In una recente pubblicazione, è stata esaminata una sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria in merito ad un contratto di appalto e ad una problematica, alquanto frequente, che può manifestarsi a seguito della sua esecuzione.
In particolare, in quel procedimento si è discusso dei vizi emersi a seguito dell'esecuzione delle opere, tali da comportare, a carico dell'appaltatore, un ingente risarcimento del danno.
Viceversa, nella vicenda sottoposta al vaglio della Corte di Appello di L'Aquila, conclusasi, almeno per ora, con la sentenza n. 1573 del 20 ottobre 2021, la questione è stata diversa. È sorta, infatti, contestazione sul mancato completamento dei lavori commissionati, cioè una circostanza che, se verificatasi, può condurre alla risoluzione dell'accordo.
Come afferma la legge, però, il contratto di appalto può risolversi anche in un'altra ipotesi. Ad esempio, quando l'opera presenta delle difformità dei vizi tali da renderla inadatta alla sua destinazione.
Ad ogni modo, prima di comprendere il merito giuridico della vicenda, vediamo cosa è accaduto in questo condominio abruzzese.
Appalto: quando scatta la risoluzione: il caso concreto
La lite in esame nasce a seguito di un contratto di appalto, stipulato tra un condominio in Francavilla a Mare e un'impresa, avente ad oggetto l'esecuzione di ingenti lavori di manutenzione straordinaria.
Ebbene, secondo la ditta esecutrice delle opere, le stesse non erano state, dovutamente, saldate dal committente. Per questa ragione erano stati richiesti ed ottenuti due decreti ingiuntivi.
A seguito di tali provvedimenti, era quindi proposta opposizione, con tanto di riunione dei procedimenti, dinanzi al Tribunale di Chieti. Nel corso dell'azione si palesavano varie eccezioni, tra cui quella più rilevante che riguardava il mancato completamento dell'opera; un'ipotesi che, se verificata, avrebbe determinato la risoluzione del contratto, la revoca dei decreti opposti e la conseguente restituzione di quanto versato dal condominio.
Inevitabilmente, l'accertamento delle descritte circostanze era affidato al vaglio di un CTU. Le risultanze delle verifiche effettuate da questi evidenziavano la responsabilità dell'impresa.
Per questa ragione, il Tribunale di Chieti accoglieva le opposizioni, dichiarava risolto il contratto ai senti dell'art. 1453 cod. civ. e condannava l'opposto appaltatore al pagamento di un'ingente somma a titolo di restituzione del corrispettivo e di interessi, oltre alle spese legali.
A questo punto, l'appello diventava quasi inevitabile.
In particolare, il ricorrente contestava la CTU e quanto dichiarato all'interno della medesima, precisando che non c'erano elementi sufficienti per poter individuare, nella prestazione eseguita, un inadempimento così grave da determinare la risoluzione del contratto. L'appellante, ovviamente, sosteneva, altresì, che i lavori commissionati erano stati debitamente completati.
La Corte di Appello di L'Aquila ha, però rigettato l'impugnazione, confermando la sentenza di primo grado.
Appalto e risoluzione
Esaminando il codice civile, il contratto di appalto può risolversi in un'ipotesi ben specifica. In particolare, si tratta del caso contemplato nell'art. 1668, secondo il quale, se l'opera presenta dei vizi o delle difformità «... tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto (Art. 1668 ult. co. cod. civ.)».
Questa circostanza, secondo la giurisprudenza richiamata dalla Corte di Appello di L'Aquila, si verifica nel caso in cui c'è stato, comunque, il completamento di quanto appaltato, ad esempio, dei lavori di manutenzione straordinaria.
Tuttavia, l'opera che ne è derivata, pur non essendo inadatta alla sua destinazione, manifesta uno o più difetti in una qualità essenziale al punto tale da compromettere la sua funzionalità «laddove vi sia stata completa esecuzione delle opere il parametro di riferimento deve individuarsi nell'art. 1668 cod. civ. e pertanto lo scioglimento del contratto, in quanto ancorato a requisiti ben più rigorosi, risulta possibile soltanto nel caso in cui l'opera, pur non essendo del tutto inadatta alla sua destinazione, tuttavia essa si presenti completamente diversa da quella commissionata oppure difetti di una qualità essenziale che ne pregiudichi la sua stessa funzionalità».
L'ipotesi anzi detta, quindi, si distingue, nettamente, da quella in cui l'opera non è stata realizzata e/o terminata. In tal caso, infatti, dovrebbe applicarsi l'art. 1453 cod. civ., invocando la risoluzione del contratto per il grave inadempimento dell'appaltatore.
Appalto: quando l'inadempimento non è di scarsa importanza
Per Corte di Appello di L'Aquila, nel solco della giurisprudenza già espressasi sull'argomento, per arrivare alla risoluzione di un contratto, ai sensi dell'art. 1453 cod. civ., ivi compreso quello di appalto, bisogna contemperare «la valutazione oggettiva della ritardata o mancata esecuzione (intesa anche nell'accezione di inesatta) della prestazione con l'elemento soggettivo rappresentato dall'interesse dell'altra all'esatto adempimento».
L'obiettivo, quindi, è individuare se l'inadempimento non è di scarsa importanza. In tal caso, infatti, lo scioglimento del contratto sarebbe una conseguenza eccessiva. Pertanto, bisogna valutare le obbligazioni primarie ed essenziali del patto. Se queste non sono state rispettate, la risoluzione contrattuale è ammissibile.
«In tema di risoluzione contrattuale per inadempimento, la valutazione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1455 c.c., della non scarsa importanza dell'inadempimento deve ritenersi implicita, ove l'inadempimento stesso si sia verificato con riguardo alle obbligazioni primarie ed essenziali del contratto, ovvero quando, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice lo abbia considerato tale da incidere in modo rilevante sull'equilibrio negoziale» (cfr. Corte Appello Salerno, Sez. I, 7.9.2020 n. 1007)