In vista dell'incontro del 2 maggio 2019 tra Governo e associazioni di categoria degli amministratori di condominio, incontro nel quale forse si discuterà sul registro degli amministratori (o albo?), mi pare utile svolgere qualche breve riflessione.
Non trarrò nessuna conseguenza, non mi sembra questa la sede e comunque, primariamente, perché non credo di avere la verità in tasca.
Le migliori soluzioni nascono sempre dal confronto di idee, che può anche scalfire le più strenue convinzioni.
Poniamoci, allora, nella condizione di mettere in dubbio la nostra posizione e di accogliere quella diversa nella sua alterità e alternatività, oppure rafforziamo il nostro convincimento.
Con l'auspicio che il confronto col Governo sia momento di vera valutazione delle problematiche della categoria e non sia semplicemente cartina al tornasole in vista delle prossime elezioni: della serie anche gli amministratori di condominio votano.
Date queste premesse, io credo sia importante riflettere su un fatto: per meglio esercitare l'attività di amministratore di condominio è necessario che sia istituito un albo? È sufficiente un registro? Quale la migliore garanzia per l'utente del servizio? Quale il miglior modo di disciplinare un'attività che ha significativa rilevanza rispetto ad un bene di certo rilievo costituzionale, qual è la proprietà?
Requisiti per l'accesso alla professione, non servono?
In un bellissimo saggio intitolato «Scuola e libertà», inserito nella raccolta «Prediche Inutili», Luigi Einaudi scriveva: «Che cosa altro erano le 'botteghe' di pittori e scultori riconosciuti poi sommi, se non scuole private? V'era bisogno di un bollo statale per accreditare i giovani usciti dalla bottega di Giotto o di Michelangelo?»
Einaudi allargava lo sguardo alle professioni, non si fermava certo all'arte, e argomentava con convinzione e convincentemente che il bollino di Stato, il così detto valore legale del titolo di studio non è cosa così necessaria, anzi non è affatto necessaria per garantire la qualità della professionalità di una persona.
È, quindi, necessario che lo svolgimento dell'incarico di amministratore di condominio sia preceduto dalla "bollinatura" statale comprovante il superamento di un esame?
Perché, ad avviso dello scrivente, quando si fa riferimento ad un albo è a questo che s'intende arrivare: una disciplina legale e obbligatoria per l'accesso all'attività di amministratore sotto l'egida dello Stato.
Disciplina che preveda delle disposizioni transitorie, consentendo così a chi è già in quel mercato di proseguire o adeguarsi, ma pur sempre la mano pesante dello Stato sull'iniziativa individuale.
Quanti avvocati conosciamo che non sono degni di quel titolo, ma sono pur iscritti all'albo? E quanti medici? Quanti notai? Quanti ingegneri?
Requisiti per l'accesso alla professione, servono?
Eppure, potrebbe obiettare qualcuno, indubbiamente con buone ragioni, basta osservare l'attuale mercato - ad esempio il costante svilimento di quella che è a tutto tondo un'attività intellettuale svilita a mera vendita porta a porta - per comprendere che qualcosa bisogna pur fare.
Le botteghe, le scuole cui faceva riferimento Einaudi sono oggi le associazioni di categoria?
Se sì, cioè se si vede l'associazione quale organismo erogante formazione e quindi cultura, quale considerazione si deve avere su queste scuole?
Il decreto ministeriale n. 140 del 2014 - che ha dettato regole per la determinazione dei criteri e delle modalità per la formazione degli amministratori di condominio nonché dei corsi di formazione per gli amministratori condominiali - è sufficiente a garantire qualità?
Oggi c'è una considerevole pletora di formatori in ambito condominiale. Formatori che provengono dal mondo accademico, formatori che vengono dal mondo delle professioni, ma anche capitani di ventura che passano dalla vendita di aspirapolveri al settore condominiale convinti che l'assertività e due braccia ben poste e mai conserte siano la chiave di volta per una vita professionale migliore.
Serve tutto, dice qualcuno. Non sempre, ma anche così fosse, si converrà che esistono delle priorità. Com'è possibile che il corso tenuto ad un venditore di frullatori valga quanto quello di un amministratore con esperienza trentennale? Mistero del decreto.
Ed ancora: 72 ore sono sufficienti per poter ottenere il "visto" utile a svolgere incarichi di amministratore condominiale? 72 ore full-immersion, 8 ore per 9 giorni senza sosta, bastano per potersi rivolgere ad un'assemblea condominiale e dire: «Hey! Ci sono anche io, gestisco io il vostro condominio».
Dopo una decina di giorni scarsi, si può dire che una persona conosca bene termini, date, scadenze per esercitare? Davvero si può pensare che un'attività così fortemente caratterizzata da adempimenti materiali, oltre che intellettuali, non necessiti di un rodaggio, se non proprio di un tirocinio?
Eppoi: un corso di 15 ore per l'aggiornamento annuale è utile, sufficiente, necessario?
Il d.m. n. 140 del 2014, obiettivamente, pare totalmente inadeguato a fornire quel minimo di regolamentazione che possa consentire, nella pienezza del libero mercato, la formazione di persone capaci di gestire in modo competente un condominio.
Sull'urgenza, prepotente e improcrastinabile, di rivedere l'intero meccanismo della formazione condominiale, ad avviso di chi scrive l'evidenza è così lampante che solamente i leader di se stessi non lo comprendono.
Registro degli amministratori di condominio?
In molti dicono: poco importa che si chiami albo, registro, elenco, ecc. Si dia una disciplina compiuta all'attività di amministratore, una disciplina che garantisca l'utenza e consenta una reale e seria concorrenza tra i soggetti del mercato (concorrenza che ad avviso mio fa a botte con l'introduzione di minimi tariffari, ma questo è un altro discorso).
Il registro può fa questo?
Basta revisionare il decreto ministeriale n. 140?
Si può guardare all'esperienza della formazione relativa alla mediazione? O alla gestione della crisi da sovraindebitamento? Si può sperare in qualcosa di originale che guardi alle esigenze reali del mercato e della categoria?
Si può fare tutto ed è bene essere pronti a confrontarsi con tutto. Come dicevo all'inizio, non ho soluzioni, ma una speranza, cioè che non si vada a questuare allo Governo quello che non si è riusciti a fare da soli, cioè una legittimazione professionale che non passa da protettorati di Stato.