Con la Riforma del 2012, l'articolo 1129 codice civile obbliga l'amministratore a far transitare, sul conto corrente intestato al condominio, tutte le somme ricevute a qualsiasi titolo dai condomini o dai terzi, permettendo a ciascun condomino di prendere visione ed estrarre copia della rendicontazione periodica.
Tale norma, seppur rende più difficile la sottrazione di somme da parte dell'amministratore non esclude che questi si appropri indebitamente di denaro del condominio facendolo transitare sul proprio conto o utilizzandolo per altri scopi.
In tal caso, quando il denaro del condominio viene, dall'amministratore di condominio, distratto, speso ovvero usato per scopi estranei al condominio, l'amministratore commette il reato di appropriazione indebita, procedibile a querela del nuovo amministratore previa autorizzazione dell'assemblea condominiale.
In caso di appropriazione indebita da parte dell'ex amministratore, il Condominio potrà agire anche con un'azione civile al fine di ottenere la restituzione della somma illecitamente sottratta.
Fondamentale è, dunque, qualificare la domanda: l'azione si dovrà proporre ex art. 2041 c.c. o ex art. 2043 c.c.? Ed ancora, in caso di condominio amministrato da una società, nei confronti di chi dovrà promuoversi l'azione: nei confronti della società medesima o nei confronti della persona fisica, autore del fatto illecito doloso?
La risposta ai quesiti è contenuta nella sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 3342 del 2022.
Condominio contro ex amministratore: azione civile per appropriazione indebita
Un Condominio, in conseguenza della conclusione del procedimento penale per appropriazione indebita dell'ex amministratore di condominio, agiva in sede civile nei confronti del legale rappresentante della società incaricata dell'amministrazione al fine di ottenere la restituzione della somma dallo stesso illegittimamente sottratta dal conto corrente condominiale e trasferita su conti correnti personali intestati al medesimo e al di lui figlio.
Il Tribunale di Milano, qualificata la domanda proposta dal Condominio come azione di arricchimento senza causa, ex art. 2041 c.c., la rigettava in quanto riteneva provato il depauperamento del condominio ma non l'arricchimento neppure indiretto da parte dell'autore del fatto illecito.
Avverso la sentenza di primo grado, proponeva appello il Condominio con l'unico motivo con il quale deduceva l'errata qualificazione della domanda da parte del Tribunale e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.
Sosteneva il Condominio che, come poteva dedursi dall'atto di citazione, aveva proposto una domanda di risarcimento del danno per illecito extracontrattuale avendo chiesto all'autore del fatto illecito di restituire le somme di proprietà del condominio di cui si era indebitamente appropriato durante l'amministrazione dello stesso attraverso una società di cui era presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante.
Quindi il Tribunale aveva errato a qualificare la domanda proposta come azione di indebito arricchimento.
Il Tribunale rilevava, altresì, che essendo stato il Condominio ammesso al passivo del fallimento della società di amministrazione per l'intero importo del credito riconosciuto da altra sentenza scaturita da azione di risarcimento danno nei confronti della predetta società, con l'ulteriore giudizio promosso nei confronti della persona fisica autore del fatto illecito si rischiava la duplicazione del riconoscimento della stessa somma.
La Corte d'Appello di Milano ha ritenuto l'appello fondato.
Vediamo i motivi della decisione.
Il concorso tra l'illecito contrattuale della società di amministrazione del condominio e quello extracontrattuale della persona fisica legale rappresentante della società. La responsabilità solidale di entrambi
Preliminarmente, la Corte di Appello di Milano ha qualificato correttamente la domanda sostenendo che non si trattasse di azione di arricchimento senza causa come qualificata dal giudice di primo grado, bensì di azione risarcitoria ex art. 2043 c.c.
Secondo la Corte territoriale, infatti, il fatto costitutivo del diritto fatto valere dal Condominio era il comportamento doloso compiuto dal legale rappresentante della società di amministrazione, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della società incaricata di amministrare il condominio, consistito nell'appropriazione di una somma di proprietà del condominio trasferita sui conti correnti intestati al medesimo e al di lui figlio, per come era emerso all'esito dell'istruttoria.
Altra e diversa azione era da considerarsi quella esperita dal condominio in altro giudizio civile nei confronti della società incaricata di amministrare il condominio.
Il Condominio ha infatti per lo stesso danno esercitato due azioni separate ed autonome:
- una nei confronti della persona fisica, quale soggetto autore del fatto illecito doloso;
- l'altra nei confronti della società incaricata dell'amministrazione di condominio.
Nel primo caso si è trattato di domanda di risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale nei confronti della persona fisica; nel secondo caso, di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale della società di amministrazione per responsabilità della stessa derivante dall'inadempimento del contratto di mandato stipulato con il condominio.
La Corte ha così precisato che non sussiste duplicazione del danno in quanto il danno è unico ed è imputabile causalmente sia alla condotta della persona fisica, sia alla società.
Vi sono solo due diversi titoli per richiedere il medesimo danno a due soggetti diversi.
Con la conseguenza che nella causazione del danno vi è concorso tra la persona fisica e la società, con conseguente responsabilità solidale di entrambi ex art. 2055 c.c. (ex plurimus, sent. N. 17110 del 03.12.2022), sussistendo il concorso tra l'illecito contrattuale della società e quello extracontrattuale dell'amministratore legale rappresentante della società.
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, al fine del concorso tra illeciti è "necessario che tra l'inadempienza della società ed il comportamento di chi abbia esercitato (anche solo in via di fatto) le funzioni di amministratore di una società ed abbia con lui (a qualsiasi titolo) cooperato esista un nesso di causalità necessaria (nella specie, era stato accertato che la distrazione di somme versate da terzi alla società era stata operata dall'amministratore della stessa con la collaborazione di sua moglie, con incidenza causale sull'inadempienza della società). (Sent. n.108 del 08.11.1999, Rv. 522084-01).