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L'amministratore revocato in giudizio è sempre obbligato al rendiconto

L'eventuale approvazione assembleare del consuntivo di gestione non fa venire meno il più generale obbligo di cui all'art. 1713 c.c.
Avv. Gianfranco Di Rago Avv. Gianfranco Di Rago - Foro di Milano 

In caso di revoca giudiziale l'amministratore, il cui mandato deve ritenersi estinto, ha l'obbligo di fornire ai condomini il rendiconto del proprio operato, dando prova delle somme incassate e degli esborsi effettuati.

Questo perché l'art. 1713 c.c., norma applicabile per l'assimilabilità dell'amministratore al mandatario con rappresentanza, impone di rendere il conto della gestione e rimettere al mandante tutto ciò che abbia ricevuto per l'esecuzione del contratto.

Da questo punto di vista il fatto che l'assemblea nomini nuovamente l'amministratore giudizialmente revocato e ne approvi il consuntivo dell'ultima gestione non vale a dispensarlo dal predetto obbligo di rendiconto.

Attualmente, a seguito della modifica dell'art. 1129 c.c. operata dalla legge n. 220/2012, non è più possibile che l'assemblea provveda nuovamente a nominare alla guida del condominio l'amministratore giudizialmente revocato.

Approvazione di un rendiconto incompleto o non veritiero. Facciamo chiarezza

Per il passato, invece, deve appunto ritenersi sussistente un più generale dovere dell'amministratore revocato di rendere il conto ai sensi dell'art. 1713 c.c., né può farsi applicazione dell'istituto della prorogatio dei poteri, in quanto la revoca dell'incarico comporta l'estinzione del mandato.

Queste le indicazioni che si traggono dalla recente sentenza n. 19436, pronunciata dalla seconda sezione civile della Corte di Cassazione lo scorso 8 luglio 2021.

L'amministratore revocato in giudizio: il caso concreto.

Nel caso di specie alcuni condomini avevano citato in giudizio il proprio amministratore, che era stato revocato dal tribunale, a rimborsare una somma di denaro percepita a titolo di oneri condominiali.

Il giudice, accogliendo la domanda, aveva accertato che il precedente amministratore si era reso inadempiente all'obbligo di rendiconto per la gestione relativa a un periodo di più anni.

La sentenza era però stata riformata in appello, a seguito dell'accoglimento dell'impugnazione proposta dall'amministratore revocato.

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La Corte d'appello aveva infatti evidenziato che, fermo l'obbligo di rendiconto gravante sull'amministratore revocato ex art. 1713 c.c., nel caso concreto era accaduto che il medesimo amministratore era stato nuovamente confermato nell'incarico da una successiva assemblea, con delibera non impugnata, e la maggioranza dei condomini aveva approvato i rendiconti da quest'ultimo presentati per gli anni oggetto di contestazione, con mancata impugnazione anche di queste deliberazioni.

Per i giudici di secondo grado, in conseguenza di ciò, nessuna contestazione poteva quindi essere legittimamente mossa nei confronti dell'operato dell'amministratore. I condomini convenuti in appello, per nulla persuasi di questa decisione, avevano quindi impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione.

La revoca giudiziale dell'amministratore condominiale.

È noto che l'amministratore condominiale può essere revocato in ogni momento dall'assemblea e, anche su ricorso di un solo condomino, dal tribunale.

Il procedimento giudiziale è finalizzato proprio a garantire alla minoranza dei condomini di ottenere l'allontanamento dell'amministratore sostenuto dalla maggior parte dei comproprietari ma che si renda colpevole di gravi irregolarità.

Annullamento del rendiconto ed effetti sulla contabilità condominiale

È noto come con la riforma del condominio del 2012 il Legislatore abbia tentato di limitare l'eccessiva discrezionalità concessa ai giudici in ordine all'individuazione dei casi di grave inadempimento tali da comportare l'estinzione del rapporto di mandato tra amministratore e condomini.

L'art. 1129 c.c. individua infatti oggi una serie di casi in cui il Tribunale dovrebbe limitarsi ad accertare l'inadempimento e pronunciare automaticamente la revoca del mandato. È significativo ricordare come lo stesso art. 1129 c.c. faccia divieto all'assemblea condominiale di nominare nuovamente l'amministratore che sia stato revocato in giudizio.

Questo proprio a garanzia di quella minoranza che sia riuscita a far accertare giudizialmente le gravi irregolarità commesse dall'amministratore. Prima dell'introduzione di questa norma poteva infatti capitare che l'amministratore revocato giudizialmente venisse immediatamente rimesso alla guida del condominio con una delibera assembleare maggioritaria.

La decisione della Suprema Corte.

E questa è proprio l'ipotesi verificatasi nel caso sottoposto alla decisione della Suprema Corte. Si trattava infatti di una vicenda risalente nel tempo, alla quale non era applicabile la novella del 2012.

Come detto, l'amministratore revocato giudizialmente era stato rinominato dall'assemblea, che aveva anche provveduto ad approvare in blocco i consuntivi da questi mai presentati per più anni consecutivi e poi riproposti in un'unica tornata all'approvazione dell'assemblea.

Mancata approvazione del preventivo e del rendiconto condominiale, quali conseguenze?

Quanto sopra, evidentemente, allo scopo di paralizzare l'azione giudiziaria con cui i condomini di minoranza, successivamente alla revoca giudiziale del mandato, avevano agito nei suoi confronti per contestargli il mancato rendiconto e la mancata restituzione delle somme di denaro incassate e poi trattenute a titolo di oneri condominiali.

Il Giudice d'appello, come indicato in precedenza, aveva ritenuto che questa condotta fosse tale da mettere al riparo da contestazioni l'operato dell'amministratore, in quanto sia la delibera di nomina sia le deliberazioni relative all'approvazione dei consuntivi non erano state impugnate nei termini di cui all'art. 1137 c.c..

La Suprema Corte, al contrario, quasi a spiegare la genesi della novella del 2012, ha chiarito come nella specie non ci fosse alcuna ragione per cui l'amministratore giudizialmente revocato dovesse ritenersi dispensato dal fornire il rendiconto ai condomini, nonostante la successiva approvazione assembleare dei consuntivi.

In primo luogo i Giudici di legittimità hanno ribadito come l'amministratore sia tenuto, ai sensi dell'art. 1713 c.c., norma applicabile per l'assimilabilità dell'amministratore al mandatario con rappresentanza, a rendere il conto della sua gestione e a rimettere ai condomini tutto ciò che abbia ricevuto per conto del condominio, vale a dire tutto ciò che ci sia in cassa, indipendentemente dall'esercizio al quale somme si riferiscono, atteso che, una volta revocato, il mandatario non ha più titolo per trattenere quanto gli è stato somministrato dal mandante.

Rendiconto, legittima la sua modifica in sede assembleare

L'amministratore revocato ha pertanto il dovere di rendere il conto del proprio operato e di giustificare, attraverso i necessari documenti, in che modo abbia svolto il proprio lavoro, provando tutti quegli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità di esecuzione dell'incarico e stabilire se lo stesso sia stato o meno conforme ai criteri di buona amministrazione.

Da questo punto di vista la Suprema Corte ha anche chiarito come non possa ritenersi il contrario sulla base di una supposta prorogatio dei poteri in capo all'amministratore di condominio giudizialmente revocato e che sia stato successivamente rinominato dall'assemblea. In realtà, con la revoca giudiziale dell'incarico, il contratto di mandato si estingue.

La Suprema Corte ha altresì chiarito come l'amministratore revocato in giudizio non possa ritenersi dispensato dalla presentazione del rendiconto, anche laddove i consuntivi relativi agli esercizi in contestazione siano comunque stati approvati dall'assemblea senza una successiva impugnazione nei termini di legge.

Infatti è stato nuovamente ribadito come una volta estinto il mandato per revoca, l'amministratore sia in ogni caso tenuto a fornire ai condomini la prova delle somme incassate e degli esborsi effettuati.

Quorum approvazione rendiconto consuntivo

Sentenza
Scarica Cass. 8 luglio 2021 n. 19436
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