credere di non essere osservati (Cass. pen. 26 novembre 2008, n. 44156)» (Trib. Varese, ordinanza n. 1273/11).

A testimonianza della mancanza di una specifica regolamentazione della materia, il Tribunale cita le perplessità del Garante della privacy espresse nei documenti sopra menzionati, e così conclude: «nel silenzio della Legge, il condomino non ha alcun potere di installare, per sua sola decisione, delle telecamere in ambito condominiale, idonee a riprendere spazi comuni o addirittura spazi esclusivi degli altri condomini; ma, ancora, reputa questo giudice che nemmeno il Condominio abbia la potestà normativa per farlo, eccezion fatta per il caso in cui la decisione sia deliberata all'unanimità dai condomini, perfezionandosi in questo caso un comune consenso idoneo a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti.

Tutte le coordinate giuridiche sin qui illustrate segnalano un vero e proprio "vacuum legis" in questa materia, al cospetto di diritti fondamentali presidiati dalla Costituzione, come quello alla riservatezza e alla vita privata (difeso dalla Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo all'art. 8). Ebbene, per come si è visto, il condominio è un luogo di incontri e di vite in cui i singoli condomini non possono giammai sopportare, senza il loro consenso, una ingerenza nella loro riservatezza seppur per il fine di sicurezza di chi video-riprende.

Né l'assemblea può sottoporre un condomino ad una rinuncia a spazi di riservatezza solo perché abitante del comune immobile, non avendo il condominio alcuna potestà limitativa dei diritti inviolabili della persona. Peraltro, nell'ottica del cd. "balancing" costituzionale, la videoripresa di sorveglianza può ben essere sostituita da altri sistemi di protezione e tutela che non compromettono i diritti degli altri condomini, offrendo quindi un baricentro in cui i contrapposti interessi possono convivere». (Trib. Varese, ordinanza n. 1273/11).

Il Riformatore ha ad ogni modo sciolto le incertezze interpretative espresse in sede giurisprudenziale, chiarendo che:

  • la videosorveglianza può rientrare nei poteri dell'assemblea, la quale, in tale materia, deciderà a maggioranza;
  • l'amministratore di condominio, dal canto suo, munito della previa deliberazione assembleare, dovrà però adottare tutte le cautele; in particolare, sarà necessario:
    • apporre il cartello informativo;
    • stabilire tempi minimi di conservazione delle immagini (massimo 24 ore);
    • individuare il personale che può visionare le immagini con atto di nomina di responsabile e incaricato del trattamento;
    • chiedere al Garante la verifica preliminare nei casi previsti dal provvedimento generale.
    • In caso di inadempienza a tali prescrizioni, ne potranno derivare, a carico degli autori, responsabilità amministrative e penali, oltre che richieste di risarcimento da parte di eventuali soggetti danneggiati.

Il singolo condomino può installare sistemi di videosorveglianza ad uso privato?

È possibile che l'installazione di dette strumentazioni sia effettuata da persone fisiche per fini esclusivamente personali: in tale ipotesi «La disciplina del Codice [della privacy] non trova applicazione qualora i dati non siano comunicati sistematicamente a terzi ovvero diffusi, risultando comunque necessaria l'adozione di cautele a tutela dei terzi (art. 5, comma 3, del Codice, che fa salve le disposizioni in tema di responsabilità civile e di sicurezza dei dati). In tali ipotesi possono rientrare, a titolo esemplificativo, strumenti di videosorveglianza idonei ad identificare coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione), oltre a sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati ed all'interno di condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box)» (Provvedimento del Garante dell'8 aprile 2010, punto 6.1, primo capoverso).
Tuttavia occorrerà tenere presente che «Benché non trovi applicazione la disciplina del Codice, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l'accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l'abitazione di altri condomini» (Provvedimento del Garante, cit., punto 6.1, secondo capoverso).

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