Troppe volte nel condominio, che rappresenta una cellula della nostra società, i diritti dei singoli vengono ignorati con decisioni che, a volte, potrebbero configurare meri atti emulativi. Infatti, come ad esempio proprio nel caso dell'eliminazione delle barriere architettoniche attraverso l'installazione nel condominio di un ascensore, si registra un comune sentimento di chiusura, piuttosto che di empatia, nei confronti di colui che chiede, non una partecipazione collettiva alla spesa relativa all'intervento innovativo, ma una semplice autorizzazione.
E, come nel caso sottostante alla decisione in esame, le ragioni spesso sono in contrasto con le evidenti risultanze tecniche.
L'ascensore è un impianto legittimo per l'abbattimento delle barriere architettoniche. Fatto e decisione
La situazione che è stata prospettata da una condomina nel giudizio di impugnativa di una delibera condominiale, conclusosi con l'accoglimento della domanda da parte del Tribunale di Firenze, che si è pronunciato con la sentenza n. 2681 in data 27 agosto 2024, disegna un quadro classico nell'ambito dei rapporti condomino/assemblea al fine della eliminazione o superamento delle barriere architettoniche.
L'attrice affetta da gravi e documentate patologie che non le permettevano - se non con notevoli rischi per la propria salute - di accedere al proprio appartamento, sito al secondo piano di un edificio privo di ascensore, si era vista negare dall'assemblea l'autorizzazione a collocare, a propria cura e spese, nel vano scale un ascensore/piattaforma elevatrice.
L'intervento, come dimostrato dal progetto tecnico presentato ai condomini prima della riunione assembleare, avrebbe rispettato le norme di settore così come non avrebbe pregiudicato i diritti dei condomini all'uso delle scale, anche in situazioni di emergenza sanitaria.
Il diniego dell'assemblea aveva comportato l'impugnativa della relativa delibera da parte della condomina sulla base della violazione dell'art. 1102 c.c. e dell'art. 10, co. 3 del Decreto Semplificazioni n. 76/2020, quanto al diritto di ciascun partecipante alla comunione o al condominio di realizzare a proprie spese ogni opera finalizzata all'abbattimento delle barriere architettoniche, anche servendosi della cosa comune ma sempre nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c.
Alla domanda si opponeva il condominio, il quale lamentava la non fattibilità dell'intervento che, per quanto rispettoso della larghezza della scala secondo le norme del Comune, avrebbe comunque reso più difficile il suo utilizzo per persone di corporatura non normale.
La relazione tecnica d'ufficio, invece, perveniva alla conclusione - condivisa dal giudicante - che l'intervento, come progettato, non mostrava criticità che avrebbero inciso negativamente sulla vita dei condomini e non violava il decoro architettonico dello stabile.
Il Tribunale, nel ribadire la differenza sostanziale tra gli artt. 1102 e 1120 c.c. (oramai granitica sulla base della copiosa giurisprudenza sul punto), ha dichiarato l'applicabilità alla fattispecie della prima norma, il ché non esclude che debba essere rispettato il c.d. "principio di solidarietà" anche quando si tratti di eliminare le barriere architettoniche tramite l'inserimento nelle parti comuni dello stabile condominiale di un ascensore che sia funzionale a tale scopo.
Tutta la normativa di settore, a partire dalla legge n. 13/1989 con le successive modifiche, ma ancora prima dalla legge n. 118/1971, è ispirata a consentire che gli edifici privati e pubblici presentino tutte le caratteristiche necessarie affinché con l'introduzione di appositi interventi edilizi, miranti all'abbattimento delle barriere architettoniche, consentano la fruibilità degli edifici a tutti i cittadini, ma sempre nel rispetto degli altrui diritti.
Sulla base di tali considerazioni, pertanto, il Tribunale ha accolto la domanda di annullamento della delibera assembleare, affermando il diritto di parte attrice a realizzare l'ascensore come previsto nel progetto dalla stessa presentato al condominio.
Installazione dell'ascensore tra uso della cosa comune, innovazione e solidarietà condominiale
La sentenza del giudice fiorentino è solo l'ultima in ordine di tempo di una serie di pronunce che, nella sussistenza di tutti i presupposti di legge, riconosce il diritto del condomino di procedere a proprie spese all'eliminazione delle barriere architettoniche tramite l'installazione di un impianto di risalita, quando tale diritto gli sia stato negato in sede assembleare.
Occorre fare chiarezza su di un punto: ovvero a quale intervento ci si deve riferire quando si parla di eliminazione delle barriere architettoniche e se l'ascensore costituisca il solo mezzo per realizzare tale risultato.
Come risulta dalla motivazione della sentenza, infatti, ci si è trovati di fronte a varie denominazioni di opere: servo-scale; impianto montascale; piattaforma elevatrice e, naturalmente, ascensore.
Pur trattandosi di opere strutturalmente diverse, tutte hanno lo stesso scopo che è quello di consentire, anche con differenti modalità, di rendere praticabile l'edificio in tutte le sue parti, comini e private.
Anche se, indubbiamente, l'installazione di un impianto di risalita all'interno di uno spazio condominiale determina le maggiori criticità proprio per il suo essere invasivo, non solo dal punto di vista estetico ma anche per la complessità delle strutture che lo compongono.
Nella sentenza vi sono alcuni punti che meritano una particolare riflessione.
L'attrice ha invocato a difesa del proprio diritto l'art. 1102 c.c., che stabilisce che ciascun partecipante alla comunione può utilizzare il bene comune nell'osservanza del duplice limite ivi indicato (non alterazione della destinazione e rispetto del diritto degli altri soggetti di utilizzare il bene stesso in pari misura).
La norma, per tale profilo, ha specificato anche che ogni partecipante "a tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa".
Risulta, ancora, che sempre l'attrice aveva affermato che l'opera per la quale le era stata negata l'autorizzazione non fosse da annoverare tra le innovazioni di cui all'art. 1120, co. 1, c.c., ovvero quelle che sono rimesse alla volontà dei condomini, con spese a loro carico, e finalizzate "al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni" poiché, trattandosi di innovazione evidentemente gravosa e consistente in un impianto suscettibile di utilizzazione separata, l'installazione e le relative spese sarebbero state interamente sostenute dall'attrice (art. 1121, co.1, c.c.).
A fronte di tali affermazioni il Tribunale ha classificato l'opera come innovazione non ai sensi dell'art. 1120 c.c. ma dell'art. 1102 c.c., a fronte del fatto che il termine "modifica" con i suoi effetti, nel dizionario italiano ha una vasta accezione che, con una sorta di gradualità, va dalla correzione alla trasformazione.
In tutto questo, forse, anche aiutato dal richiamato Decreto Semplificazioni, che ha connotato le opere finalizzate all'eliminazione delle barriere architettoniche come innovazioni prive del carattere voluttuario di cui all'art. 1121, co. 1, c.c. che, in ogni caso restano soggette al rispetto della stabilità o sicurezza del fabbricato.
Per chiudere sul punto si può affermare che l'intervento de quo si può inquadrare giuridicamente sotto una triplice prospettiva, costituita in via primaria dall'art. 1102 c.c., seguito dagli artt. 1120 e 1121 c.c. per quanto compatibilmente applicabili.
La soluzione della questione, poi e come emerge dalla decisione del Tribunale, non può prescindere dal principio della solidarietà condominiale posto dall'art. 2 della Costituzione ("la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale") che, nella fattispecie, si manifesta nella comparazione tra vantaggi e svantaggi che l'opera comporta per i condòmini.
Sull'argomento l'orientamento giurisprudenziale è concorde nel ritenere che il punto di partenza è rappresentato dal presupposto che l'installazione di un ascensore su area comune sia funzionale allo scopo di eliminare le barriere architettoniche ovvero di rendere più agevole l'accesso dei condomini alle proprie abitazioni, specie se poste ai piani alti evitando di affrontare le scale.
Il principio della solidarietà, pertanto, si colloca in un quadro nel quale assume rilevanza, quanto alla legittimità dell'intervento innovativo, non solo la effettiva e complessiva utilizzazione dell'edificio da parte delle persone disabili, ma anche la possibilità che per tali soggetti siano sensibilmente attenuate le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario (per tutte: Cass. 14 giugno 2022, 19087; Cass. 28 marzo 2017, n. 7938).
Ora, se riportiamo questi principi di carattere generale al caso di specie si potrà facilmente osservare come il giudice di prime cure non si sia discostato da essi, considerando che l'attrice si trovava in un certificato stato di salute per il quale sarebbe stato pericoloso raggiungere la sua proprietà dovendo affrontare le scale; che la realizzazione dell'ascensore rispettava in pieno le norme di settore, senza violare il decoro architettonico ed, infine, che la nuova dimensione degli scalini del vano scala era pienamente compatibile con le norme emanate in merito dal rispettivo Comune. Nessun motivo, dunque, per negare l'autorizzazione alla richiedente.